Martedì 8 febbraio 2022
Padre Joseph Mumbere Musanga, missionario comboniano della Repubblica Democratica del Congo, è arrivato in Brasile quattro mesi fa. I superiori lo hanno destinato alla missione di Piquiá-Açailândia, nello stato del Maranhão. Immaginava un Brasile “dove il razzismo era stato superato”, ci racconta il missionario in una lettera di protesta contro il razzismo, che pubblichiamo qui di seguito. “Purtroppo, nei miei quattro mesi di vita in Brasile, ho già dovuto affrontare la realtà del razzismo criminale”, afferma. [Justiça nos Trilhos]
Miei/e cari/e brasiliani/e
Scrivo questa lettera per esprimere i miei sentimenti di dolore pieno di tristezza, di rabbia e di paura davanti all’aumento degli atti razzisti di estrema violenza, fino ad arrivare al recente assassinio di Moïse Kabagambe, mio connazionale della Repubblica Democratica del Congo. Ma voglio anche far risuonare il mio grido, affinché sia fatta giustizia in modo tale che gli atti criminali di razzismo e xenofobia non continuino a macchiare l’immagine di un Brasile bello di convivenza multiculturale e multirazziale.
Prima di tutto mi presento: sono Padre Joseph Mumbere Musanga, missionario comboniano della Repubblica Democratica del Congo, Africa. Sono arrivato in Brasile da quattro mesi. Sono nella missione di Piquiá-Açailândia, nello stato del Maranhão. Sono quindi proprio all’inizio della mia esperienza di vita in questo bel paese. Sono venuto in Brasile immaginando un paese dove l’incontro (anche se tragico e drammatico a causa della schiavitù e della colonizzazione) di europei, africani e popoli indigeni originari dell’America Latina ha prodotto una mescolanza di razze e culture che fa vibrare e anche sognare il mondo intero con la sua allegria, piena di musica, di danza e di tecnica calcistica, ma anche con la sua lotta contro tutte le forme di discriminazione e preconcetto. Sono arrivato qui sognando un paese dove il razzismo era stato superato, proprio per questa mescolanza di razze e culture nelle famiglie brasiliane. Purtroppo, nei miei quattro mesi di vita in Brasile, ho già dovuto affrontare la realtà del razzismo criminale.
Gabriel Barbosa
La prima esperienza è stata quella di Gabriel Barbosa, nella città di Açailândia. Un giovane che è stato aggradito da una coppia che, a causa dei suoi pregiudizi razziali, pensava che Gabriel stesse rubando la loro macchina. La coppia lo ha aggredito e picchiato e lui si è salvato solo grazie all’intervento provvidenziale di un vicino.
Moïse Kabagambe
La seconda esperienza di razzismo criminale è quella di Moïse Kabagambe, un giovane congolese, venuto in Brasile nella speranza di una vita migliore di quella che aveva lasciato in Congo, dove la guerra per il controllo dei minerali strategici grava pesantemente sulla popolazione. Ci sono molti altri casi di razzismo ma confesso che non mi aspettavo di vivere queste due esperienze, di Gabriel e Moïse, in un paese così grande, multiculturale e multirazziale come il Brasile. Per questo sto soffrendo di un dolore di collera e di tristezza.
Vogliamo giustizia
Prego e chiedo che sia fatta giustizia per le vittime conosciute e sconosciute di atti spregevoli di razzismo. Confesso anche che comincio ad avere paura, perché sento che il demonio del razzismo non è morto, anzi, trova sempre nuove forme per incarnarsi nelle persone e causare sofferenza e persino morte, come è successo con Moïse. Come persona nera, del Congo, ho paura perché posso essere la prossima vittima del razzismo criminale.
Ma la mia lettera a voi, cari/e brasiliani/e, non avrebbe senso se mi limitassi al mio dolore e alla mia paura, perché in questo modo mi sarei rassegnato alla fatalità del razzismo e avrei lasciato campo libero al razzismo e alla xenofobia per diffondersi e continuare a causare tanta sofferenza e morte. La mia lettera, di fatto, vuole essere un appello e un grido al sogno e alla lotta.
Sogno un Brasile…
Mi piacerebbe continuare a sognare un Brasile che sia frutto di una mescolanza ben riuscita fra le razze e le culture europee, africane e indigene dell’America Latina. Per me, il Brasile è un bel paese per la sua bellezza umana che i diversi colori della pelle riescono a produrre. In Brasile non c’è la monotonia di un solo colore di pelle ma la vivacità della mescolanza razziale e culturale.
Continuo a sognare questo Brasile perché credo che i/le brasiliani/e che si lasciano trasportare o ingannare dal demonio del razzismo sono una minoranza, perché la grande maggioranza dei/delle brasiliani/e crede e vive il sogno brasiliano di un’autentica integrazione razziale e culturale.
Invito, pertanto, questa maggioranza di brasiliani/e a non lasciare che la minoranza razzista macchi l’immagine di un popolo nato e cresciuto multiculturale e multirazziale, dopo aver vissuto gli orrori della schiavitù e della colonizzazione. In realtà, la vittoria sulla schiavitù e la colonizzazione non è dovuta alla creazione di uno stato brasiliano indipendente e federale, ma alle unioni d’amore tra afrodiscendenti, euro-discendenti e indigeni latinoamericani. Queste unioni d’amore hanno dato origine al popolo brasiliano di oggi che è, quindi, fra le persone più belle del mondo.
La schiavitù e il colonialismo sono le due manifestazioni storiche del razzismo e sono state le unioni d’amore tra afrodiscendenti, euro-discendenti e indigeni latinoamericani a superarle. Ma, come stiamo vedendo, il demonio del razzismo difficilmente muore, ed è per questo che dobbiamo continuare a lottare per distruggerlo completamente.
Vi invito quindi, cari/e brasiliani/e, a una lotta permanente contro il razzismo e la xenofobia. Vengo da un paese, la Repubblica Democratica del Congo, dove la lotta non è solo per valori così grandi come la giustizia, la pace e il rispetto degli altri che sono diversi da me per cultura o razza, ma è prima di tutto lotta per la sopravvivenza.
Nel mio paese, oro, diamanti, coltan, cobalto sono più importanti della vita del popolo. Nelle regioni in cui si trovano questi minerali strategici, le persone vengono massacrate ogni giorno solo perché hanno avuto la sfortuna di nascere in una terra ricca di minerali. La lotta, nella mia regione, il Nord Kivu, è per la sopravvivenza. È con questa esperienza di lotta per la mia sopravvivenza come persona, per la sopravvivenza del mio popolo massacrato quotidianamente a Beni, che sono venuto in Brasile per imparare e arricchire la mia esperienza con le varie lotte brasiliane contro la schiavitù e per il riconoscimento e la protezione dei territori e delle culture dei popoli indigeni contro le politiche neoliberali depredatorie, e per la protezione dell’ambiente e dell’immensa biodiversità amazzonica.
Ma ora vedo che la lotta contro il razzismo, che pensavo fosse superato in Brasile, deve diventare la lotta più importante, perché il demonio del razzismo sta invadendo ancora una volta non solo questo grande e bel paese, ma il mondo intero. In una serie televisiva nordamericana, un’avvocata, Mrs. Kitting, difendendo una vittima di discriminazione razziale negli USA, dice davanti alla Corte Suprema del paese: “Il razzismo fa parte del DNA degli Stati Uniti d’America. E finché chiudiamo un occhio sul dolore di coloro che soffrono per la sua oppressione, non potremo mai sfuggire alle sue origini”.
Lottare contro il razzismo
È questo il motivo della mia lettera a voi, cari/e brasiliani/e. È un appello, un grido alla lotta affinché non chiudiamo mai gli occhi e le orecchie davanti al dolore di quanti sono vittima di razzismo qui in Brasile e in altre parti del mondo. Perché senza lottare, come dice Mrs. Kitting, non sfuggiremo mai al demonio del razzismo. L’unica salvaguardia che le vittime di razzismo possono avere è il diritto di difendersi perché sia fatta giustizia. Nel piangere Moïse Kabagambe e tutte le altre vittime del razzismo e della xenofobia, uniamoci nella lotta per la giustizia, affinché insieme possiamo distruggere il demonio del razzismo, che può essere sopito in tutti noi. Solo la giustizia verso le vittime ci darà il diritto di piangerle, perpetuandone così la memoria.
Che la lotta continui e che tutte le vittime di razzismo possano vivere grazie alla nostra lotta.
P. Joseph Mumbere Musanga, mccj
[Missionários Combonianos]