Il filo conduttore della liturgia della parola di Dio di questa domenica è suggerito dal testo di Isaia, nella prima lettura, che viene ripreso all’inizio del brano evangelico. Si tratta dell’invito a preparare la strada del Signore. Anche l’esortazione di Pietro, nella seconda lettura, si inserisce in questo quadro di attesa.
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Marco 1,1-8
Siamo sulla strada dell’Avvento. Stiamo andando incontro al Veniente, verso Colui-che-viene. Siamo arrivati alla seconda delle quattro tappe di questo cammino.
Un grido nel deserto!
Oggi la Parola diventa un GRIDO che vuole irrompere nella nostra sordità. Dio comanda al suo profeta di gridare. Non si tratta di un grido di collera, ma di consolazione. Dio vuole parlare al cuore del suo popolo: “Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta”. C’è un “vangelo” urgente da comunicare: “Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: Ecco il vostro Dio!” Lo stesso grido riecheggia nel vangelo: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore”. Questo grido risuona nel DESERTO. Nel “deserto” della nostra vita dove predominano l’aridità, la mediocrità e l’insoddisfazione. Lì vuole raggiungerci questo grido per portare novità di vita!
Le tre figure dell’Avvento: Ci sono tre figure tipiche per il tempo di Avvento. Il Cielo ha inviato tre personaggi eccellenti per preparare l’accoglienza del Figlio! È il momento di presentarli.
1) Il primo è il PROFETA ISAIA. L’avrete già intuito perché l’incontriamo di continuo nelle letture di Avvento. Il suo è un annuncio gioioso, egli ci porta “liete notizie”. Egli è il profeta che, diversi secoli prima, annuncia la venuta del Messia.
Tre parole sintetizzano il suo messaggio: PROMESSA, GIOIA e SPERANZA! Mi pare opportuno riflettere sulla nostra vita cristiana prendendo queste tre parole come punto di riferimento.
– Credo ancora nelle promesse di Dio o ne sono ormai deluso? Aspetto il loro adempimento con trepidazione o come uno che aspetta l’autobus? L’Avvento è il tempo in cui Dio rinnova le sue promesse!
– Quanta gioia c’è nella mia vita? Per caso predomina la tristezza e l’amarezza di cuore dopo avere rincorso delle gioie effimere? L’Avvento è un invito a cercare le vere gioie della vita!
– Posso dirmi una persona di speranza? Dà un nome alla tua speranza. L’Avvento è tempo per crescere nella speranza!
2) Il secondo protagonista è GIOVANNI BATTISTA, la figura centrale del vangelo della seconda e della terza domenica di Avvento. Giovanni ci ricorda che la nostra non è una attesa passiva ma operosa. Egli ci invita a “preparare la via”. L’Avvento implica il rimettersi in cammino, uscire dalla propria condizione di schiavitù, di esilio per andare incontro al Signore.
Giovanni è un profeta forgiato dal deserto, schietto, rude e severo. È come la “reincarnazione” di Elia, il profeta di fuoco. Non è un personaggio simpatico alle autorità religiose e politiche, che lo ritengono un provocatore e visionario. La sua austerità e la sua predicazione, tuttavia, attirano la gente che lo ritiene un profeta e si fa battezzare da lui nel Giordano confessando i loro peccati.
La sua è una chiamata alla CONVERSIONE. Questo richiamo penitenziale ha però una connotazione di buona notizia perché ci dice che è possibile rinascere e ricominciare. Dio ci offre un NUOVO INIZIO. “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”, così comincia il vangelo di oggi. È l’inizio dei “nuovi cieli e di una terra nuova, nei quali abita la giustizia” di cui parla San Pietro nella seconda lettura e che i cristiani sono invitati ad “aspettare ed affrettare” con la loro condotta e preghiera.
C’è la possibilità di un nuovo inizio. Gregorio di Nissa afferma che la vita cristiana “va di inizio in inizio, attraverso inizi che non hanno fine”. Vogliamo noi ricominciare su una via nuova o proseguire sulla vecchia strada?
3) La terza figura è la VERGINE MARIA. L’Avvento è il tempo mariano per eccellenza. Maria è la Vergine dell’attesa, che anticipa il “Maranà thà” della Sposa. La sua comparsa avviene con la festa della sua immacolata concezione, l’8 dicembre (nove mesi prima della data in cui festeggiamo la sua nascita, l’8 settembre). La ritroveremo nella quarta domenica di Avvento. Si tratta di una presenza discreta, come quella di Dio all’opera nella nostra vita. L’associazione della sua concezione immacolata con quella virginale di Gesù è una misteriosa allusione al Natale: siamo chiamati ad essere generati dallo Spirito e a generare Cristo nella nostra vita tramite lo stesso Spirito!
Per la riflessione settimanale
Vi propongo di riflettere su un noto testo di San Bernardo sulla triplice venuta di Cristo.
Conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta occulta si colloca infatti tra le altre due che sono manifeste. Nella prima il Verbo fu visto sulla terra e si intrattenne con gli uomini, quando, come egli stesso afferma, lo videro e lo odiarono. Nell’ultima venuta “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio” (Lc 3,6) e vedranno colui che trafissero (cfr. Gv 19,37). Occulta è invece la venuta intermedia, in cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi, e le loro anime ne sono salvate.
Nella prima venuta dunque egli venne nella debolezza della carne, in questa intermedia viene nella potenza dello Spirito, nell’ultima verrà nella maestà della gloria. Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima: nella prima Cristo fu nostra redenzione, nell’ultima se manifesterà come nostra vita, in questa è nostro riposo e nostra consolazione.
Ma perché ad alcuno non sembrino per caso cose inventate quelle che stiamo dicendo di questa venuta intermedia, ascoltate lui: Se uno mi ama, – dice – conserverà la mia parola: e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui (cfr. Gv 14,23)…
Questa sua venuta intermedia farà in modo che “come abbiamo portato l’immagine dell’uomo de terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” (1 Cor 15,49). Come il vecchio Adamo si diffuse per tutto l’uomo occupandolo interamente, così ora lo occupi interamente Cristo, che tutto l’ha creato, tutto l’ha redento e tutto lo glorificherà.
P. Manuel João Pereira Correia, mccj
Verona, dicembre 2023
Prepariamo la strada al Signore che viene
Is 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8
Il filo conduttore della liturgia della parola di Dio di questa domenica è suggerito dal testo di Isaia, nella prima lettura, che viene ripreso all’inizio del brano evangelico. Si tratta dell’invito a preparare la strada del Signore. Anche l’esortazione di Pietro, nella seconda lettura, si inserisce in questo quadro di attesa.
Il profeta sembra assistere all’assemblea celeste in cui viene decisa una svolta importantissima nella storia di Israele. Per il popolo di Dio in esilio è annunciata la liberazione e il ritorno. Si sente una voce che dà un ordine: “Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio”, in modo da avere un tracciato regolare e predisporre così la via per la venuta del Signore. Nel linguaggio biblico la via rinvia spesso al simbolo del cammino del popolo di Dio che segue con fedeltà il Signore dell’esodo e dell’alleanza.
Il rimpatrio del popolo dalla deportazione, guidato da Dio stesso come al primo esilio, diventa incoraggiante prefigurazione del compimento della salvezza nel regno del Messia. Nella rilettura evangelica, prima che venga il Signore siamo anche noi in esilio e in schiavitù, a causa dei nostri peccati. Ma egli appare: allora anche noi siamo liberati.
Nella lettura neotestamentaria Cristo è infatti annunciato come portatore universale di salvezza, che realizzerà “nuovi cieli e una nuova terra”. Per questo giorno di Cristo è necessario essere “integri e irreprensibili… ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo”. Di fronte agli scettici che irridono quelli che attendono il giorno del Signore, Pietro esorta i fedeli ad attenderlo con fiducia e responsabilità. Infatti il giorno del Signore non rientra nel ritmo cosmico del tempo calcolabile, perché “davanti al Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno”. Inoltre, se egli ritarda nell’ adempire la sua promessa, lo fa per lasciare spazio alla conversione. Quindi, la sua venuta è certa ed imprevedibile, ed egli verrà come un ladro. Quelli che preparano questa venuta vivono in modo irreprensibile davanti a Dio, in pace.
La colletta di questa domenica raccoglie molto bene queste esortazioni: “Fa che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio, ma la sapienza che viene dal cielo ci guidi alla comunione con Cristo, il nostro Salvatore”.
Promessa e gioiosa attesa connotano quindi questa domenica e ci concentrano nell’antifona d’ingresso che è come il motivo conduttore di tutta liturgia odierna: “Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare i popoli e farà sentire la sua voce potente per la gioia del vostro cuore” (Is 30, 19. 30.).
Il brano evangelico comincia con la predicazione di Giovanni il battezzatore. Egli è la cerniera tra l’Antico e in Nuovo Testamento. La strada del Signore che sta per venire è ostruita. Occorre sbloccarla, togliendo l’impedimento costituito dal nostro peccato. Il contesto in cui “proclama” Giovanni è il deserto, come luogo della vicinanza, dell’intimità con Dio. Egli predica la conversione, cioè il cambiamento di mentalità e l’inversione di rotta. Si tratta dell’esigenza di un ri-orientamento della propria esistenza. Questo ravvedimento rappresenta la condizione per essere accolti e perdonati da Dio.
Giovanni si preoccupa di precisare che il “più forte” viene dopo di lui, e lui non è neppure degno di mettersi in ginocchio a prestare il servizio più umile, nei suoi confronti. Giovanni non concentra l’attenzione sulla propria persona: “Io vi ho battezzato con acqua, Lui vi battezzerà con Spirito Santo, cioè “Io vi ho immersi nell’acqua, Lui vi immergerà nello Spirito Santo”.
Giovanni non predica nelle piazze, ma nel deserto. Questo potrebbe sembrare assurdo. Non si cerca un pubblico, si fa cercare. La parola di Dio comporta intensità, profondità e risonanza particolari in questo contesto; ed è nel “deserto” (totale) che l’annuncio trova la strada giusta per arrivare al cuore intimo dell’uomo. Il contrario del deserto è la lontananza da Dio e dalla salvezza.
Don Joseph Ndoum
Marco 1,1-8
Per dire “chi è” Giovanni Battista, il Vangelo di Marco riferisce anche come si veste e cosa mangia. Diversamente da noi che identifichiamo qualcuno soffermandoci su idee, valori, affetti, capacità e professione, il Vangelo si focalizza perfino su aspetti non particolarmente elevati, ma anzi comuni, banali, come appunto abbigliamento e cibo.
Anche in questo i Vangeli assomigliano al Signore Gesù che descrivendo il Padre, se stesso e lo Spirito Santo, non parte da chissà quali altezze, ma si piega verso le realtà della terra, come il lievito, il seme che cade e muore, il vento che soffia dove vuole. Forse il discepolo del Figlio di Dio dovrebbe custodire anche questo tratto del Maestro: osservare negli altri e in se stesso, non solo le espressioni solenni e altissime, o perfino appariscenti, limitandosi a visitare il salotto di un’anima. È pure necessario percorrerne e abitare il guardaroba e la cucina. Perfino lo sgabuzzino dove si ammucchiano cose che non si vogliono più vedere, considerate ormai insignificanti. Non solo e non innanzitutto il salotto dell’anima dice chi siamo e chi sono gli altri. L’anima ha ambienti non “in vetrina”, eppure custodi di gran parte della nostra e altrui identità.
Il Battista non è descritto solo grazie alle sue parole, all’ardore della sua profezia, al suo altissimo ufficio, ma anche in base a vestito e cibo. Del resto tutto il Vangelo di Marco è attento agli abiti di Gesù; perfino all’orlo del suo mantello da dove esce una potenza risanante, o alle vesti bianchissime della Trasfigurazione, strappate prima della sua crocifissione. E così pure i vangelisti guardano con cura a come il Signore mangia: ringraziando il Padre per quanto ha tra le mani, condividendo e donando quanto ha nelle mani.
Forse conviene che anche noi dedichiamo attenzione a come vestiamo e cosa mangiamo. Certo, dobbiamo essere puliti ed eleganti, poiché siamo figli e figlie di Dio. È giusto godere della bontà di Dio che sazia la fame di ogni vivente. Ma se il mio vestire è dimentico della nudità di qualcun altro e il mio mangiare mi distrae dalla fame altrui, allora c’è qualcosa che non funziona, anche se il salotto della mia anima risplende delle luci di Natale.
[Giovanni Cesare Pagazzi – L’Osservatore Romano]
Avvento:
tre personaggi per un solo Signore
Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8
Riflessioni
Sono tre i personaggi principali che, nel tempo di Avvento, ci preparano all’incontro con Cristo: il profeta Isaia, Giovanni Battista e Maria. Ciascuno dei tre ha un rapporto missionario tutto particolare con il Salvatore che viene: Isaia lo preannuncia, Giovanni lo addita già presente, Maria lo porta in grembo e lo offre. Vi sono anche altri personaggi che ebbero uno speciale rapporto con Gesù: San Giuseppe, Zaccaria, Elisabetta, Simeone, Anna… In Israele, tra i cosiddetti “poveri di Yahweh”, l’attesa di un Messia era grande, anche se per molti era confusa e mescolata a speranze umane.
Il profeta Isaia, o secondo-Isaia (I lettura), vuole aprire il cuore del popolo alla speranza in un futuro di libertà e ritorno in patria, perché la schiavitù di Babilonia è finita, la tribolazione è compiuta (v. 2). La consolazione che il profeta annuncia con insistenza (v. 1) non è fatta solo di parole, ma di indicazioni a preparare nel deserto una nuova strada al Signore (v. 3-4). Anzi, Dio stesso si fa pastore che raduna il gregge e lo conduce con amore (v. 11). È un messaggio di “liete notizie” da gridare ad alta voce (v. 9). Giovanni Battista (Vangelo) rende ancor più concreto il messaggio di Isaia: lui stesso prepara la strada del Signore (v. 3), proclamando un “battesimo di conversione” (v. 4), annunciando la presenza di Uno più forte di lui (v. 7), che “battezzerà in Spirito Santo (v. 8). Con l’annuncio missionario e la preparazione della nuova strada del Signore “nel deserto”, cambia interamente il panorama spirituale del credente. In tal modo, iniziano davvero i “nuovi cieli e una terra nuova” (II lettura, v. 13). Una realtà che, esemplarmente, è già presente in Maria, la tutta pura, “senza colpa e senza macchia” (v. 14): lei è l’Immacolata (8 dicembre).
Oggi Isaia invita a parlare al cuore del popolo con parole di speranza e di consolazione (v. 1-2). Messaggio arduo in quel tempo, ma anche oggi la speranza è un valore in crisi di contenuti, perché molti non sanno bene ciò di cui hanno maggior bisogno per la propria crescita integrale. In un’opera teatrale emblematica del nostro tempo, lo scrittore irlandese Samuel Beckett, Premio Nobel di Letteratura (1969), denuncia l’assurdità della condizione umana: tutta l’opera “Aspettando Godot” è costruita sulla lunga attesa di un personaggio importante ma sconosciuto, dal profilo e i contorni nebulosi. Quando ormai si dice che quel personaggio è in arrivo, l’attesa cala di tono, la sua presenza svanisce. Non c’è l’incontro. Non è avvenuto nulla. La lunga attesa è stata vuota. Soltanto un’illusione!
Non così la speranza cristiana, che è un dinamismo di apertura e di incontro con una Persona, che è il Salvatore di tutti, con un nome e un volto ben definiti: si chiama Gesù Cristo. Egli è il centro dell’annuncio missionario della Chiesa. Di Lui intende parlare l’evangelista Marco fin dalla prima riga, dall’«Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1). La vita, ogni vita, ha inizio da una buona notizia. Sul pessimismo e sulle notizie tragiche non si costruisce il futuro. La vita, la salvezza nascono e crescono come bella notizia. L’annuncio del Vangelo, la missione partono sempre dalla bella notizia di Gesù Salvatore. Marco è annunciatore di “eùanghelion”, della “bella notizia” per eccellenza, che si chiama Gesù. Ogni vero cristiano/a, portando Cristo Gesù nel cuore e battezzato in Spirito Santo (v. 8), semina ovunque vangelo, è sempre portatore di buone notizie anche in tempi di pandemia.
Il Patrono delle Missioni, S. Francesco Saverio (festa il 3 dicembre), missionario spagnolo in India e in Giappone cinque secoli fa, sentiva l’urgenza di annunciare il Salvatore Gesù, e scriveva: «Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le università d’Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: “Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all’inferno!” Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti!» (*)
È legittima, certamente, qualche riserva sul linguaggio teologico dell’epoca del Saverio, ma non si può aver dubbi circa l’urgenza di suscitare, anche oggi, nuove vocazioni di missionari e di missionarie che annuncino a tutti i popoli che Gesù Cristo è il Salvatore. Il mondo ne ha estremo bisogno. Lo confermano le tragedie e i fatti salienti di ogni giorno, in particolare la pandemia. La preghiera dell’Avvento - Vieni, Signore! - è fortemente attuale. Ma Egli vuole arrivare agli altri, a tutti, anche tramite ognuno di noi, con la nostra testimonianza, la nostra parola e dedizione.
Parola del Papa
(*) “La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale”.
Benedetto XVI
Enciclica Spe Salvi (2007) n. 48
P. Romeo Ballan, MCCJ