Questa domenica è l’ultima tappa preparatoria alla grande festa di Natale. Dopo aver dato spazio alla figura dell’austero Giovanni Battista come modello sempre valido per vivere il tempo dell’Avvento e prepararci ad accogliere il Signore, la liturgia ci presenta Maria come colei che, in primo piano, ha preparato la nascita storica di Gesù.
Ecco la serva del Signore!
Luca 1,26-38
Siamo alla IV domenica di Avvento, alla soglia della porta di ingresso nel mistero del Natale. Il vangelo ci presenta l'Annunciazione dell'angelo Gabriele a Maria. È la terza volta che ascoltiamo questo vangelo in questo Avvento: la prima nella festa dell'Immacolata; la seconda nella feria propria del 20 dicembre; e adesso come preparazione immediata al mistero dell'incarnazione.
1. Tre messaggeri, tre annunzi, tre promesse!
Potremmo dire che questa è la domenica degli annunci. Tre messaggeri – un profeta, un angelo e un apostolo – ci portano tre annunci che, in realtà, sono tre promesse riguardanti “la rivelazione del mistero avvolto nel silenzio per secoli eterni” (seconda lettura, Romani 16,25-27).
Nella prima lettura (2Samuele 7), tramite il profeta Natan, “il Signore ti annuncia che farà a te una casa”. Questa promessa è rivolta non solo a Davide, ma a ciascuno e ciascuna di noi. A noi che spesso – con una mentalità pagana di servitù verso la divinità – pensiamo di dover fare qualcosa per Dio, di dover costruirgli un “casa” (chissà con l'intento secreto di “confinarlo” a un luogo!). E scopriamo – con grande stupore!– che è Dio a mettersi al nostro servizio. A noi, dei “senza fissa dimora”, Dio ci fa una casa, dove trovare riposo dal nostro girovagare. Egli ci accoglie con lo statuto di figli e figlie, e non come schiavi, perché “lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre” (Giovanni 8,35). La vuoi questa casa? O preferisci continuare a vagabondare in case altrui pagando, spesso, salati affitti?
Nel vangelo è un angelo che viene da noi, nella nostra umile Nazaret, una oscura borgata della periferica Galilea, mai menzionata nell'Antico Testamento, per invitarci a gioire perché il Signore ha messo su di noi il suo sguardo e ci fa una promessa: “Ed ecco, concepirai un figlio”. Questa promessa ci garantisce che la nostra vita non sarà sterile, non sarà vuota, inutile, senza senso. Avremo una casa e un futuro: “Egli fa abitare nella casa la sterile, come madre gioiosa di figli” (Salmo 113,9).
Nella seconda lettura l'apostolo Paolo ci dice che questo mistero nascosto, e adesso rivelato in Gesù Cristo, ora è “annunciato a tutte le genti”, cioè è per tutti. La storia sembra caotica, senza un disegno, senza un fine. Quante volte ci siamo chiesti: dove va questo nostro mondo, teatro di guerre e groviglio di ingiustizie? Paolo ci assicura che Dio non ha abbandonato la sua creazione alle forze distruttive del caos. Il Signore non ha dimenticato l'uomo, opera delle sue mani. Ed ecco il mistero insondabile: egli stesso si rende argilla per immischiarsi nella nostra e plasmare una umanità nuova!
Concentriamo lo sguardo adesso sul vangelo. Esso ci svela il senso profondo del Natale: il Signore si annuncia, vuole venire da te, vuole incarnarsi in te! “A che ti serve, infatti, che il Cristo sia venuto un tempo nella carne, se non è venuto anche nella tua carne?” (Origene d'Alessandria, III secolo). “Mille volte nascesse Cristo a Betlemme, ma non in te, sei perduto in eterno!” (Angelus Silesius, mistico tedesco del XVII secolo).
2. Dalla tristezza alla gioia, dalla paura alla fede!
Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te»
La prima parola dell'angelo è Rallègrati! Sii felice! Non si tratta di un semplice saluto, ma di un rincorato invito alla gioia! Nell'Antico Testamento questo invito non viene mai rivolto ad una singola persona, ma a Sion, a Gerusalemme, a Israele: “Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!” (Sofonia 3,14); “Rallègrati, esulta, figlia di Sion, perché, ecco, io vengo ad abitare in mezzo a te!” (Zaccaria 2,14). Maria rappresenta tutto il popolo di Dio. In lei ci siamo noi. Il Signore ci trova spesso nella tristezza o quantomeno aggobbiti dalla pesantezza della vita. Ci invita a gioire, non perché la nostra storia cambierà per un suo tocco di bacchetta magica, ma perché ci garantisce di essere sempre con noi.
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo.
E come non rimanere turbati? Si tratta di qualcosa di inaudibile. Purtroppo a noi cristiani è venuto a mancare questo turbamento e quando questo non c'è non c'è neppure lo stupore e la meraviglia. Tutto diventa banale, scontato, insignificante!
Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio!
“Non temere” è un invito che Dio rivolge spesso alla persona a cui egli si rivela. Si dice che troviamo nella Bibbia 365 volte questa rassicurazione di Dio, uno per ogni giorno dell'anno (anzi 369, con supplemento per qualche momento particolare!). La nostra esistenza è minata di paure. Paura per il presente e paura per il futuro! Paura anche di Dio che crediamo troppo severo e poco rassicurante. I suoi angeli, invece, non smettono di ripeterci: “Non temere, perché hai trovato grazia presso Dio!”
3. Eccomi! Hineni!
Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola!
“Eccomi!”, “Hineni!” in ebraico. È la risposta di disponibilità alla chiamata di Dio. Una delle parole più frequenti nell'Antico Testamento: ben 178 volte (secondo il biblista F. Armellini). Il Natale è la convergenza di due “Eccomi”, di due “Hineni”, quello di Dio e quello nostro. Entrando nel mondo, Cristo dice: “Eccomi, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà.” (vedi Ebrei 10,5-10 e Salmo 40,8-9). Che non capiti che al suo “Hineni” non trovi il nostro! È l'eterno dramma dell'amore di Dio che viene ignorato: “Dissi: «Eccomi, eccomi» a una nazione che non invocava il mio nome” (Isaia 65,1).
Esercizio spirituale per la settimana
Ripetere spesso lungo la giornata: “Eccomi”, “Hineni”, ad ogni situazione o evento dove percepisco una chiamata di Dio!
P. Manuel João Pereira Correia, MCCJ
Castel d'Azzano (Verona) dicembre 2023
Luca 1, 26-38
La vita in Cristo inizia e si svolge come puro dono di Grazia; è una vita spesso non facile, ma che sempre può essere felice perché non sale dalla terra ma viene dal cielo. Il Signore ci sorprende con il Suo Amore, come la mamma quando sveglia il suo bambino e gli dice, svegliati che è giunta l’ora, sono venuta a chiamarti. È molto triste una vita cristiana che non sa più sorprendersi, che vive di abitudini, di precetti da compiere, una vita dove anche le cose di Dio sono programmate e previste.
Quando Dio irrompe nelle nostre vite spesso anche noi rimaniamo turbati e non comprendiamo. È un turbamento benedetto; in quel momento se la ragione diventa umile e chiede aiuto alla fede, si aprono orizzonti sconfinati. Se invece la ragione diviene superba, impazzisce e si turba come Erode e tutta Gerusalemme, rischiando di uccidere il bambino, la fede che vuole nascere dentro di noi. Maria rimane in silenzio. Quando preghiamo bene, sentiamo che è bene rimanere in silenzio. La Parola è Dio stesso che si dona a noi senza nulla chiedere in cambio.
I doni non si meritano, non si comprendono e soprattutto non si comprano; i doni si accolgono e li sanno accogliere solo i poveri. I poveri sono quelli che hanno bisogno, e non ne provano vergogna. Hanno bisogno di ricominciare un cammino nuovo, di qualcuno che tenda una mano e sveli il grande valore di ogni vita che non è un progetto da realizzare ma una vocazione da godere.
Il mistero che Dio ha rivelato in Gesù, ribalta i nostri schemi e fa delle nostre vite una cosa grande; sarà grande il bambino che nascerà, e lo saremo anche noi ogni giorno della nostra vita se avremo fatto onore alla nostra vocazione, arrendendoci all’Amore. Possiamo e dobbiamo sentire rivolta anche a noi la prima parola dell’Angelo, la gioia. Come sarebbero migliori e più evangeliche le nostre case, le nostre chiese se avessero sempre al centro questa gioia da annunciare, ormai entrata nella storia dalla notte di Natale.
Mentre ci avviciniamo al Natale, però, non teniamo lo sguardo basso, proviamo come Maria ad alzare gli occhi in alto, vediamo fin dove riusciamo a vedere, fino a contemplare il Padre che dona il Figlio, perché ognuno di noi si possa rendere conto di essere figlio amato. Alzando lo sguardo al Padre riconoscendoci anche noi a volte tra i crocifissori del bambino che sta per nascere; oggi però potremo sentirci cercati e amati dal Padre che ci viene incontro, per donarci una via nuova.
Una vita piena di Grazia, dove il peccato rompe ma non interrompe il rapporto con Dio. Nessun ostacolo, nessuna difficoltà, nessuna legge può fermare la Grazia. Una vita dove il Signore è sempre con noi e ci chiede di guardare l’esperienza di Elisabetta che era detta sterile. Ecco un grande compito per il nostro tempo. Saper vedere il bene che esiste e resiste, indicare agli uomini i segni dei tempi, il lievito nella pasta, i piccoli semi gettati nel campo, in una parola il vangelo che vive ogni giorno; dire parole buone e di speranza, dare qualche carezza, smetterla una volta per tutte di dire al mondo la sua sterilità. Il mondo in parte ha smarrito Dio, ma non è contro Dio e senza rendersene pienamente conto, lo desidera.
Noi dobbiamo facilitare l’incontro tra Dio e l’uomo, togliere ogni ostacolo, accompagnare il cammino verso il Signore che si lascia trovare. Eccomi, come hanno detto tutti coloro che hanno ascoltato la voce di Dio; sono la serva del Signore. Sono disposto cioè non ad essere uno schiavo o un servo di un padrone, ma voglio vivere la mia vita come collaboratore di una grande gioia che sarà di tutto il popolo. Nessuno è escluso, nessuno è abbandonato.
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]
Come Maria
affidiamoci alla potenza di Dio
2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Salmo 88; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38
Questa domenica è l’ultima tappa preparatoria alla grande festa di Natale. Dopo aver dato spazio alla figura dell’austero Giovanni Battista come modello sempre valido per vivere il tempo dell’Avvento e prepararci ad accogliere il Signore, la liturgia ci presenta Maria come colei che, in primo piano, ha preparato la nascita storica di Gesù.
Il tono di questa domenica è quindi dato principalmente dal testo evangelico, lo stesso che abbiamo seguito poco fa nella solennità dell’Immacolata Concezione (8 dicembre). L’episodio qui narrato ci presenta il “Sì” pronunciato da Maria: essa ha detto “sì” e si è fatta così serva del Signore. E’ proprio quest’atteggiamento, di chi si mette a servizio e assume un impegno, che ha permesso al progetto salvifico di Dio di farsi storia. Maria infatti permette a Dio di entrare nella sua esistenza e di imprimerle una svolta radicale, un orientamento inimmaginabile.
Dopo il saluto iniziale rivolto alla “piena di grazia”, confermato dalle parole rassicuranti (“Non temere, Maria, hai trovato grazia presso Dio”), l’angelo Gabriele esprime la prima parte dell’annuncio o della vocazione di Maria. “Ecco concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Le parole angeliche, che ricalcano in qualche modo lo schema degli annunci delle nascite bibliche, riprendono l’annuncio profetico di Isaia al re Acaz: “Ecco la vergine concepirà nel seno e partorirà un figlio e tu lo chiamerai Emmanuele”.
Il nome Gesù e simbolico o profetico, ed allude alla salvezza di Dio. La prima qualifica in forma assoluta (“Sarà grande”) è un appellativo (come “santo”) riservato nei salmi solo a Dio. Esso dà all’espressione “Figlio dell’Altissimo” uno spessore forte, cioè egli sarà riconosciuto legittimamente come Figlio di Dio. E un segno di quest’identità misteriosa è la sua nascita dalla vergine di Nazaret. Inoltre, i verbi al passivo suggeriscono che Dio stesso sta all’origine della proclamazione e del riconoscimento dell’identità misteriosa di Gesù. Le ultime parole dell’angelo Gabriele sono chiare sul destino messianico del figlio concepito e partorito dalla Vergine Maria. Il destino del nascituro in rapporto alla speranza messianica riguarda, nel senso primario, la “casa di Giacobbe (Israele), secondo le promesse fatte al re Davide per mezzo del profeta Natan; ma bisogna estendere quest’espressione ampliandone l’orizzonte all’intero popolo di Dio. Si tratta del suo senso o significato plenario.
La seconda parte dell’annuncio dell’angelo è introdotta dalla domanda della vergine di Nazaret: “Com’è possibile questo?”. L’angelo rimanda alla potenza dell’Altissimo. E alla fine egli annuncia il segno di conferma, il concepimento di Elisabetta che tutti dicevano sterile, affermando anche espressamente che “Nulla è impossibile a Dio”. Questa professione di fede sull’onnipotenza di Dio è il punto focale del racconto dell’Annunciazione. Ritroviamo le stesse parole nel libro della Genesi quando l’angelo di Dio promette un figlio ai vecchi Abramo e Sara. L’angelo disse ad Abramo: “Perché Sara ha riso? C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data, e Sara avrà un figlio”. Anche il profeta Geremia l’esprime in una preghiera: “Ah Signore Dio, tu hai fatto il cielo e la terra con grande potenza e con braccio forte; nulla ti è impossibile”. Anche nel libro del profeta Zaccaria, il Signore che vuole salvare il suo popolo dice: “Se questo sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo, sarà forse impossibile anche ai miei occhi? Ecco, io salvo il mio popolo dalla terra d’Oriente e d’Occidente”.
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore”. Come Maria, impariamo ad ascoltare il piano di Dio e ad affidarci alla sua onnipotenza. Ci aiuti la madre del Salvatore a rispondere come lei con un “sì” generoso, libero e responsabile a Dio, aderendo al suo progetto di salvezza che si realizza nel suo Figlio Cristo Gesù.
Don Joseph Ndoum