Martedì 18 marzo 2025
Il 16 marzo 2025, con la presenza di Mons Gherardo Gambelli, arcivescovo di Firenze, il superiore provinciale d’Italia. p. Fabio Baldan, 35 sacerdoti di vari continenti, laici missionari comboniani e molti amici e animatori dell’Oasi Laudato Si’ di Firenze, p. Fernando Zolli, nella cappella della comunità, ha ringraziato tutti e tutte, prima di preparare il viaggio di ritorno nella Repubblica Democratica del Congo, dopo 23 anni.

La partenza di un missionario è un gesto dovuto, è la docile risposta all’iniziativa dell’Amore gratuito di Dio per tutta l’umanità, che lo porta ad esclamare: “eccomi, Signore, io vengo per fare la tua volontà”. La sua risposta è personale, ma non parte solo; con sé porta i volti di tanti uomini e donne, giovani e anziani, la ricchezza delle relazioni, l’intensità degli incontri, l’opportunità di aver condiviso gioie e dolori e di essere stato arricchito dalla vita quotidiana della gente. Il missionario non scappa né abbandona, semplicemente continua il cammino; la gratitudine per quanto ha vissuto lo spinge ad andare oltre.

Il tempo trascorso a Firenze (più di 17 anni), dopo aver vissuto 12 anni in Brasile e 12 anni in Congo, mi ha permesso di re-interpretare e rinnovare il mio servizio missionario, adattandolo alle sfide della città e alle sue esigenze, promuovendo scelte e iniziative di presenza evangelizzatrice. La storia di Firenze, l’impegno di personaggi illustri, la capacità creativa dell’epoca rinascimentale, scolpita nelle pietre, nei palazzi, nei paesaggi e nei monumenti, ha aumentato in me la disposizione ad osare e a ripensare il servizio missionario, concretizzandolo attraverso due priorità: l’accompagnamento dei migranti, soprattutto delle nuove generazioni di afro-italiani e l’ecologia integrale, come risposta all’ascolto del grido della creazione e quello dei poveri.

Padre Fernando Zolli, missionario comboniano in partenza per la Repubblica Democratica del Congo.

È nata la Elimu African Summer School, quest’anno alla seconda edizione, iniziativa proposta a giovani universitari italiani e nuovi italiani, figli di migranti, con l’obiettivo di aiutare a purificare lo sguardo sull’Africa, scoprire il rinascimento africano nel passato e nell’oggi, il ruolo dell’Africa nello scacchiere mondiale e l’impegno per il riconoscimento della cittadinanza negata ad oltre un milione di ragazzi e giovani che vivono con noi, studiano nelle nostre scuole e amano l’Italia. L’impegno per l’ecologia integrale, promosso con altre associazioni e movimenti, soprattutto con il movimento Laudato Si della Toscana, l’associazione sant’Ignazio, legata ai Gesuiti e l’Agesci, si è concretizzato con l’inaugurazione dell’Oasi “Laudato Si”, nell’area verde della nastra casa (Via G. Aldini, 2), nel mese di aprile 2024, come hub, uno spazio libero che aggrega gruppi ecclesiali e varie associazioni, promuove e diffonde le buone pratiche per la cura dell’ambiente e di ogni fragilità umana.

Due atteggiamenti caratterizzano la presenza missionaria della comunità comboniana a Firenze: la cooperazione e l’accoglienza. La missione difatti non ci appartiene: è iniziativa di Dio, noi cooperiamo, articolandoci con le forze della Chiesa locale, particolarmente il Centro Missionario Diocesano, la pastorale dei Migranti e la Caritas e con tanti altri movimenti di base della società civile. L’accoglienza è vissuta come stile di vita. Oltre ad accogliere gruppi giovanili, famiglie, rifugiati, persone con disagio sociale e detenuti in affidamento a fine pena, dal 2009 la comunità ha stipulato un accordo con l’Arcidiocesi di Firenze, accogliendo ben oltre 110 sacerdoti studenti o fidei donum di altri continenti, per lo studio della lingua italiana e la loro acculturazione, in vista di continuare studi accademici e di servizi pastorali nella chiesa locale.

Da un giubileo all’altro

Il giubileo del 2000 e quello di quest’anno, 2025, marcano profondamente il mio servizio missionario. Nel Giubileo della Redenzione del 2000, risposi con slancio al grido di san Giovanni Paolo II che invitava ad “aprire le porte al Redentore”. Ero in Congo e, nella celebrazione dell’apertura della porta del noviziato comboniano, A Kimwenza, promisi di spalancare la porta del mio cuore e offrirmi in oblazione per la rigenerazione di quella zona dell’Africa, martoriata dal dramma della guerra, quella che fu chiamata la guerra dei Grandi Laghi; conflitto, purtroppo, che dura fino ai nostri giorni, con maggiore barbarie, cinismo e crudeltà. Dio, da vero pedagogo, mi strinse a Lui, “mi prese per il collo” e mi aiutò ad affrontare la prova più difficile della mia esistenza: persi la voce, ma mi fu donata la capacità della voce vicaria e aumentò l’ardore missionario e la docilità al suo progetto.

Nel Giubileo di quest’anno, dopo 25 anni, l’invito di Papa Francesco ad essere “pellegrini di speranza”, mi ha sollecitato a mantener fede alla promessa fatta. La Speranza difatti non delude nella misura in cui si sceglie con chi fare il pellegrinaggio e la meta precisa da raggiungere. Non potevo che scegliere la gente della Repubblica del Congo in questo pellegrinaggio e con loro raggiungere l’obiettivo della liberazione, la promozione della loro dignità, la cura della casa comune e delle persone fragili. Non arrendersi dinanzi alla violenza bruta, agli abusi, alla barbarie, agli stupri, alla loro continua umiliazione. Prendere posizione dinanzi a chi non difende i diritti fondamentali, a cui non sta a cuore l’integrità territoriale della RD Congo.

La forza della Parola in vasi di creta

Il missionario che (ri)-parte è ben consapevole che trasporta il dono di Dio all’intera umanità in “vasi di creta”; sa di essere fragile, provato come tutti per le vicende della vita. L’età che avanza non rappresenta un ostacolo insormontabile. Non fa calcoli e non mette condizioni. La bellezza della Parola e la forza della Grazia che trasporta, gli danno sicurezza, lo rincuorano e lo rendono lesto nell’incedere e nell’osare. Il missionario si fida e si affida; visita e si lascia visitare con una disponibilità disarmante. Il cuore del missionario si modella nel timore di Dio, che scaccia ogni paura e gli dà il dinamismo e il coraggio di andare, perché sa in Chi ha posto tutta la sua speranza.

La partenza come gesto di Fiducia per chi resta

La partenza del missionario è anche un gesto di fiducia verso tutti quelli che restano, soprattutto per quelli che sono missionari nel cuore e vivono la loro vita come una missione in mezzo alla gente. Giustamente il Papa Francesco ci ricorda che ognuno di noi “è una missione” (EG 273). La gioia del missionario è constatare che il seme gettato per terra, cresce e fruttifica, consapevole che ognuno, nel campo del Signore, mette del proprio, come ci insegna l’apostolo Paolo: “Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma Dio ha fatto crescere” (1Cor 3, 6).

Sempre interconnessi

Per chi parte e per chi resta, la distanza non deve essere un ostacolo, anzi, farla diventare una grande opportunità, che aiuta i discepoli e le discepole di Gesù a sviluppare lo spirito dell’utopia. Accanirsi sul particolare e sul locale perdendo di vista il generale, si rischia di essere incapaci di intrecciare intelligentemente i segni dei tempi e dei luoghi. Lo spirito utopistico del missionario che parte e di quello che resta, si educa ad articolare la distanza con una altra parola con la stessa radice verbale, la costanza. Se la distanza è uno “stare lontano”, la costanza è “uno stare con”. Pur vivendo in luoghi geografici e contesti culturali diversi. L’attenzione e la costanza nell’ascolto del grido della creazione e del povero, aiuta a restare sempre interconnessi, solidali, pronti e uniti a remare nella stessa direzione per la completa realizzazione della fraternità universale.

P. Fernando Zolli, missionario comboniano