“Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il mio Figlio amato; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti” (Mc 9,2-9).

In questo commento mi limiterò a sottolineare alcuni punti che mi hanno toccato di più, a partire dalla mia situazione di missionario rientrato in Italia da meno di due anni.

Su un alto monte

Un giorno, nel bel mezzo della loro attività pastorale, Gesù decide di portare i suoi amici Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte. Gesù sa che, in mezzo a tante sfide e difficoltà, è facile scoraggiarsi, rassegnarsi alla logica del meno peggio e rinunciare agli obbiettivi originari. Così decide di portare i suoi amici su “un alto monte”: da quella cima si può ammirare un panorama stupendo e rendersi conto dell’esistenza di altre cime, altre valli, altri cieli, di cui non si sospettava nemmeno l’esistenza.

Nel capitolo precedente Gesù aveva parlato della croce: “Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Non è che Gesù ci dia una croce, la croce, ce l’abbiamo già. A volte è una croce che non vogliamo vedere, e allora ci costruiamo un’immagine falsa di noi se stessi. Gesù ci dice: “Rinnegate quest’immagine falsa di voi stessi e prendete con umiltà la vostra croce, cioè la vostra verità; se mi seguite e mettete la vostra croce nelle mie mani, io farò miracoli con la verità della vostra fragilità, e voi sperimenterete la resurrezione”.

Come afferma Jean Vanier, noi tendiamo a nascondere il nostro vero io, perché temiamo che se la gente ci conoscesse per quello che siamo realmente non ci stimerebbe più. “Allora assumo un atteggiamento o di forza o di amabilità, perché non voglio che si riveli il mio essere segreto: ho paura che gli altri scoprano il mio lato tenebroso, depressivo. Ho paura di essere rifiutato”. Insomma, ho paura di ritrovarmi solo con i miei limiti, solo con la mia croce. E invece Gesù ci dice: “Prendi la tua croce! E poi andiamo insieme in montagna!”. Che bello! Non abbiamo bisogno di essere diversi da quello che siamo per essere degni della compagnia di Gesù: Gesù vuole camminare in montagna con me: poteva scegliere uno più bello, uno più agile; e invece mi porta sul monte con le mie croci, per farmi capire che, illuminata dalla sua Trasfigurazione, anche la mia ferita può brillare ed essere fonte di vita. Tutti abbiamo bisogno di passare qualche momento sull’alto monte. Di fatto, se rimaniamo ai piedi del monte e ci concentriamo solo su un problema o su una fragilità – e non sappiamo vedere più in là – potremmo perderci e ‘morire’ in questo problema e rischieremmo di essere schiacciati da questa fragilità. Mentre l’ampio sguardo di Dio ci dischiude orizzonti nuovi e impensati.

Gesù risplende

Che cosa vedono i discepoli quando giungono sulla cima del monte? Vedono la bellezza di Gesù che risplende: “Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime... E Pietro disse a Gesù: Maestro, è bello per noi stare qui”. Gesù evangelizza i suoi discepoli, prima di tutto, attraverso la sua bellezza e il suo splendore: la bellezza del Gesù trasfigurato brilla, affascina, ti fa venire voglia di Dio, voglia di stare con Lui, voglia di entrare nel suo cuore, voglia di vivere davvero come suo figlio e fratello.

Cos’è che fa risplendere e trasfigura Gesù? Penso che la risposta, possiamo trovarla in quelle parole che escono da una nube che appare all’improvviso: “Questi è il mio Figlio amato”. È la Parola d’amore che ci trasfigura, perché quando uno si sente profondamente amato, non c’è più posto nel suo cuore per la rassegnazione, il cinismo, la tristezza e la violenza, perché la bellezza che sperimenta in quel momento occupa tutto il suo cuore, producendo sentimenti di gratitudine e di tenerezza che gli infondono forza ed energia.

Questa Parola, il Padre la rivolge a Gesù, ai suoi fratelli e a ciascuno di noi. Quando ci sentiamo amati e percepiamo che siamo importanti per qualcuno, siamo disposti a introdurre cambiamenti importanti nella nostra vita: questo pensiero ci dà l’energia necessaria per trasformarci, e ci permette di affrontare la croce con fede e speranza.

Ascoltatelo!

Gesù trasfigurato è bellissimo. E noi siamo chiamati a vivere e a testimoniare questa bellezza. Come? Prima di tutto ascoltandolo, cioè ascoltando le parole di Gesù.

Ascoltare ed essere ascoltati è un’altra esperienza che ci trasfigura. Quando parliamo e sentiamo che le nostre speranze e le nostre sofferenze toccano davvero il cuore di chi ci ascolta, ci commuoviamo e proviamo un senso di gratitudine profonda. Dall’altro lato, anche chi ascolta si commuove nel vedere che il fratello vuole farlo entrare nello spazio sacro del suo cuore. E così diventa un’esperienza di trasfigurazione per tutti e due: per chi ascolta e per chi è ascoltato.

E in effetti la Parola ha un potere enorme: “La parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto e senza aver operato ciò che desidero” (Is 55,11). La Parola di Dio – se l’ascoltiamo, la custodiamo e ci facciamo fecondare da lei – può davvero trasfigurarci e produrre grandi cambiamenti: nella nostra vita personale e nella vita delle nostre comunità.

Scendendo dal monte

Dopo aver ascoltato la sua Parola siamo chiamati a viverla in tutta la sua bellezza, e per questo dobbiamo scendere dal monte. “Guardandosi attorno, non videro più nessuno”: certo, la visione è durata poco; è scomparsa, ma non del tutto. È come quando nell’oscurità si accende un fiammifero che per un istante produce luce e in questo breve momento di luce ti lascia vedere cammini insospettati da percorrere. Poi si spegne, ma lascia dietro di sé un fumigare, un odore di fuoco e di bellezza. E questo fumigare permane nel tuo cuore, continuando ad alimentare il sogno e a profumare la vita.

Siamo dunque chiamati ad essere fedeli alla bellezza di questa visione e di questa Parola anche quando siamo scesi dal monte. La luce del Gesù trasfigurato, custodita nel nostro cuore, ci aiuterà a mantenere lo spirito della trasfigurazione anche di fronte alla croce più pesante e a conservare il calore di questo fumigare anche in mezzo alla fredda aridità di tante difficoltà quotidiane.

Rientrando in patria

Fare esperienze di trasfigurazione è fondamentale per ogni essere umano. Una vita senza momenti di trasfigurazione sarebbe una vita disumana.

Quest’esperienza, comunque, dev’essere presente in ogni tappa della nostra vita missionaria. Quando si ritorna in patria, l’Europa per me, si può correre il rischio di pensare di ‘vivere di rendita’, custodendo nel nostro cuore momenti di trasfigurazione vissuti in Africa o in America Latina. Perché la nostra vita sia pienamente umana anche qui in patria, dobbiamo sperimentare la bellezza del Gesù trasfigurato. I giovani devono poter vedere in noi delle comunità trasfigurate che conducono una vita bella, una vita che li affascina.

Una comunità che risplende

Nel brano di Marco è la comunità – rappresentata da Pietro, Giacomo e Giovanni - che vede e sperimenta la bellezza della trasfigurazione: è la comunità che è chiamata a risplendere. Come i tre discepoli rimangono affascinati dallo splendore di Gesù, così anche le comunità cristiane sono chiamate a “risplendere come astri” (Fil 2,15). Nel Documento di Aparecida, i vescovi latino-americani affermano che “la Chiesa come comunità di amore é chiamata a riflettere la gloria dell’amore di Dio, per poter così attrarre le persone e i popoli verso Cristo” (n. 159). E poi aggiungono:“Ogni comunità cristiana deve trasformarsi in un potente centro di irradiazione della vita in Cristo” (n. 362).

Applicando tutto questo alla nostra realtà, potremmo domandarci: le nostre comunità comboniane sono belle? Risplendono, attraggono? E come potrebbero risplendere?

Seguendo il suggerimento di questo brano, il primo strumento per risplendere è la pratica dell’ascolto. Prima di tutto, dobbiamo ascoltare la Parola di Gesù nella preghiera personale e in quella comunitaria. La celebrazione comunitaria della Parola dovrebbe essere per noi il primo ‘monte alto’ su cui sperimentare la trasfigurazione.

In secondo luogo, dobbiamo ascoltarci fra noi, membri della comunità. Una delle prime difficoltà che incontra un missionario quando rientra in Europa, ad esempio, è trovare qualcuno che sia capace e abbia voglia di ascoltarlo davvero. Quando si rientra in Italia si vive la sofferenza del distacco dalla missione, la difficoltà di entrare in dinamiche comunitarie molto diverse da quelle che si vivevano prima, ecc. In questo momento delicato, trovare qualcuno disposto ad ascoltarci è una vera grazia di Dio, una vera esperienza di trasfigurazione.

Il miracolo dell’ascolto

Il giorno di Pentecoste gli apostoli “cominciarono a parlare in altre lingue” e ciascuno dei credenti provenienti da tutte le parti del mondo “li ascoltava parlare nella propria lingua” (At 2,4.6). Il vero miracolo sta nell’ascoltare, non nel parlare. Il miracolo consiste nell’ascoltare qualcuno che sa arrivare al tuo cuore e che parla un linguaggio che ti è comprensibile.

Ogni comunità religiosa è chiamata ad essere una piccola comunità di Pentecoste, in cui ogni popolo, ogni persona si sente ascoltata, capita, amata e valorizzata nella sua unicità e diversità. Quando nelle nostre comunità riusciamo a creare un clima di ascolto, si realizza un vero miracolo, un miracolo più bello e più stupefacente di tutti quei ‘miracoli’ o apparizioni sensazionali di cui tanti vanno alla ricerca.

In realtà, è l’ascolto che fa la dimora: quando uno si sente ascoltato trova una dimora. Il sociologo Luigi Gui sostiene che non tutti i senzatetto sono senza dimora. Io posso non avere un tetto sotto cui dormire, ma avere una dimora, cioè un luogo in cui mi sento accolto, degli amici che mi ascoltano; mentre non è detto che chi ha un tetto, abbia automaticamente anche una dimora. Domandiamoci allora: le nostre case religiose sono dimora? Ci potrebbero essere dei missionari con tetto fisso ma senza dimora?

Con la gente

In terzo luogo, l’ascolto, dobbiamo praticarlo con la gente. A questo proposito, fra le principali caratteristiche della “vita bella” (1Pt 2,12) che conduce la comunità cristiana, Pietro sottolinea l’“ospitalità” (1Pt 4,9). Nelle nostre comunità in Italia arriva molta gente (giovani, poveri, anziani) che chiede di essere ascoltata, accolta. Solo una comunità che vive una “vita bella” nell’ospitalità e nell’ascolto è una comunità che rivela la bellezza del Gesù trasfigurato.

Solo una comunità-dimora può attrarre i giovani alla vita religiosa. Non può essere il singolo ‘promotore’, ma è tutta la comunità che – in ascolto della Parola, in ascolto della realtà e in ascolto dei suoi membri – è chiamata a farsi promotrice di una vita bella e fraterna che può affascinare i giovani.

La trasfigurazione come diritto umano

Come dicevamo prima, la Trasfigurazione è l’esperienza di una bellezza che ci trasforma: “È bello stare qui!, esclama Pietro. Sì, tutti noi vogliamo sperimentare e rimanere in questa bellezza; anzi, tra i diritti umani fondamentali, bisognerebbe aggiungere anche la trasfigurazione. Invece, il sistema in cui viviamo non prevede momenti di trasfigurazione: non sa neanche cosa siano o li considera una perdita di tempo, momenti “improduttivi”.

Sappiamo che ormai, in varie parti del mondo, ci sono imprese che non concedono ai lavoratori neanche un giorno di riposo a settimana, neanche la domenica. Lo slogan di queste imprese è: “Lavora, mangia e dormi”. Come se non ci fosse bisogno d’altro! Ma anche i lavoratori hanno diritto alla trasfigurazione, cioè a vivere esperienze forti di bellezza in cui si sentano accolti da un amore che consola e comunica energia, perché una vita senza esperienze di trasfigurazione non è una vita umana. Da questo punto di vista, l’attacco alla domenica cristiana è molto significativo: il fatto di dedicare un giorno in maniera particolare all’ascolto e all’incontro con Gesù è un’assurdità per il sistema dominante, è tempo perso, e così si vorrebbe trasformare anche la domenica in un giorno di lavoro, produzione e consumo – come tutti gli altri. Testimoniare il Gesù Trasfigurato, dunque, implica lottare perché nessun uomo sia considerato un semplice strumento di produzione o un semplice consumatore e perché a tutti sia riconosciuto il diritto a vivere una vita bella e pienamente umana.

Due progetti

Per una strana coincidenza, il 6 agosto, giorno della festa della Trasfigurazione, è anche il giorno in cui, nel 1945, si lanciò la bomba atomica su Hiroshima. Così, mentre Gesù sul monte si trasfigurava in una luce di vita, gli uomini a Hiroshima gettavano una bomba che creava una luce di morte che in un solo giorno fece ‘evaporare’ 100.000 esseri umani, sfigurando il volto e il corpo di molti altri sopravvissuti.

Anche oggi assistiamo alla lotta tra queste due ‘luci’, tra questi due progetti: da un lato la ‘Trasfigurazione’, il progetto di Dio che vuole trasfigurare il mondo, cioè trasformarlo in un Regno di giustizia, bellezza e pace; e dall’altro la ‘Sfigurazione’, il progetto di alcuni potenti disposti a distruggere l’ambiente e a uccidere fratelli pur di conseguire i propri interessi economici. Testimoniare, dunque, come comunità missionaria il Gesù Trasfigurato implica anche un impegno a livello sociale e politico a favore della vita, contro tutte le politiche di morte disposte a sfigurare e a distruggere il pianeta e l’umanità.

Per riflettere:

-            Come comunità, abbiamo dei tempi in cui saliamo insieme sull’‘alto monte’ in ascolto della Parola? Come organizziamo e come viviamo questi momenti?

-            Nella mia vita apostolica e di comunità mi sento amato? Faccio esperienze di trasfigurazione?

-            L’ascolto della ‘parola di vita’ (1Gv 1,1) ci spinge, come comunità missionarie, a impegnarci attivamente contro le parole e contro i progetti di morte?

Fratel Alberto Degan, mccj

“Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il mio Figlio amato; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti” (Mc 9,2-9).

In questo commento mi limiterò a sottolineare alcuni punti che mi hanno toccato di più, a partire dalla mia situazione di missionario rientrato in Italia da meno di due anni.

Su un alto monte

Un giorno, nel bel mezzo della loro attività pastorale, Gesù decide di portare i suoi amici Pietro, Giacomo e Giovanni su un alto monte. Gesù sa che, in mezzo a tante sfide e difficoltà, è facile scoraggiarsi, rassegnarsi alla logica del meno peggio e rinunciare agli obbiettivi originari. Così decide di portare i suoi amici su “un alto monte”: da quella cima si può ammirare un panorama stupendo e rendersi conto dell’esistenza di altre cime, altre valli, altri cieli, di cui non si sospettava nemmeno l’esistenza.

Nel capitolo precedente Gesù aveva parlato della croce: “Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). Non è che Gesù ci dia una croce, la croce, ce l’abbiamo già. A volte è una croce che non vogliamo vedere, e allora ci costruiamo un’immagine falsa di noi se stessi. Gesù ci dice: “Rinnegate quest’immagine falsa di voi stessi e prendete con umiltà la vostra croce, cioè la vostra verità; se mi seguite e mettete la vostra croce nelle mie mani, io farò miracoli con la verità della vostra fragilità, e voi sperimenterete la resurrezione”.

Come afferma Jean Vanier, noi tendiamo a nascondere il nostro vero io, perché temiamo che se la gente ci conoscesse per quello che siamo realmente non ci stimerebbe più. “Allora assumo un atteggiamento o di forza o di amabilità, perché non voglio che si riveli il mio essere segreto: ho paura che gli altri scoprano il mio lato tenebroso, depressivo. Ho paura di essere rifiutato”. Insomma, ho paura di ritrovarmi solo con i miei limiti, solo con la mia croce. E invece Gesù ci dice: “Prendi la tua croce! E poi andiamo insieme in montagna!”. Che bello! Non abbiamo bisogno di essere diversi da quello che siamo per essere degni della compagnia di Gesù: Gesù vuole camminare in montagna con me: poteva scegliere uno più bello, uno più agile; e invece mi porta sul monte con le mie croci, per farmi capire che, illuminata dalla sua Trasfigurazione, anche la mia ferita può brillare ed essere fonte di vita. Tutti abbiamo bisogno di passare qualche momento sull’alto monte. Di fatto, se rimaniamo ai piedi del monte e ci concentriamo solo su un problema o su una fragilità – e non sappiamo vedere più in là – potremmo perderci e ‘morire’ in questo problema e rischieremmo di essere schiacciati da questa fragilità. Mentre l’ampio sguardo di Dio ci dischiude orizzonti nuovi e impensati.

Gesù risplende

Che cosa vedono i discepoli quando giungono sulla cima del monte? Vedono la bellezza di Gesù che risplende: “Le sue vesti divennero splendenti, bianchissime... E Pietro disse a Gesù: Maestro, è bello per noi stare qui”. Gesù evangelizza i suoi discepoli, prima di tutto, attraverso la sua bellezza e il suo splendore: la bellezza del Gesù trasfigurato brilla, affascina, ti fa venire voglia di Dio, voglia di stare con Lui, voglia di entrare nel suo cuore, voglia di vivere davvero come suo figlio e fratello.

Cos’è che fa risplendere e trasfigura Gesù? Penso che la risposta, possiamo trovarla in quelle parole che escono da una nube che appare all’improvviso: “Questi è il mio Figlio amato”. È la Parola d’amore che ci trasfigura, perché quando uno si sente profondamente amato, non c’è più posto nel suo cuore per la rassegnazione, il cinismo, la tristezza e la violenza, perché la bellezza che sperimenta in quel momento occupa tutto il suo cuore, producendo sentimenti di gratitudine e di tenerezza che gli infondono forza ed energia.

Questa Parola, il Padre la rivolge a Gesù, ai suoi fratelli e a ciascuno di noi. Quando ci sentiamo amati e percepiamo che siamo importanti per qualcuno, siamo disposti a introdurre cambiamenti importanti nella nostra vita: questo pensiero ci dà l’energia necessaria per trasformarci, e ci permette di affrontare la croce con fede e speranza.

Ascoltatelo!

Gesù trasfigurato è bellissimo. E noi siamo chiamati a vivere e a testimoniare questa bellezza. Come? Prima di tutto ascoltandolo, cioè ascoltando le parole di Gesù.

Ascoltare ed essere ascoltati è un’altra esperienza che ci trasfigura. Quando parliamo e sentiamo che le nostre speranze e le nostre sofferenze toccano davvero il cuore di chi ci ascolta, ci commuoviamo e proviamo un senso di gratitudine profonda. Dall’altro lato, anche chi ascolta si commuove nel vedere che il fratello vuole farlo entrare nello spazio sacro del suo cuore. E così diventa un’esperienza di trasfigurazione per tutti e due: per chi ascolta e per chi è ascoltato.

E in effetti la Parola ha un potere enorme: “La parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto e senza aver operato ciò che desidero” (Is 55,11). La Parola di Dio – se l’ascoltiamo, la custodiamo e ci facciamo fecondare da lei – può davvero trasfigurarci e produrre grandi cambiamenti: nella nostra vita personale e nella vita delle nostre comunità.

Scendendo dal monte

Dopo aver ascoltato la sua Parola siamo chiamati a viverla in tutta la sua bellezza, e per questo dobbiamo scendere dal monte. “Guardandosi attorno, non videro più nessuno”: certo, la visione è durata poco; è scomparsa, ma non del tutto. È come quando nell’oscurità si accende un fiammifero che per un istante produce luce e in questo breve momento di luce ti lascia vedere cammini insospettati da percorrere. Poi si spegne, ma lascia dietro di sé un fumigare, un odore di fuoco e di bellezza. E questo fumigare permane nel tuo cuore, continuando ad alimentare il sogno e a profumare la vita.

Siamo dunque chiamati ad essere fedeli alla bellezza di questa visione e di questa Parola anche quando siamo scesi dal monte. La luce del Gesù trasfigurato, custodita nel nostro cuore, ci aiuterà a mantenere lo spirito della trasfigurazione anche di fronte alla croce più pesante e a conservare il calore di questo fumigare anche in mezzo alla fredda aridità di tante difficoltà quotidiane.

Rientrando in patria

Fare esperienze di trasfigurazione è fondamentale per ogni essere umano. Una vita senza momenti di trasfigurazione sarebbe una vita disumana.

Quest’esperienza, comunque, dev’essere presente in ogni tappa della nostra vita missionaria. Quando si ritorna in patria, l’Europa per me, si può correre il rischio di pensare di ‘vivere di rendita’, custodendo nel nostro cuore momenti di trasfigurazione vissuti in Africa o in America Latina. Perché la nostra vita sia pienamente umana anche qui in patria, dobbiamo sperimentare la bellezza del Gesù trasfigurato. I giovani devono poter vedere in noi delle comunità trasfigurate che conducono una vita bella, una vita che li affascina.

Una comunità che risplende

Nel brano di Marco è la comunità – rappresentata da Pietro, Giacomo e Giovanni - che vede e sperimenta la bellezza della trasfigurazione: è la comunità che è chiamata a risplendere. Come i tre discepoli rimangono affascinati dallo splendore di Gesù, così anche le comunità cristiane sono chiamate a “risplendere come astri” (Fil 2,15). Nel Documento di Aparecida, i vescovi latino-americani affermano che “la Chiesa come comunità di amore é chiamata a riflettere la gloria dell’amore di Dio, per poter così attrarre le persone e i popoli verso Cristo” (n. 159). E poi aggiungono:“Ogni comunità cristiana deve trasformarsi in un potente centro di irradiazione della vita in Cristo” (n. 362).

Applicando tutto questo alla nostra realtà, potremmo domandarci: le nostre comunità comboniane sono belle? Risplendono, attraggono? E come potrebbero risplendere?

Seguendo il suggerimento di questo brano, il primo strumento per risplendere è la pratica dell’ascolto. Prima di tutto, dobbiamo ascoltare la Parola di Gesù nella preghiera personale e in quella comunitaria. La celebrazione comunitaria della Parola dovrebbe essere per noi il primo ‘monte alto’ su cui sperimentare la trasfigurazione.

In secondo luogo, dobbiamo ascoltarci fra noi, membri della comunità. Una delle prime difficoltà che incontra un missionario quando rientra in Europa, ad esempio, è trovare qualcuno che sia capace e abbia voglia di ascoltarlo davvero. Quando si rientra in Italia si vive la sofferenza del distacco dalla missione, la difficoltà di entrare in dinamiche comunitarie molto diverse da quelle che si vivevano prima, ecc. In questo momento delicato, trovare qualcuno disposto ad ascoltarci è una vera grazia di Dio, una vera esperienza di trasfigurazione.

Il miracolo dell’ascolto

Il giorno di Pentecoste gli apostoli “cominciarono a parlare in altre lingue” e ciascuno dei credenti provenienti da tutte le parti del mondo “li ascoltava parlare nella propria lingua” (At 2,4.6). Il vero miracolo sta nell’ascoltare, non nel parlare. Il miracolo consiste nell’ascoltare qualcuno che sa arrivare al tuo cuore e che parla un linguaggio che ti è comprensibile.

Ogni comunità religiosa è chiamata ad essere una piccola comunità di Pentecoste, in cui ogni popolo, ogni persona si sente ascoltata, capita, amata e valorizzata nella sua unicità e diversità. Quando nelle nostre comunità riusciamo a creare un clima di ascolto, si realizza un vero miracolo, un miracolo più bello e più stupefacente di tutti quei ‘miracoli’ o apparizioni sensazionali di cui tanti vanno alla ricerca.

In realtà, è l’ascolto che fa la dimora: quando uno si sente ascoltato trova una dimora. Il sociologo Luigi Gui sostiene che non tutti i senzatetto sono senza dimora. Io posso non avere un tetto sotto cui dormire, ma avere una dimora, cioè un luogo in cui mi sento accolto, degli amici che mi ascoltano; mentre non è detto che chi ha un tetto, abbia automaticamente anche una dimora. Domandiamoci allora: le nostre case religiose sono dimora? Ci potrebbero essere dei missionari con tetto fisso ma senza dimora?

Con la gente

In terzo luogo, l’ascolto, dobbiamo praticarlo con la gente. A questo proposito, fra le principali caratteristiche della “vita bella” (1Pt 2,12) che conduce la comunità cristiana, Pietro sottolinea l’“ospitalità” (1Pt 4,9). Nelle nostre comunità in Italia arriva molta gente (giovani, poveri, anziani) che chiede di essere ascoltata, accolta. Solo una comunità che vive una “vita bella” nell’ospitalità e nell’ascolto è una comunità che rivela la bellezza del Gesù trasfigurato.

Solo una comunità-dimora può attrarre i giovani alla vita religiosa. Non può essere il singolo ‘promotore’, ma è tutta la comunità che – in ascolto della Parola, in ascolto della realtà e in ascolto dei suoi membri – è chiamata a farsi promotrice di una vita bella e fraterna che può affascinare i giovani.

La trasfigurazione come diritto umano

Come dicevamo prima, la Trasfigurazione è l’esperienza di una bellezza che ci trasforma: “È bello stare qui!, esclama Pietro. Sì, tutti noi vogliamo sperimentare e rimanere in questa bellezza; anzi, tra i diritti umani fondamentali, bisognerebbe aggiungere anche la trasfigurazione. Invece, il sistema in cui viviamo non prevede momenti di trasfigurazione: non sa neanche cosa siano o li considera una perdita di tempo, momenti “improduttivi”.

Sappiamo che ormai, in varie parti del mondo, ci sono imprese che non concedono ai lavoratori neanche un giorno di riposo a settimana, neanche la domenica. Lo slogan di queste imprese è: “Lavora, mangia e dormi”. Come se non ci fosse bisogno d’altro! Ma anche i lavoratori hanno diritto alla trasfigurazione, cioè a vivere esperienze forti di bellezza in cui si sentano accolti da un amore che consola e comunica energia, perché una vita senza esperienze di trasfigurazione non è una vita umana. Da questo punto di vista, l’attacco alla domenica cristiana è molto significativo: il fatto di dedicare un giorno in maniera particolare all’ascolto e all’incontro con Gesù è un’assurdità per il sistema dominante, è tempo perso, e così si vorrebbe trasformare anche la domenica in un giorno di lavoro, produzione e consumo – come tutti gli altri. Testimoniare il Gesù Trasfigurato, dunque, implica lottare perché nessun uomo sia considerato un semplice strumento di produzione o un semplice consumatore e perché a tutti sia riconosciuto il diritto a vivere una vita bella e pienamente umana.

Due progetti

Per una strana coincidenza, il 6 agosto, giorno della festa della Trasfigurazione, è anche il giorno in cui, nel 1945, si lanciò la bomba atomica su Hiroshima. Così, mentre Gesù sul monte si trasfigurava in una luce di vita, gli uomini a Hiroshima gettavano una bomba che creava una luce di morte che in un solo giorno fece ‘evaporare’ 100.000 esseri umani, sfigurando il volto e il corpo di molti altri sopravvissuti.

Anche oggi assistiamo alla lotta tra queste due ‘luci’, tra questi due progetti: da un lato la ‘Trasfigurazione’, il progetto di Dio che vuole trasfigurare il mondo, cioè trasformarlo in un Regno di giustizia, bellezza e pace; e dall’altro la ‘Sfigurazione’, il progetto di alcuni potenti disposti a distruggere l’ambiente e a uccidere fratelli pur di conseguire i propri interessi economici. Testimoniare, dunque, come comunità missionaria il Gesù Trasfigurato implica anche un impegno a livello sociale e politico a favore della vita, contro tutte le politiche di morte disposte a sfigurare e a distruggere il pianeta e l’umanità.

Per riflettere:

- Come comunità, abbiamo dei tempi in cui saliamo insieme sull’‘alto monte’ in ascolto della Parola? Come organizziamo e come viviamo questi momenti?

- Nella mia vita apostolica e di comunità mi sento amato? Faccio esperienze di trasfigurazione?

- L’ascolto della ‘parola di vita’ (1Gv 1,1) ci spinge, come comunità missionarie, a impegnarci attivamente contro le parole e contro i progetti di morte?

Fratel Alberto Degan, mccj