Siamo entrati nel “tempo ordinario”, detto anche “tempo della Chiesa” o “tempo delle domeniche durante l’anno”, e i Vangeli cominciano ad esporci gli episodi della vita pubblica di Gesù.

Come gioisce lo sposo così Dio gioirà per te

Is 62,1-5; Salmo 95; 1Cor 12,4-11; Gv 2,1-12

L’episodio di Cana, proclamato dalla liturgia della Parola di questa domenica è una epifania/ manifestazione della gloria di Gesù, attraverso un segno (perché i discepoli giungano alla fede), l’acqua trasformata in vino, cioè il suo primo miracolo. Cana dà avvio all’“ora” di Gesù.

Questo primo segno nel contesto di uno sposalizio ha un ruolo programmatico. Il grande simbolo delle nozze esprime in modo chiaro l’amore di Dio per il suo popolo. Gesù partendo dall’acqua che serve per una purificazione dei giudei, offre un vino nuovo ed abbondante per la festa di nozze, come quello promesso dai profeti per i tempi messianici, che Egli inaugura. Questo primo miracolo di Gesù è compiuto per assicurare il superfluo. Possiamo subito coglierne l’insegnamento fondamentale: la salvezza recata da Gesù si colloca in una prospettiva di assoluta gratuità, all’insegna del dono. Quindi, anche il nostro amore verso il prossimo, come risposta all’amore di Dio deve essere sotto il segno della gratuità.

Questo miracolo dell’acqua trasformata in vino non è l’unico dono di nozze fatto da Gesù. Egli trasforma anche dei discepoli in credenti. Lo ha notato subito l’Evangelista: “Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli, manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui”. Siamo chiamati a credere anche noi in Cristo.

La fede è la risposta personale dell’uomo all’iniziativa di Dio, riconosciuta nella sua parola e nei suoi prodigi o interventi salvifici. Si tratta di fidarsi di Dio, di avere fiducia in lui e di mettere tutto il nostro essere in relazione con lui. La fede ha, soprattutto, i tratti dell’amore premuroso di Maria che spinge Gesù a cominciare la sua missione e che dichiara “fate quello che vi dirà”. Maria è la primizia dei credenti.

Il miracolo di Cana rivela inoltre il progetto di Dio sulla famiglia umana. Le nozze furono benedette in Cristo e l’amore degli sposi è diventato simbolo dell’amore che Cristo porta alla sua Chiesa, e dell’amore che Dio nutre per gli uomini in generale.
Don Joseph Ndoum

Giovanni 2,1-12

Il vino della nuova ed eterna alleanza

All’inizio di ogni cammino è sempre fonte di stupore e meraviglia contemplare con quale semplicità e, allo stesso tempo, con quale forza la liturgia è capace di condurci nel cuore del Mistero di Cristo, nella logica del “già e non ancora”, di un compimento mai del tutto “compiuto”, nella logica di una bellezza, come direbbe Agostino di Ippona, “tanto antica e tanto nuova.

Abbiamo appena concluso il tempo di Natale e già l’evangelo di oggi ci porta alle “nozze del terzo giorno”, nel cuore della Pasqua. Abbiamo ascoltato nelle scorse domeniche dell’Epifania e del Battesimo del Signore, di Colui che “si manifesta alle genti” e l’evangelo di oggi si conclude con queste stesse parole: “Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.

Siamo allora davanti ad un nuovo manifestarsi di Gesù, dopo quello del suo venire nella carne della nostra fragile umanità e dopo quello dell’attraversare le acque del Giordano insieme all’uomo che attende salvezza. Un manifestarsi che avviene “al terzo giorno”, il giorno della Pasqua e che avviene ad una festa di nozze, quella di Dio con l’umanità che, come dice Isaia nella prima lettura di oggi: “non si chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo”; e questo perché il Signore della gloria ha scelto di abitare con noi per sempre.

A questa festa di nozze, nessuna menzogna. La Madre di Gesù, presente fin dall’inizio, è lei che ha il coraggio della verità: “Non hanno vino”. E questo perché possiamo renderci conto che quello che Gesù è e viene a donarci, non è un incremento di ciò che già possediamo. La Parola dell’evangelo e la vita in Cristo che dal suo ascolto ne nasce, non è un aggiustamento di una vita che già scorre, ma ha solo bisogno di un “di più” di gusto e di gioia. La verità che Maria legge in questa festa di nozze e che svela al Figlio e a noi è che il vino non c’è, non c’è mai stato. L’unico che può donarlo è il Figlio. E’ Lui che dona il vino della “nuova ed eterna alleanza”. E questo vino è la trasformazione dell’acqua. E’ un cambiamento della natura di ciò che in sé e per sé non potrà mai essere vino.

Tutto questo non può venire né dagli sposi, né semplicemente dal fatto che ci sono le nozze. Non può venire da noi, per quanto grande sia il nostro desiderio di gioia e di vita. La Madre lo sa, lei che all’annuncio dell’angelo ha posto la vera domanda che ci immette in un cammino di fede autentico: “come è possibile?”. A lei che sa che questo è impossibile alla sua umanità, alla sua storia, al suo desiderio, alle sue forze, l’angelo risponde: “tutto è possibile a Dio”. Solo a Dio e non a noi. Da noi può venire solo la consapevolezza e il riconoscimento che non abbiamo vino. Questa è la condizione necessaria e sufficiente per accogliere il nuovo, l’inaudito, ciò che solo Dio sa fare.

Quello che abbiamo già, sono solo giare di pietra vuote, come a volte è di pietra il nostro cuore e quello dei discepoli all’annuncio dell’evangelo, che al massimo, con ogni nostro sforzo, possono arrivare ad essere riempite di acqua. Di più non possediamo.
Perché il “di più”, l’impossibile, il vino migliore che nasce dalla trasformazione dell’acqua, solo Dio lo può dare.

Che il Signore ci conceda all’inizio di questo tempo ordinario e di questo nuovo anno di cammino che si apre davanti ai nostri occhi, di riconoscerci bisognosi di Lui, di consegnargli il nostro niente e di vivere del vino nuovo che solo Lui prepara per noi.

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Sorelle Povere di Santa Chiara
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