La fede cresce anche attraverso il dubbio, se le nostre domande sono poste per crescere nella comprensione del Mistero e nella amicizia con Gesù. Alcune volte invece le nostre domande, sono tendenziose, insidiose, contengono già la risposta preconfezionata da noi; sono domande che vogliono vincere un nemico, e non cercano la comunione con l’altro.
Lo scandalo della misericordia
La fede cresce anche attraverso il dubbio, se le nostre domande sono poste per crescere nella comprensione del Mistero e nella amicizia con Gesù. Alcune volte invece le nostre domande, sono tendenziose, insidiose, contengono già la risposta preconfezionata da noi; sono domande che vogliono vincere un nemico, e non cercano la comunione con l’altro.
Lo scandalo è ciò che ti fa indietreggiare o cadere, non solo riguardo la morale, ma anche perché rappresenta qualcosa che ostacola i nostri schemi, mette in questione le nostre abitudini. Gesù non aveva lo stile messianico che Giovanni si aspettava. Potremmo dire che l’Atteso non corrispondeva all’attesa del Battista. Nella prospettiva di Giovanni Battista il Messia atteso doveva essere intransigente: «Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile» (Lc 3, 17). Gesù invece non giudicherà con il fuoco, ma con l’olio della misericordia. Colui che è definito da Gesù più che un profeta è dovuto, entrare, proprio nel momento più difficile della sua vita, dentro lo scandalo della misericordia. «Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo» (Mt 11, 6) dice Gesù ai discepoli di Giovanni, e a noi chiamati a scoprire il volto del Padre rivelato da Gesù.
La misericordia non è solamente un gesto che comunica amore, che trasferisce dall’alto in basso l’Amore di Dio, ma è molto di più. Misericordia è uno stare in comunione con la verità dell’altro; stare in comunione con la dignità dell’altro, figlio di Dio. La misericordia è scendere dai propri scranni, togliersi qualche mantello di troppo e lavarci i piedi gli uni con gli altri; è incontrare l’uomo, là dove vive soffre e ama, per annunciare la Buona Notizia; non è portare il regno di Dio, ma dire che il Regno di Dio è già in mezzo a voi, aiutando a scoprirlo con delicatezza rispetto e compassione. La misericordia rappresenta oggi per la Chiesa un appuntamento con la storia. Nei primi secoli abbiamo difeso la fede, dopo abbiamo portato il vangelo fino ai confini della terra; oggi forse il compito dei cristiani è dire al mondo moderno che certamente la storia è molte volte una povera storia, fatta di poveri uomini, un oceano infinito di sangue, ma rimane una storia della salvezza, dove il Padre non cessa di tendere la sua mano.
Gesù elogia Giovanni perché ha preparato la via alla venuta del Signore dando una testimonianza impressionante di libertà da ogni potere, con uno stile di vita che ci invita a gettare tanta zavorra che appesantisce il nostro cammino verso il Signore che viene.
Diceva don Primo Mazzolari: «La vita di ognuno è un’attesa. Il presente non basta a nessuno; in un primo momento pare che ci manchi qualcosa. Più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno. E lo attendiamo».
[Francesco Pesce – L’Osservatore Romano]
La forza “scandalosa”
del Cristianesimo
Per la seconda volta, la liturgia della parola dell’Avvento ci presenta Giovanni il Battista in primo piano. Egli è in carcere da quando Gesù ha iniziato in Galilea l’annuncio del Regno. Il profeta del deserto ha potuto filtrare alcune notizie sulle opere del Messia atteso, e manda i suoi discepoli a interrogare Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?”.
Gesù incarica i discepoli di portare al loro maestro ciò che hanno udito e visto: “I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si scandalizza di me”.
Gesù è “colui che doveva venire” perché proprio le sue opere o i suoi miracoli sono la conferma della sua dignità messianica, secondo gli oracoli dei profeti nei confronti dell’era messianica. Tuttavia, appare strano questo interrogativo da parte di Giovanni il Battista, dal momento in cui è stato lui stesso a mostrare Gesù come “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”, a presentarlo come colui “che battezzerà in Spirito Santo e fuoco” e a riconoscerne la dignità al momento del suo battesimo al Giordano.
Giovanni è perplesso perché sente parlare delle “opere del Messia” che non combaciano con la sua idea del Messia, protagonista del giudizio di Dio. Giovanni lo vedeva con il ventilabro in mano, intento a ripulire l’aia, a spazzar via i nemici e a separare i buoni dai malvagi. Gli aveva imprestato una scure per abbattere, alla radice, tutti gli alberi cattivi, che non portano frutti. Giovanni lo aveva anche descritto in termini di fuoco divoratore.
Gesù, invece, descrive la propria azione in termini di misericordia, ed Egli conclude con una dichiarazione ancora più sconcertante: “E beato colui che non si scandalizza di me”; cioè, certo, il Messia compie delle opere, ma non sono quelle che si aspettava il suo Precursore e, con lui, molta gente. Infatti, Giovanni aveva visto giusto circa il tempo della venuta del Messia, ma, a causa dell’impazienza, egli sembra sbagliare il modo e non centrare bene lo stile della sua azione. In quel momento preciso, la funzione di giudice da parte del Messia non esige fretta, poiché è riservata per la fine dei tempi.
Come si vede, anche nei santi, la fede non è incompatibile con l’inquietudine, le oscurità o altre prove di fede, che sono spesso purificanti. Comunque, Giovanni non poteva dubitare sulla messianità di Gesù dopo tutte le prove che ne aveva avute. Eventualmente, la sua domanda poteva essere per il conto o vantaggio dei suoi discepoli che dovevano seguire Gesù. Avevano forse bisogno che Gesù dicesse qualcosa su se stesso per confermare la testimonianza del loro maestro adesso in carcere. Sarebbe, in fine dei conti, un metodo apologetico da parte del Precursore a favore di Gesù, che doveva confermare la propria identità e missione nello scopo di non perdere i discepoli di Giovanni che avevano una grande stima per il loro maestro che stava per morire.
In ogni modo, la lezione è questa: bisogna essere sempre disposti ad accogliere un Dio diverso dalle nostre idee, dai nostri schemi. Soprattutto, dobbiamo evitare la tentazione di imprestare a Dio i nostri sentimenti, risentimenti o gusti, di suggerire a Dio come dovrebbe comportarsi, di insegnargli il suo mestiere di Dio. Tocca a Lui di insegnarci il mestiere di uomo.
Inoltre, se gli atteggiamenti di Gesù non coincidono con le immagini messe in circolazione dal suo Precursore, questo non impedisce che egli meritasse (a causa della sua vocazione e missione) l’elogio di essere “il più grande tra i nati di donna”, perché è l’ultima voce dei profeti che preannunciano la venuta del Messia. Però egli sta alla frontiera del regno inaugurato da Gesù, il Messia. Quindi il credente, che fa parte di quelli che sono destinatari della rivelazione gratuita del Padre, del Vangelo, è più grande di Giovanni in dignità. Questa situazione ci interpella per prendere sempre in considerazione la nostra dignità come cristiani e figli del Regno. Fino à Giovanni, c’erano i profeti e la Legge; ormai, c’è il regno del Vangelo, che ci fa vivere in riferimento ai valori alti e superiori provenienti da Gesù “via, verità e vita”.
Don Joseph Ndoum