Lunedì 3 aprile 2017
Oggi, è il 34° anniversario della morte di P. Bernardo Sartori, missionario comboniano, trovato morto davanti all’altare con la lampada accesa il mattino di Pasqua, in West Nile (Uganda). Il padre ci lascia un potente simbolo che può davvero costituire un grande e perenne incentivo e interrogativo per le nostre vite missionarie. La sua lampada accesa si contrappone alla lampada spenta e ci sfida a chiederci se la nostra lampada missionaria arde dentro di noi e cosa irradia attualmente: speranza o delusione, coraggio o timore; vecchiume o novità, impegno o desistenza, fiducia o scoramento, voglia di partecipare o stanchezza, opzioni coraggiose o parole vuote. Ciascuno può continuare... Nella foto: Cappella della Curia Generalizia dei Missionari Comboniani a Roma.
Riscatto della memoria
Chiameremo così il ricordo annuale di coloro che tra di noi hanno espresso al meglio il carisma missionario del Fondatore e che continuano, non solo a indicare la vitalità dell’Istituto, ma ci sollecitano ad esprimerla secondo le nuove necessità della Chiesa e della società.
Confratelli, che le Chiese locali hanno riconosciuto come meritevoli di un ricordo speciale e di cui è stato aperto il processo canonico di beatificazione. Quindi, non confratelli al di fuori della comunità, ma profondamente radicati nell’amore per l’Istituto e per le chiese dove hanno svolto il loro servizio missionario.
Sembra questa una maniera degna e reale di celebrare con verità i 150 anni dell’Istituto guardando verso il futuro.
Citazioni dalla Positio
“Uscito prestissimo al mattino di Pasqua come Maria, incontrò il suo Risorto Signore e con lui se ne andò a celebrare la più bella mattina dell’anno e della sua vita: mattina che non terminerà mai più! Beato Bernardo, santo fratello e padre nostro, ci congratuliamo con te in questo giorno del tuo trionfo e immaginiamo che finalmente ti bei della visione che fu il sospiro di tutta la tua vita. Ora vedi, contempli e lodi il Padre, il Cristo, la Mamma, nello Spirito Santo, e incontri le migliaia di figli e figlie che la tua instancabile carità sacerdotale ha indirizzato al cielo in tutti questi anni... Come vorremmo essere presenti anche noi: aspettaci e prega che nulla ci distragga e possa ritardare la nostra preparazione alla vita eterna”.
“Come interpretare questa morte unica nella sua forma: davanti all’altare, con la lampada accesa, al mattino di quel giorno unico che è la Pasqua del Signore? Molti ne hanno scritto: «morte per eccesso d’amore», «trionfo della vita dell’eterna Pasqua», «quel cuore di apostolo, ripieno della gioia del Risorto, cede all’impatto per un amore troppo grande, non più contenibile da creatura umana». In sintesi si potrebbe dire che questa morte ha tutto il carattere di sigillo posto dall’alto per una vita esemplare: per il giorno in cui è avvenuta (il mattino di Pasqua, presto); per il luogo dove è avvenuta (la chiesa, spazio di fedeltà di tutta una vita); per la forma in cui si fissa (un corpo esanime con la faccia rivolta verso l’alto e davanti all’altare eucaristico con la lampada accesa). Un catechista intuisce perfettamente: “The death of Fr. Sartori came like the Assumption of the Virgin Mary to heaven, so surprising”. Forse, ancora più semplicemente, questa morte si acclara con un esempio biblico e porta alla certezza dell’esistenza delle realtà ultraterrene, oggi vacillante in molti cuori. Padre Sartori come Enoch: «Enoc camminò con Dio, poi scomparve perché Dio l’aveva preso» (Gn 5, 24). Così, alla luce della morte del missionario Sartori, il paradiso non è più un’utopia!” (dalla Positio).
«Di buon mattino, il primo giorno dopo il sabato», come era suo solito, padre Bernardo Sartori si recò in cappella a pregare ... E qui fu trovato da fratel Giovanni Bonafini verso le 8 del mattino. Fu una visita casuale quella del fratello nella cappella del collegio di Ombacì, perché tutti i missionari erano in procinto di partire per il safàri o per la preghiera nella chiesa parrocchiale, essendo quello il giorno di Pasqua. Padre Bernardo giaceva pronto davanti al tabernacolo, con le braccia allargate e la lanterna ancora accesa. Ma era morto. Nessuna meraviglia per quella scoperta. Dagli anni della giovinezza padre Sartori era abituato a recarsi in chiesa prima dell'alba, «tutti i santi giorni che Dio ha creato», è pronto a giurare fratel Antonio Biasin, suo intimo amico. E padre John Troy: «Per quanto riguarda la sua preghiera, la maggior parte era fatta nel segreto della sua stanza. Si ritirava alle 9.00 o 9.30 ma difficilmente dormiva oltre le 2 del mattino». «Un altro "tempo sacro" era poco prima di ritirarsi nella sua camera. Penso che andasse a raccontare le cose del giorno alla Madonna. Non posso dire di più su questo, e io ho rispettato il suo desiderio».
Davanti all'altare della chiesa di Ombacì si erano incontrate tre direttrici sulle quali aveva camminato la spiritualità di padre Sartori: grande amore all'Eucaristia, tenera devozione alla Madonna, e un amore sconfinato per il prossimo (confratelli, africani e conoscenti). L'amore all'Eucaristia si concretizzava in ore e ore di adorazione. Non cominciava la giornata senza aver premesso almeno quattro ore di preghiera, senza contare le visite nei ritagli di tempo durante il giorno. La devozione alla Madonna lo spinse a dedicarle ben quattro santuari. L'amore al prossimo ... migliaia di lettere scritte ad amici, parenti, benefattori, confratelli, religiosi... E tutte per incoraggiare, sostenere, dare forza per camminare nelle vie di Dio; colloqui con confratelli stanchi e scoraggiati... «Nessuno tornava dall'incontro con padre Sartori con l'animo amareggiato. E se prima aveva delle pene, il padre gliele aveva alleviate infondendogli coraggio, speranza, ottimismo e tanta fede in Dio» (fratel Biasin). «Ogni incontro con lui era per me una ripresa spirituale e morale» (Padre Marchetti). A proposito dell'amore per il prossimo, ecco cosa dice padre Troy: «La santità di padre Sartori, riconosciuta da tutti, era pienamente «umana ». Non fu di quel genere di martiri che fa martiri tutti nella comunità. Mentre praticava la penitenza per quanto riguarda il cibo e il riposo, fu sempre sollecito che io mangiassi bene e dormissi a sufficienza. A tal punto che lui stesso avrebbe obbedito all'invito di mangiare e dormire un po' di più. Non fu mai ostentatamente mortificato, e di tanto in tanto condivideva una sigaretta o un bicchiere di birra. Quando arrivavano notizie della morte di confratelli, quasi sempre più giovani di lui, egli chiedeva a Dio a voce alta a quando il suo turno. Fu particolarmente addolorato quando un giovane e vigoroso missionario (p. Delpero) morì, e supplicò il Signore di prendere «questo povero relitto inutile» la prossima volta. Ora che finalmente il suo turno è arrivato, sono sicuro che noi, e specialmente l'Uganda, che lo ha visto soffrire così tanto in questi ultimi anni, abbiamo un avvocato in cielo».
La vocazione missionaria
Bernardo Sartori studiava teologia nel seminario diocesano di Treviso, quando fu chiamato sotto la naja. Fu inviato a Verona, nel reparto Sanità, presso l'ospedale militare. Qui ebbe modo di venire in contatto con i comboniani (e di impratichirsi nella cura dei malati, cosa che gli verrà utilissima in missione). La sua partenza per l'istituto fu particolarmente ostacolata dal papà. I superiori acconsentirono di non inviare in Africa padre Bernardo finché il papà era in vita. Questi venne a morire mentre padre Bernardo si trovava a Troia come superiore. Il figlio corse al capezzale del babbo che fece in tempo a chiedergli perdono per averlo tanto ostacolato e a chiedere la sua benedizione. Il 14 gennaio 1922 Bernardo Sartori fece la vestizione a Venegono per iniziare il noviziato. L'anno dopo, il 21 gennaio 1923, fece la prima professione. Due mesi dopo, il 31 marzo 1923, venne ordinato sacerdote nella cappella del seminario di Treviso insieme a monsignor Giuseppe Carraro, futuro vescovo di Verona e suo compagno di classe.
Venegono, Padova, Verona e Brescia (dove fece i voti perpetui, il 21.1.'26) videro padre Sartori come propagandista dal 1923 al 1927. Durante questo periodo il padre si ammalò. Racconta lui stesso: «La prima emottisi, fu per me il crollo di ogni ideale, ma non mi persi d'animo. Mi attaccai alla Madonna in maniera furibonda e la costrinsi a guarirmi ». Non sappiamo come avvenne il fatto che padre Bernardo chiamò «miracoloso»; fatto sta che nel giro di poche settimane, tra la meraviglia dei medici, il giovane missionario si trovò perfettamente guarito.
Fondatore a Troia
Verso la fine del 1927 superiori lo inviarono in Puglia in cerca di un seminario per futuri missionari. Senza conoscenze, con pochi soldi in tasca ma con una gran carica di amore di Dio, andò prima a Bovino e poi a Troia dove trasformò un fatiscente convento adibito a deposito di carbone, a porcile e ad abitazione di famiglie di poveri in un gioiello di seminario dal quale usciranno una ventina di ottimi missionari. Quegli anni rappresentarono una «grande avventura» che speriamo di poter raccontare in altra occasione. Resta il fatto che per i Troiani padre Sartori divenne un'istituzione, tanto che alla sua morte ne richiesero (inutilmente) il corpo. Dice padre Troy: «Aveva una enorme corrispondenza epistolare con l'Italia. Molti di questi corrispondenti dovevano essere i figli e i pronipoti di coloro che lui aveva conosciuti durante la sua permanenza a Troia».
In Africa
Nel 1934 arrivò il permesso di partire per l'Africa. «Arrivai ad Arua, in Uganda - scrisse padre Bernardo - nel 1934. Fui dal vescovo mandato a sostituire il vecchio padre Valcavi a Ladonga. Questi mi consegnò la missione dicendo: «Padre, qui non c'è che da piangere e pregare. La tribù e già tutta musulmana, e con i musulmani non si ragiona di religione. Chi si fa musulmano è esente dalle tasse e gode di un mese di ferie. L'ondata di fanatismo sta travolgendo tutto. Vede lassù la collina dei Kakua? Sono completamente perduti» e scoppiò a piangere. Padre Bernardo, sapendo che con le lacrime non si combinava molto, si diede alla preghiera. A Troia aveva fondato, annesso al seminario comboniano, un santuario alla Madonna Mediatrice. In Uganda consacrò tutta la zona alla Mediatrice. «Santuario ti sarà questo meraviglioso cielo, colonne queste splendide piante secolari». Come per incanto, all'arrivo di una bellissima statua a grandezza naturale, la valanga islamica si arrestò. Padre Bernardo cominciò a contrattare con la Madonna. Lui poteva darle del tu. «Per la tal data ti chiedo la conversione di 50 musulmani ». E i cinquanta arrivavano puntualmente. Allora aumentava la cifra, sempre di più, tanto la Mediatrice non diceva mai di no ed egli ne approfittava. Nel giro di qualche anno al posto della grande moschea, sorse il santuario dedicato alla Mediatrice, sultana dell'Africa. Nel 1961 il Papa eleverà questo santuario al grado di basilica, la prima basilica dell'Africa dedicata alla Mediatrice. Ormai, tra i pagani, chi si faceva musulmano veniva deriso. Ma i nemici non dormivano. Sul sentiero che portava dalla casa dei missionari alla chiesa (sentiero che padre Bernardo percorreva al mattino presto quando era buio) vennero messe più volte delle asticelle con le punte avvelenate. Mai una volta che il missionario vi fosse incappato, eppure si era abituato a camminare scalzo. Il ritorno in vita di una giovanetta che i genitori e i parenti avevano giudicata morta, finì per convogliare alla missione anche i più ritrosi.
Dopo Lodonga fu la volta di Koboko, proprio nel cuore della tribù Kakua. Anche lì sorse un grande santuario. La conversione del gran capo musulmano Mussa, e il martirio di un giovane di Azione Cattolica furono le due gemme sulla corona della Madonna di Fatima.
Nel 1960 fu la volta di Otumbari con un santuario alla Regina del Mondo. In meno di 20 anni la missione registrò la cifra di 30 mila cattolici. Nel 1968 venne aperta la missione di Arivu nella roccaforte dei protestanti con un santuario a Maria Madre della Chiesa. Non bisogna pensare che le chiese e i santuari sorgessero così come funghi. No, no! Costavano sangue a padre Bernardo. Ma questo è un discorso che andrebbe trattato a parte.
Nel 1979 le missioni di Koboko, Otumbari e Lodonga si trovarono in pieno territorio di guerra. Saccheggi, vendette, odi tribali con le conseguenze di distruzione, di profughi, di fame e di malattie. Uno dopo l'altro sei missionari comboniani caddero sotto il piombo dei ladroni. Una fucilata sparata vicinissima all'orecchio di padre Bernardo gli fece saltare i timpani ed egli diventò improvvisamente sordo. «Meglio - disse - così non sarò disturbato da altre sparatorie». Nel giugno dell'80 il vescovo impone di autorità ai missionari di abbandonare le missioni in zona di guerra. La gente, era tutta scappata per cui non c'era più il motivo di restare. Il vandalismo della soldataglia diventò regola di vita e principio di azione. «Ricominceremo - scriveva padre Bernardo ai suoi amici e benefattori d'Italia - il missionario ricomincia sempre. Dategli una mano». E poi: «La dura prova, la fame, la malattia, la sofferenza di ogni genere hanno temprato la fede dei cristiani e aumentato il loro fervore».
A questo punto padre Bernardo ebbe una visione profetica. Un mattino, prestissimo, mentre si recava in chiesa vide un'immensa croce di nubi che si adagiava su quella zona d'Uganda travagliata dalla guerra. Guardò per alcuni minuti quello strano «gioco» formato dal vento mentre un pensiero martellante gli diceva: «L'Uganda è arrivata al suo Calvario. La Passione sta per finire». Stava per correre in casa a chiamare qualche confratello perché fosse testimone del fenomeno, quando le nubi precipitosamente si unirono e si elevarono verso il cielo fino a raggiungere un raggio di sole che le fece brillare in uno sfolgorio di luce a forma di Cristo risorto. La stessa voce gli disse: «Il tempo della gloriosa risurrezione è vicino». Poi tutto si dissolse.
Le virtù
Un discorso sulle virtù di padre Sartori sarebbe troppo lungo. «In un grande spirito di obbedienza – dice padre Troy – mi chiedeva permesso ad intervalli regolari per attività che erano abituali. Ha dimostrato un tale rispetto per me come superiore che spesso mi sono sentito molto imbarazzato ». In quanto ad umiltà, è veramente simpatica una testimonianza di padre Marchetti: «Al mio primo incontro con lui dopo che ero stato nominato Regionale, ne approfittai per confessarmi. Dopo la confessione mi disse: «Caro padre, le devo dire una cosa in confidenza, perché possa regolarsi andando tra i confratelli di questa zona. Qualcuno ha sparso la voce che io sono un santo; invece la posso assicurare che è tutto un mio imbroglio, una falsità. Lei tenga presente ... ». Padre Marchetti gli rispose che lo avrebbe fatto senz'altro «per acquistare la sua umiltà». Le riforme liturgiche potevano urtare un anziano come padre Sartori, invece trovarono sempre un sostenitore entusiasta. Per lui ciò che veniva dal Papa veniva da Cristo in persona. L'ospitalità, virtù fondamentale per chi si trova in missione, fu vissuta dal padre in maniera eminente. «Era sempre accogliente - dice padre Marchetti - sempre misericordioso, sempre ottimista. Le sue personali sofferenze sembravano non esistere. Pareva ignorasse gli sbagli degli altri, lui che riceveva le confidenze di tutti. Tutto scusava, in tutto vedeva il lato buono, tutti animava, tutti amava. Si leggeva nella sua vita l'inno della carità di San Paolo». «Ma insomma, non aveva qualche difetto questo sant'uomo? Anche gli uomini migliori ne hanno qualcuno!» è stato chiesto a molti confratelli che sono stati con lui. Uno solo è riuscito a spulciarne uno: «Alle volte parlava con la gente tenendo la bicicletta per il manubrio. Poteva sembrare uno che ha fretta di andare ... ma probabilmente lo faceva per appoggiarsi a mo' di bastone, perché in realtà non aveva mai fretta di andarsene» (p. Ferrazin).
A 86 anni, padre Bernardo si sentiva ancora in piena forma. Il giovedì santo celebrò il 60° di ordinazione sacerdotale. Durante il Triduo pasquale fu sempre in chiesa a pregare e a confessare. Dopo la funzione del sabato santo era felice per tanta grazia di Dio sopra i suoi cristiani. Il giorno dopo, inaspettata da tutti, ecco la morte che per lui fu vera Pasqua. Tutti hanno sentito questa morte come un premio all'uomo buono, e la tanta pace che ispirava il suo volto da morto è penetrata un po' in tutti. Bisogna effettivamente riconoscere che padre Bernardo esercitava un fascino tutto particolare, un fascino che gli veniva forse dalla sua semplicità e povertà. Era un uomo che ti faceva sentire il Signore vicino. In una lettera scritta nel Natale dell'82 padre Bernardo disse: «Non potendo dormire, posso pregare giorno e notte, e lo faccio con gioia in attesa della divina chiamata». . Da questa carica interiore gli derivava quell'ostinata fiducia in Dio e nella bontà del cuore umano, che lo resero familiare a tutti, anche ai pagani e ai mussulmani.
P. Lorenzo Gaiga