Fanatismo, fondamentalismo, intolleranza, settarismo, integralismo, intransigenza, proselitismo, relativismo, sincretismo, oppure dialogo, apertura, missione... La parola di Gesù nel Vangelo di oggi viene a far chiarezza su un cumulo di parole che oggi abbondano nel linguaggio di tante persone e nei media, che, in vario modo, discutono su questi temi di attualità religiosa e politica.

NEL SUO NOME

Chi non è contro di noi è per noi”.
Marco 9,38-48

Il brano del vangelo di oggi è la continuazione di quello di domenica scorsa. Siamo ancora “in casa” (Marco 9,33), la casa di Pietro e di Gesù. Il fatto che questo accada in casa ha una valenza simbolica. Significa che Gesù si sta rivolgendo in particolare alla comunità cristiana, dando ai suoi delle normative di vita.

Dopo la questione di chi fosse il più grande e la catechesi di Gesù sulla piccolezza, viene a galla un altro fatto, sollevato dall’apostolo Giovanni: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Gli “esorcisti”, per dare forza al loro esorcismo, solevano invocare nomi di angeli e di personaggi che si supponeva avessero un potere di guarigione. I Dodici erano gelosi (come Giosuè nella prima lettura) che altri al di fuori del gruppo si servissero del nome del loro Maestro. La risposta di Gesù è perentoria: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”.

Susseguono tre detti di Gesù incastonati qui, apparentemente non connessi tra di loro. In realtà ogni sentenza è collegata alla precedente tramite una parola o un argomento. Tre temi emergono dall’insieme del testo del vangelo: il nome di Gesù, la piccolezza e lo scandalo (verso i piccoli e verso noi stessi).

Spunti di riflessione

1. “Nel tuo nome”. Da quanto dice l’apostolo Giovanni, sembra che i Dodici volevano “impadronirsi” del nome di Gesù. Solo loro potevano scacciare i demòni nel suo nome. Pretendevano averne l’esclusiva. Quell’altro lo faceva abusivamente perché non era “uno di loro”. La tentazione di monopolizzare il nome di Cristo, di incapsularlo nella nostra chiesa, nel nostro gruppo, associazione o movimento, è sempre attuale. Abbiamo diviso il mondo in due: noi che siamo “dentro” e gli altri che sono “fuori”. Ma chi è veramente “dentro” e chi invece “fuori”?

Lo Spirito è libero e non si lascia confinare. Il Regno di Dio non conosce frontiere di pensiero, di credo o di religione. Egli è presente e agisce dovunque, sia nel cuore del credente come dell’agnostico o dell’ateo. Solo Dio è davvero “cattolico”, cioè universale! Noi, purtroppo, talvolta siamo come Giovanni e Giosuè: vorremmo accaparrarci lo Spirito e soffriamo di gelosia constatando che tanti sono più bravi, più generosi e solidali di noi, senza fare riferimento al nome di Cristo. Un giorno essi ascolteranno con stupore questa parola di Gesù: “l’avete fatto a me” e “l’avete fatto grazie a me”! Si può agire nel nome di Cristo senza nemmeno saperlo. Il cristiano “cattolico” è colui che è capace di riconoscere questa presenza, meravigliarsi e lodare il Signore, santificando il suo Nome.

L’espressione “nel mio nome” (in bocca a Gesù) o “nel tuo nome” (in bocca agli apostoli) o nel nome di Gesù/Cristo/Signore appare frequentemente nel Nuovo Testamento, ma particolarmente nei vangeli (quasi una quarantina di volte) e negli Atti degli Apostoli (una trentina di volte). Il cristiano è colui che agisce nel nome di Gesù: nasce, vive, opera, prega, annuncia, scaccia i demoni, soffre, è perseguitato, muore… sempre a causa del Suo Nome. Il Suo Nome diventa progressivamente la nostra identità, fino a poter dire come Paolo: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Galati 2,20).

Possiamo chiederci, tuttavia, se è questo nome che regola la nostra vita. Perché può capitare che siano altri nomi (dei numerosi idoli) ad essere padroni della nostra vita, dimenticandoci che “in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (Atti 4,12).

2. I piccoli gesti fatti nel Suo Nome. “Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua (Matteo aggiunge: “fresca”) nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”. Questo detto di Gesù, sul valore dei piccoli gesti, si collega al precedente per l’allusione al nome di Gesù. Fare le cose nel nome di Cristo porta un surplus di grazia, anche se si tratta di piccoli gesti, perché “sono i gesti minimi che rivelano la verità profonda dell’uomo” (S. Fausti).

3. L’attenzione verso i piccoli: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare.” Essere gettato in mare era la peggiore delle morti perché solo il corpo sepolto sarebbe risuscitato. Gesù si riferisce qui ai deboli nella fede, ma quanto egli dice si può applicare a tutti i generi di piccoli: i marginalizzati, i poveri, i sofferenti, i bisognosi…

4. La potatura. “Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala… Se il tuo piede…, taglialo… Se il tuo occhio…, gettalo via!”. Gesù usa delle espressioni assai dure per esprimere la determinazione nella lotta contro quanto nella nostra vita ci fa inciampare e cadere. Forse di mani, di piedi e di occhi ne avremmo da tagliare o da cavare. Tante volte siamo come certe figure della mitologia greca, con cento mani che afferrano tutto, cento piedi che ci fuorviano continuamente dalla retta via, cento occhi che ci impediscono di concentrare il nostro sguardo su Cristo. La vita del cristiano richiede una potatura continua. Forse oggi questa parola ci invita ad un esame di coscienza per discernere cosa dovrei potare per non correre il rischio di perdere la vita.

P. Manuel João Pereira Correia, mccj

Tre “detti” di Gesù
Commentario a Mc 9, 38-48

I vangeli, oltre a narrare episodi della vita di Gesù e riprodurre le sue parabole, raccolgono e organizzano, ognuno a suo modo, collezioni di “detti” che Lui sicuramente ha pronunciato in diverse circostanze e luoghi e che i primi discepoli ricordavano a memoria come un tesoro di sapienza a come una guida pratica per la loro vita. Nel testo che leggiamo oggi, troviamo tre di questi detti, che io capisco come segue:

1. Il bene non ha frontiere religiose o di un altro tipo. Le parole di Gesù – “chi non è contro di noi è con noi” – furono dette perché qualcuno voleva impedire a delle persone che non appartenevano al gruppo dei discepoli di agire nel nome di Gesù. In certo senso, sarebbe come si noi impedissimo ai non cristiani di aiutare i poveri. Invece qualunque bene ci sia è sempre una partecipazione alla bontà di Dio. Dobbiamo riconoscerlo, ringraziarlo e gioire.

2. Un bicchiere d’acqua può avere un valore infinito. Gesù dice esattamente: “Chi da un bicchiere d’acqua nel mio nome, non rimarrà senza ricompensa”. Ci vuole poco per rallegrare la vita di una persona, per farla sentire rispettata, per dare un po’ di speranza in momenti di difficoltà. Dare un bicchiere d’acqua è un segno di accoglienza, di rispetto, di disponibilità a “dare una mano” se ce n’è bisogno. Chi offre un bicchiere d’acqua è aperto all’altro e chi è aperto all’altro, è aperto a Dio. Qual è il bicchiere d’acqua che io posso offrire alle persone che trovo vicine a me?

3. Attenzione a non fare inciampare i piccoli! Marco raccoglie qui tre frasi che hanno un elemento comune nel suo riferimento allo “scandalo”. Sappiamo che questa parola significa, in realtà, “inciampo”, cioè, “sgambetto”, fare che una persona senza protezione cada per terra. Gesù, che è buono e gentile, diventa duro con quelli che profanano la casa del suo Padre (tempio) e quando qualcuno vuole fare lo sgambetto ai piccoli, quelli che hanno solo Dio come fonte di speranza. Non si gioca con i piccoli di Dio.
Allo stesso tempo, Gesù ci dice qualcosa come questo: “Non fatevi lo sgambetto a voi stessi; se qualcosa vi fa male, non indugiate, siate chiari e decisi nella abbandonare l’occasione del male”.
Oggi, come ogni domenica, celebrando l’Eucaristia e ascoltando le parole di Gesù, diciamo: Amen, grazie, io voglio che queste parole illumino la mia vita oggi e sempre; aiutami a fare che diventino vere in me.
P. Antonio Villarino
Bogotà

Evangelizzare senza monopolizzare Dio

Nm 11,25-29; Sl 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

Riflessioni
Fanatismo, fondamentalismo, intolleranza, settarismo, integralismo, intransigenza, proselitismo, relativismo, sincretismo, oppure dialogo, apertura, missione... La parola di Gesù nel Vangelo di oggi viene a far chiarezza su un cumulo di parole che oggi abbondano nel linguaggio di tante persone e nei media, che, in vario modo, discutono su questi temi di attualità religiosa e politica. Gesù prende lo spunto dall’eccesso di zelo dell’apostolo Giovanni e di altri discepoli, che volevano impedire ad un tale di scacciare i demoni nel nome di Gesù, “perché non ci seguiva” (v. 38). Gesù interviene dicendo: “Non glielo impedite” (v. 39). In un’analoga circostanza, anche Mosè (I lettura) era intervenuto contro la richiesta gelosa di Giosuè, suo collaboratore e futuro successore; Mosè auspicò non una restrizione ma una maggior effusione dello Spirito del Signore sul popolo: “Fossero tutti profeti!” (v. 29).

Giosuè e Giovanni – il giovane apostolo che ben merita il titolo di ‘figlio del tuono’, come lo chiama Gesù (Mc 3,17) – hanno, purtroppo, numerosi seguaci in ogni cultura e religione. Impedire, vietare… i verbi cari a Giosuè e a Giovanni, non sono accetti a Gesù, il quale non vuole proibire a nessuno di fare del bene o di pronunciare parole di verità (v. 39). Quella di Giosuè e di Giovanni è la tentazione tipica di ogni movimento integralista e di ogni persona chiusa nel suo ghetto. La paura di ciò che è diverso per origine, cultura, religione…, provoca sentimenti e prassi di chiusura, esclusivismo, respingimenti. In alcuni partiti e ambienti politici la xenofobia arriva fino a considerare l’altro come un criminale per il solo fatto di essere uno straniero, immigrato, profugo, rifugiato, clandestino.

È degna di nota la ragione addotta da Giovanni: “Volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva” (v. 38), non era dei nostri. “Non dice che non segue Gesù, ma che non segue loro, i discepoli, rivelando così che avevano, radicata, la convinzione di essere gli unici e indiscussi depositari del bene. Gesù apparteneva solo a loro, erano loro il punto di riferimento obbligato per chiunque volesse invocare il Suo nome e si sentivano contrariati dal fatto che qualcuno compisse prodigi senza appartenere al loro gruppo... L’orgoglio di gruppo è molto pericoloso: è subdolo e fa ritenere santo zelo ciò che è solo egoismo camuffato, fanatismo e incapacità di ammettere che il bene esiste anche al di fuori della struttura religiosa cui si appartiene” (Fernando Armellini).

Qui sono in gioco valori missionari di prima grandezza. La salvezza e la possibilità di fare il bene non sono monopolio di una classe di eletti o di specialisti, ma un dono di Dio, offerto ampiamente ad ogni persona aperta al bene e disponibile a farsi portatrice di amore e di verità. (*) Lo Spirito del Signore ci è dato gratuitamente, ma non in esclusiva: nessuno, nessuna religione può avere la pretesa di monopolizzare Dio, il suo Spirito, la verità o l’amore. La risposta di Gesù (v. 39) non cambia se colui che fa opera di bene è clandestino, musulmano, buddista, rom, respinto, carcerato, drogato… Ciò non toglie nulla alla verità di Cristo unico Salvatore, anzi ne sottolinea l’universalità missionaria.

Per una corretta comprensione di questa dottrina, è necessario evitare due estremi: da una parte, il fanatismo intollerante di chi non ammette altra verità al di fuori della propria; e dall’altra parte, il relativismo che non riconosce nessuna verità come sicura e lascia tutto nell’incertezza e confusione. “La verità è una sola, ma ha molte facce come un diamante”, affermava Gandhi. Secondo la fede cristiana, Gesù è la Parola del Padre, è la verità personificata e incarnata, da cui derivano i semi di verità e di amore presenti nel mondo intero: da Lui provengono, a Lui si riconducono. Solo con questo duplice movimento – centralità e irradiazione di Cristo – si superano i pericoli dell’integralismo e del relativismo. L’evangelizzazione si fonda sulla possibilità di un dialogo. Lo zelo missionario ben inteso non è fanatismo, né imposizione, ma proposta, testimonianza gioiosa della propria esperienza di vita, fede e amore per Gesù Cristo. È l’unico cammino per la diffusione del Vangelo.

Parola del Papa

“La maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni ad entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”.
Papa Francesco
Enciclica «Laudato si’», 24.5.2015, n. 201

P. Romeo Ballan, mccj

Attenti al bene che è seminato in ogni uomo
Nm 11,25-29; Sl 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-48

Il brano evangelico di questa domenica fa seguito alla pericope di domenica scorsa. Infatti Gesù continua la stessa catechesi ai suoi discepoli, a causa della loro incomprensione. Oggi proprio Egli corregge l’impulsività di Giovanni che si oppone con durezza agli altri e gli insegna un atteggiamento di comprensiva accoglienza. Agli occhi di Giovanni un esorcista che fa ricorso al nome del suo maestro senza appartenere al gruppo dei suoi discepoli è un abusivo. In questo intervento si avverte l’eco delle tensioni tra i diversi gruppi che si richiamano alla figura di Gesù.

«Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi». Gesù amplia l’orizzonte dei suoi discepoli e nello stesso tempo corregge l’impostazione esclusivistica di Giovanni, il portavoce di un atteggiamento rigido ed intransigente. Non solo i discepoli di Gesù possono adoperare il suo nome per compiere esorcismi, cioè un’opera simile a quelle di Gesù, e a favore dell’umanità. L’impegno a favore dell’uomo nella stessa direzione di Gesù non è prerogativa esclusiva di nessuno.

L’atteggiamento di Gesù, che contrasta con lo spirito settario dei suoi discepoli, si può accostare a quello di Mosè nella prima lettura dal libro dei Numeri (11- 25- 29). Eldad e Medad profetizzano nell’ accampamento, nonostante la loro assenza nella tenda durante la discesa dello Spirito.

Allora Giosuè disse: “Mosè, signor mio impediscili e volesse il Signore dare loro il suo spirito”. Ma Mosè rispose: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo Spirito”. L’azione di Dio che opera mediante il suo Spirito non può essere circoscritta dentro i confini di una comunità definita unicamente in base ai criteri di appartenenza e di cerchia. La riflessione teologica di Mosè sul senso del dono dello Spirito si accosta spontaneamente al messaggio del vangelo: il desiderio di Gesù è che lo Spirito trasformi tutti, perché ciascuno possa lasciarsi guidare da Dio e comunicare ad altri la sua volontà, come pure i suoi doni.

La seconda parte del vangelo di questa domenica riguarda l’insegnamento di Gesù sullo scandalo. Secondo il linguaggio biblico, lo scandalo indica un pericolo per la salvezza, cioè una scossa per la fede. Per cui chi scandalizza è un individuo che vuol fare cadere un altro, sviarlo dalla fede, rendergli difficile la strada della sua adesione al Cristo. Coloro che corrono il rischio di essere scandalizzati sono designati da Gesù come i piccoli. Non sono i bambini di cui si parlava domenica scorsa, ma i membri più deboli e fragili della comunità. La fede di questi più umili e semplici ed indifesi è un bene tale, che nessuno può rapirlo impunemente: “chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare״. È una delle peggiori disgrazie che possano capitare, perché non lascia la possibilità di una regolare sepoltura.

Ma c’è anche lo scandalo nei confronti del proprio cammino di fede. Si accenna alla mano, al piede e agli occhi come occasione di scandalo. La mano simboleggia qualcuno o qualcosa cui si è particolarmente attaccati, che ci è caro ed utile, oppure un’attrattiva esagerata per l’azione. Il piede indica l’orientamento errato della vista. Infine l’occhio esprime i cattivi desideri.
Don Joseph Ndoum