Con i suoi gesti, il buon samaritano ha mostrato che l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma è tempo di incontro. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga ai margini della vita: questo è dignità. L’esclusione o l’inclusione di chi soffre lungo la strada definisce tutti i progetti economici, politici, sociali e religiosi. Gesù ha fiducia nella parte migliore dello spirito umano e con la parabola la incoraggia affinché aderisca all’amore.
Pertanto siamo tutti chiamati ad una cittadinanza attiva per costruire legami sociali per il bene comune; per ricostruire sempre nuovamente l’ordine politico e sociale, il tessuto di relazioni, il progetto umano. Si tratta di dar vita ad uno spazio di corresponsabilità capace d avviare e generare processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle nostre società ferite. Ciò significa esprimere il nostro essere fratelli e sorelle che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti. Ci vuole solo il desiderio di essere popolo, di essere costanti ed instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto.
In termini pratici, è possibile cominciare dal basso e caso per caso, lottare per ciò che è più concreto e locale. Papa Francesco ci invita a cercare gli altri e a farci carico della realtà che ci spetta, senza temere il dolore e l’impotenza, perché lì c’è tutto il bene che Dio ha seminato nel cuore dell’essere umano. Le difficoltà che sembrano enormi sono l’opportunità per crescere e non la scusa per la tristezza inerte che favorisce la sottomissione. La cosa essenziale è di non agire da soli, individualmente, nell’isolamento o nella frammentazione, ma di farlo assieme e crescere come popolo inclusivo.
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