Il racconto della chiamata di Abramo e la rivelazione di Gesù come Figlio prediletto di Dio, sul monte santo, sono i due punti focali della liturgia della parola di questa seconda domenica di Quaresima. Per quanto riguarda Gesù, oggi infatti egli si rivela a noi nella sua trasfigurazione. Ce lo presenta il Padre come il Figlio amato: è a lui che dobbiamo aderire; è sulla sua parola che la nostra vita deve essere programmata.

Domenica dei tre monti

“Rabbì, è bello per noi essere qui!”
Matteo 9, 2-10

Domenica scorsa lo Spirito Santo ci spinse con Gesù nel deserto per affrontare i “nostri demòni” e per uscirne vincitori come Gesù, nuovo Adamo. La lotta non è finita, i demòni ritorneranno “al momento opportuno”, ma non possiamo rimanere lì. Il nostro cammino quaresimale prevede diverse tappe, sei per l'esattezza, tante quante le domeniche della santa Quaresima.

1. Dal deserto al monte

Se la prima domenica di Quaresima l’avevamo chiamata “delle tentazioni”, la seconda potremmo chiamarla “dei monti”. Infatti, nella prima lettura si parla del monte Mòria, dove Abramo era andato per offrire Isacco suo figlio, monte che la tradizione ha identificato con il monte del Tempio a Gerusalemme. Nel vangelo è questione di “un alto monte”, della Trasfigurazione, che la tradizione ritiene essere il monte Tabor, in Galilea. Nel sottofondo di questi due intravediamo un terzo monte: il Golgota!

Oggi il Signore ci prende con sé e ci conduce su questo “alto monte” del Tabor. Forse alcuni di noi ci sono già stati e hanno goduto dell'ampia e bella panoramica che esso offre. Oggi, però, non ci andiamo da turisti o escursionisti e nemmeno da pellegrini. Ci andiamo da discepoli, impersonati dai tre amici intimi di Gesù: Pietro, Giacomo e Giovanni. Per poterlo fare, bisogna immedesimarsi nella loro situazione. Stavano attraversando un brutto momento di crisi. Sei giorni prima avevano fatto la loro professione di fede. Alla domanda di Gesù: “Voi chi dite che io sia?”, Pietro aveva risposto a nome di tutti: “Tu sei il Cristo!”. Gesù, però, li aveva freddati con un annuncio inaudito, dicendo loro che egli non era il Messia che essi si attendevano, ma che l'aspettava la sofferenza e la morte, prima di risorgere al terzo giorno. Pietro si era sentito in dovere di ammonirlo, in disparte, ma Gesù lo rimproverò duramente davanti a tutti: “Va’ dietro a me, Satana!”. Poi, con un atteggiamento di grande distacco che rattristò profondamente il cuore di tutti, disse: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua!”. Come dicendo: o così o andate a casa, siete liberi! Lo scandalo della croce è stata la prima grande tentazione del discepolo!

Possiamo immaginare quanto sia stata dura e faticosa quella ascensione al monte. Non tanto per la salita di circa 500 metri – con Gesù erano diventati dei grandi camminatori! - ma per la pesante zavorra che si portavano nel cuore. Si tratta di una esperienza che conosciamo anche noi, a meno che non abbiamo preso sul serio questa parola di Gesù sulla croce!

2. Il mistero del Volto e dei volti!

Abbiamo sentito dal vangelo il racconto di cosa è successo sul monte: un'esperienza eccitante di bellezza e di luce; di incontro tra l'umano e il divino; di dialogo tra la Parola (Cristo) e la Torah (Mosè) e i Profeti (Elia); di timore sacrale nell'entrare nella nube luminosa; di ascolto della Voce che proclama: “Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!”... Si tratta di un anticipo dell'esperienza della risurrezione di Gesù e della nostra beatitudine!

Questa esperienza non è riservata a pochi eletti, ma è offerta ad ognuno di noi. Certo, in un modo più umile, ma non per questo meno vero. Senza di essa la fede sarebbe priva della gioia del vangelo e la vita cristiana diventerebbe un fardello insopportabile. La Quaresima è un tempo propizio per fare questa esperienza. A certe condizioni, però! Prima di tutto, bisogna avere il coraggio di lasciare dietro la “pianura” e di affrontare la salita del monte. Poi, sostare a lungo sulla cima, in preghiera di contemplazione. Ciò ci permette di avere tutta un'altra prospettiva dell'esistenza. Infine, scenderemo a valle rinnovati per riprendere la vita con nuovo vigore, serbando nel cuore la Luce e la Parola di quell'incontro. La Trasfigurazione è un'icona della preghiera. Nella iconografia orientale l'icona della Trasfigurazione è il vero esame dell'iconografo, perché tutte le altre icone sono illuminate dalla luce del Tabor!

Sorgente di questa luce è il volto di Cristo. “Il suo volto brillò come il sole”, dice Matteo (17,2). Tutti cerchiamo quel volto, come dice il salmista: “Il tuo volto, o Signore, io cerco!” (Salmo 23). Quel volto ci rivela la nostra identità profonda, il nostro vero volto, dietro le tante maschere e trucchi. Da quell'incontro si esce trasfigurati, col volto raggiante come Mosè quando usciva dalla presenza di Dio (Esodo 34,35).

Solo chi ha contemplato la bellezza di quel Volto può riconoscerlo anche nell' “Ecce Homo” e in tutti i volti sfregiati dalla sofferenza e dall'ingiustizia e, di conseguenza, si adopererà ad asciugare le lacrime e a curare le ferite dei sofferenti!

3. Di croce in croce o di gloria in gloria?

La vita cristiana è una esperienza di trasfigurazione continua fino alla trasfigurazione finale della risurrezione. Trovo molto eloquente un testo di San Paolo: “E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.” (2 Corinzi 3,18). Questa visione paolina della vita del cristiano contrasta con una nostra concezione della fede come un peregrinare di croce in croce per arrivare in paradiso. Paolo, invece, ci dice che andiamo di trasfigurazione in trasfigurazione, di gloria in gloria, fino alla Trasfigurazione finale. Si tratta di una visione della vita cristiana ben più bella e stimolante!

Per la riflessione personale della settimana:
1) Riprendi in mano la seconda lettura: Romani 8,31-34.
2) Confronta il tuo modo di concepire la vita cristiana con quello di Paolo.
3) Ti sembra di coltivare dei momenti di esposizione alla luce del Volto di Cristo?

P. Manuel João Pereira Correia, comboniano
Verona, febbraio 2024

La trasfigurazione di Gesù.
Dio si rivela all’uomo per attrarlo a sé

Gen 22,1-2.9; Salmo 115/116; Rom 8,31b.34; Mc 9,2-10

Il racconto della chiamata di Abramo e la rivelazione di Gesù come Figlio prediletto di Dio, sul monte santo, sono i due punti focali della liturgia della parola di questa seconda domenica di Quaresima. Abramo parte dalla sua patria, come il Signore gli ha ordinato, con questa promessa: “farò di te un grande popolo”. Ecco il frutto della fede, che diviene operosa e che trasforma la vita. In realtà la sua fede sarà messa a dura prova, ma la sua fedeltà a Dio rimarrà un esempio per tutti gli uomini. Credere in Dio in modo di Abramo vuol dire lasciarsi guidare dalla sua parola.

Per quanto riguarda Gesù, oggi infatti egli si rivela a noi nella sua trasfigurazione. Ce lo presenta il Padre come il Figlio amato: è a lui che dobbiamo aderire; è sulla sua parola che la nostra vita deve essere programmata. Quindi, dopo l’appello di Gesù, domenica scorsa, a vincere le tentazioni con l’arma della parola di Dio, la seconda tappa del cammino quaresimale sta sotto il segno dell’ascolto e dell’obbedienza. Queste due categorie vengono scoperte alla luce dell’esperienza di Abramo e della parola-rivelazione del Padre: “Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo” Nel linguaggio biblico, “ascoltare” vuol dire udire, esaudire, obbedire. Questo significa che l’ascolto deve sfociare nell’esaudire, nell’obbedire e nell’agire. E l’esistenza del credente consiste in un ascoltare Dio, cioè in un accogliere la sua parola per metterla in pratica, la quale è spesso una chiamata alla conversione. Il vangelo della Trasfigurazione di Gesù è la seconda rivelazione della sua identità filiale, dopo la prima avvenuta all’occasione del suo battesimo.

In tutti e due gli eventi, la voce del Padre presenta Gesù come Figlio prediletto. L’aspetto nuovo della Trasfigurazione è l’invito all’ascolto del Figlio. E’ Dio Padre che offre la propria garanzia ai rappresentanti dei discepoli: Gesù, suo Figlio, il diletto, è il profeta che devono ascoltare. E’ lui la Parola, il Vangelo, l’inabitazione e la tenda o la presenza di Dio tra gli uomini, colui nel quale abita e risuona la parola del Padre.

Mosè ed Elia, personificazione rispettiva della legge e dei profeti, convengono presso Gesù. La loro comparsa accanto a Gesù conferma che il tempo dell’attesa e della promessa è compiuto. Al termine resta solo Gesù, perché basta solo lui come dottore della legge perfetta e definitiva, e come compimento di tutte le attese. Nell’episodio della Trasfigurazione, che si colloca dopo il primo annuncio della passione, sono coinvolti solo tre discepoli, che forse sarebbero capaci di custodire il segreto di questa teofania. Sulla conversazione tra Gesù e i due uomini, Mosè ed Elia: parlavano della sua sofferenza e della sua morte vicina., e probabilmente loro confortavano Gesù. La voce del Padre sembra anche un incoraggiamento in previsione della Passione. Il Padre invocato a gran clamore durante la notte di Getsemani non risponderà, perché aveva già risposto nel Tabor. E poiché gli apostoli dovevano vederlo posto tra le mani dei nemici durante la Passione, fosse stato bene che l’avessero visto prima nella gloria della Trasfigurazione.

Adesso tutte le precauzioni sono prese, e Gesù può andare al suo destino. L’esperienza della Trasfigurazione è stata breve, quasi un frammento, ma è stata una esperienza di illuminazione, di speranza e di ripresa di coraggio. La Trasfigurazione di Gesù è preludio alla sua risurrezione. Associando alcuni discepoli alla Trasfigurazione, Gesù vuole farci capire che anche i nostri corpi mortali sono chiamati a un destino di trasfigurazione e di vita in Dio. Ne segue dunque che la Trasfigurazione va oltre l’episodio avvenuto sul “monte Santo”. Anche di noi Gesù è il vero “trasfiguratore”: Egli vuole renderci sempre più e sempre meglio conformi a Lui. Pietro vorrebbe eternizzare questo momento privilegiato della Trasfigurazione ed invita a rimanere lì. Propone di costruire solo tre tende: una per Gesù, una per Mosè e un’altra per Elia.; però niente per lui, né per Giacomo né per Giovanni. Questa proposta sembra definire o circoscrivere il ruolo primordiale dei discepoli: catturare, prolungare, oppure eternizzare quella luce così rassicurante, e fare la guardia delle tende che corrispondono in realtà alla legge, ai profeti e al vangelo, cioè a tutta la rivelazione, a tutta la Sacra Scrittura. Da tutto quanto detto, possiamo dedurre che la nostra vita ha senso solo se cammina di giorno in giorno verso quella Trasfigurazione, che avviene ascoltando il Figlio prediletto del Padre, che ci parla nel vangelo e nei nostri cuori. Beati noi se sapremo ascoltare, con cuore obbediente come Abramo, la voce del Figlio prediletto che ci invita in questi giorni quaresimali alla penitenza e alla conversione, e la voce del Padre che anche a ciascuno di noi ripete la grande parola: “Anche tu, sei il mio figlio prediletto”.
Don Joseph Ndoum

C’è tanta luce nel dolore
Marco 9, 2-10

Trasfigurazione.

È bello dice Pietro; restiamo qui! Se ci fermiamo sul monte allora la fede diventa un riparo, un comodo spazio, un rifugio separato dalla realtà dove spesso c’è chi sperimenta tanto buio. Noi non dobbiamo fare nessuna capanna sul monte, perché poi ci mettiamo subito le mura, le torri, i soldati di guardia; e poi mettiamo una porta blindata e facciamo entrare solo chi vogliamo noi, chi può esserci utile; e intanto giù a valle, sotto le nostre mura c’è chi muore di fame, di solitudine e di guerra.

Noi dobbiamo scorgere la luce nelle tenebre dei Getsemani di ogni tempo quando anche noi come i tre apostoli, non siamo in grado di vegliare con Gesù e con tanti poveri Cristi che soffrono e pregano. Perché non facciamo le capanne nei tanti orti degli ulivi della storia? Che Dio ci perdoni! Lui ci ha già perdonato perché conosce la nostra fragilità, le nostre paure, non le giudica ma le accompagna e le prende su di sé.

Gesù non vuole la luce abbagliante, la Chiesa trionfante, il vescovo o il prete sempre in prima fila all’ennesima presentazione di qualche libro. Lui preferisce portare luce nel mistero del dolore, nel buio della solitudine, perché Gesù ha sofferto, è rimasto solo. Io sono contento quando la Chiesa non è in prima fila, ma soffre o rimane sola, perché in questo modo partecipa fino in fondo al mistero dell’amore sofferto e offerto. Mentre scrivo queste righe ripenso alla grande fortuna, che è dono di Dio, che abbiamo noi parroci, di andare a trovare i malati, le persone sole, di entrare nelle case del dolore; quanta luce! Quanta luce! Veramente tante trasfigurazioni ho potuto vedere.

Noi non dobbiamo scalare nessuna montagna, non dobbiamo raggiungere nessun traguardo, perché tutto è Grazia. Bisogna invece discendere fino all’ultimo dolore, fino agli inferi, nel buio del dolore del mondo intero. Poi come Tommaso siamo chiamati, perché è una vocazione, a toccare le piaghe del dolore, a farle nostre, per scoprire che il Signore le ha redente, salvate, ha deciso di abitare, di fare la Sua capanna proprio lì.

Solo nel silenzio del buio, quando le nuvole della vita oscurano le chiassose e false luci artificiali che ci hanno illuso, noi possiamo ascoltare la voce del Padre che non ha mai smesso di parlare. Ascoltate Lui perché io gli voglio bene dice il Padre; ascoltate Gesù perché anche Lui mi vuole bene; ascoltiamo Lui perché il Dio Uno che è Amore, per natura Sua non può stare da solo ma si comunica nel mistero della trinità.

Cosa dice Gesù? Parla di risorgere dai morti. Non capirono; non capiamo. Non importa se non capiamo. Nessuno abbia paura di non capire. La risurrezione di Gesù non ha nessun maestro o padrone ma solo testimoni. La risurrezione di Gesù non è una notizia da conoscere, ma un dono da accogliere, per vivere già oggi da risorti, per vedere la luce nel buio, per rinascere in ogni giorno che muore. Nell’Attesa di poterLo incontrare.
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]

Il Volto ‘trasfigurato’
non vuole volti ‘sfigurati’

Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18; Sl 115; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10

Riflessioni
Chi è Gesù?” La domanda essenziale di tutto il Vangelo di Marco (Mc 1,1.11.24; 2,10-11; 8,29; 15,39) trova una risposta nella Trasfigurazione di Gesù (Vangelo). L’antifona d’ingresso ci offre una chiave di lettura dei testi biblici e liturgici di questa domenica: “Cercate il suo volto. Il tuo volto io cerco, o Signore. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 26,8-9). Una risposta a tale insistente supplica arriva da un “alto monte, in disparte”, dove Gesù “fu trasfigurato” davanti a tre discepoli prescelti: “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche” (v. 2-3). Marco insiste sullo splendore luminoso, che mette in evidenza l’identità di Gesù. La luce non viene da fuori, ma emana dal di dentro della persona di Gesù. A ragione, Luca, nel testo parallelo, sottolinea che Gesù “salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto” (Lc 9,28-29). È dal rapporto con il Padre che Gesù è dinamicamente trasformato: la piena identificazione con il Padre risplende sul volto del Figlio.

Il cammino di trasformazione interiore è lo stesso per Gesù e per il cristiano: la preghiera, vissuta come ascolto-dialogo di fede e di umile abbandono a Dio, ha la capacità di trasformare la vita del cristiano e del missionario. Infatti, la preghiera è l’esperienza fondante della missione. Tale è stata anche l’esperienza di Pietro, sicuro di non essere andato “dietro a favole artificiosamente inventate”, essendo stato uno dei tre “testimoni oculari… mentre eravamo con Lui sul santo monte” (2Pt 1,16.18). Pur in mezzo a confusione e spavento (v. 6), Pietro avrebbe voluto evitare quel misterioso “esodo” a Gerusalemme, di cui parlavano Mosè ed Elia con Gesù (Lc 9,31); avrebbe voluto fermare nel tempo quella bella venuta del Regno (v. 5) come una perenne “festa delle capanne” (Zc 14,16-18). Superata la crisi della passione, l’amicizia con Gesù confermò la vocazione e la dedizione di Pietro per una missione coraggiosa di annuncio, fino al martirio.

Pietro ha dovuto uscire dai suoi schemi mentali per entrare nel modo di pensare di Dio (Mt 16,23). Lo stesso è avvenuto con Abramo, del quale la seconda domenica di Quaresima ci presenta sempre una delle vicende emblematiche: la chiamata, l’alleanza, il figlio Isacco. Egli capì che non doveva seguire la prassi dei sacrifici umani assai diffusa presso i popoli vicini (moabiti, ammoniti e altri). Il messaggio del racconto (I lettura) è chiaro: «Il primo insegnamento, il più evidente e immediato, è che il Dio d’Israele ripudia, come un crimine abominevole, il sacrificio dei bambini. È sempre stata una caratteristica degli idoli quella di pretendere sacrifici umani. Il Dio d’Israele, invece, arrestando il braccio di Abramo che stava per colpire il figlio, ha mostrato di essere il Signore che ama la vita (Sap 11,26), colui che dà a tutti la vita (At 17, 25) e non vuole la morte di alcuno (Ez 18,32)» (F. Armellini). Analizzando il racconto del sacrificio di Isacco con i criteri dell’inculturazione missionaria, risulta evidente come la Parola di Dio valuta, giudica, corregge, purifica i costumi dei popoli.

La vicenda del sacrificio di Isacco segna la fine della religione del sacrificio e il passaggio alla fede come dono. Quella mano fermata, quel pugnale di Abramo sospeso in aria ci insegnano che il Dio vero non vuole sacrifici umani né versamento di sangue. Non è lecito uccidere nessuno in nome di Dio, o di qualunque religione, dei fondamentalismi religiosi, dei giochi di potere, del sistema, dell’economia! Isacco non sarà sacrificato, mentre Gesù, l’Innocente, sarà vittima di un complotto religioso basato su false interpretazioni riguardo al Dio vivente. La morte di Gesù ci mostra la logica dell’amore fino alla fine (Gv 13,1), la logica del dono, del seme che muore e poi rifiorisce e risorge. A garanzia del primato della vita!

Il volto trasfigurato e affascinante di Gesù è un preludio della sua realtà post-pasquale e definitiva; la stessa che è promessa anche a noi: «Quel corpo, che si trasfigura davanti agli occhi attoniti degli apostoli, è il corpo di Cristo nostro fratello, ma è anche il nostro corpo chiamato alla gloria; quella luce che lo inonda è e sarà anche la nostra parte di eredità e di splendore. Siamo chiamati a condividere tanta gloria, perché siamo ‘partecipi della natura divina’ (2Pt 1,4). Una sorte incomparabile!» Così lasciò scritto Paolo VI nel messaggio che avrebbe dovuto pronunciare all’Angelus di domenica 6 agosto 1978, festa della Trasfigurazione, poche ore prima di morire alla sera di quello stesso giorno.

La dignità di ogni persona umana - che per nessun motivo deve soffrire deturpazione - trova il suo fondamento nella vocazione alla vita e alla gloria. Purtroppo il volto di Gesù è spesso sfigurato in tanti volti umani: «Questa situazione di estrema povertà generalizzata acquista nella vita reale dei lineamenti molto concreti, nei quali dovremmo riconoscere le sembianze del Cristo sofferente, del Signore che ci interroga e ci interpella» (I Vescovi latinoamericani nel documento di Puebla, Messico, 1979, n. 31). E i vescovi presentano a continuazione una sequenza di deturpazioni: volti di bambini malati, abbandonati, sfruttati; volti di giovani disorientati e sfruttati; volti di indigeni e di afroamericani emarginati; volti di campesinos abbandonati e sfruttati; volti di operai mal retribuiti, disoccupati, licenziati; volti di anziani emarginati dalla società familiare e civile (cfr. documento di Puebla, n. 32-43). E la lista potrebbe continuare con le situazioni che ognuno conosce nel proprio ambiente e a livello mondiale. (*) Qualunque volto deturpato, chiunque sia, è un appello pressante, rivolto a ciascuno di noi, ai responsabili delle nazioni, ai seguaci e missionari del Vangelo di Gesù.

Parola del Papa

(*) «La carità, vissuta sulle orme di Cristo, nell’attenzione e nella compassione verso ciascuno, è la più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza. La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che genera il vincolo della condivisione e della comunione. A partire dall’amore sociale è possibile progredire verso una civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati. La carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo, perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti».
Papa Francesco
Messaggio per la Quaresima 2021

 

P. Romeo Ballan, MCCJ