L’evangelista Luca esordisce alla grande, da storico attento ai fatti (Vangelo): inquadra l’apparizione pubblica di Giovanni il Battezzatore e di Gesù di Nazareth nel contesto storico-geografico del tempo. Con sobrietà e precisione, cita ben sette personaggi contemporanei dell’avvenimento (v. 1-2). Anche qui il numero sette ha un significato simbolico: indica la totalità. [Photo by Giorgio Parravicini on Unsplash]

La Chiesa missionaria grida oggi nel deserto del mondo

Salmo  125; Filippesi  1,4-6.8-11; Luca  3,1-6

Riflessioni
L’evangelista Luca esordisce alla grande, da storico attento ai fatti (Vangelo): inquadra l’apparizione pubblica di Giovanni il Battezzatore e di Gesù di Nazareth nel contesto storico-geografico del tempo. Con sobrietà e precisione, cita ben sette personaggi contemporanei dell’avvenimento (v. 1-2). Anche qui il numero sette ha un significato simbolico: indica la totalità. Menzionando le sette persone e le loro funzioni, Luca vuole indicare che tutta la storia  -pagana e giudaica, profana e sacra-  è coinvolta negli avvenimenti che sta per narrare. Sono fatti che riguardano tutta la famiglia umana con le sue istituzioni e strutture religiose e civili. Luca vuole sottolineare che il Dio di Gesù è il Dio della storia. È il Dio che si prende cura dell’umanità.

L’avvenimento è che “la Parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto” (v. 2), sulle sponde del fiume Giordano, con un messaggio di “conversione per il perdono dei peccati” (v. 3). Luca, con i documenti alla mano, vuole assicurare i suoi lettori che la salvezza di Dio si realizza in un tempo, in un luogo, con un programma ben definiti. Si conferma qui l’intenzione dell’evangelista, già espressa nel suo prologo: fare “ricerche accurate”, per un “resoconto ordinato”, affinché il lettore “possa rendersi conto della solidità degli insegnamenti” (Lc 1,3-4). Il Vangelo di Gesù è fondato su fatti sicuri, trasmessi da testimoni oculari e credibili; non c’è spazio per invenzioni umane, o proiezioni ideologiche.

La salvezza di Dio si realizza dentro la storia umana, non al di fuori di essa; non si sovrappone alla storia, ma vi si inserisce, anche se la trascende. Come il sale. Con la forza del seme e del lievito. Come un fermento di vita nuova. È esattamente ciò che ha fatto Gesù e ciò che siamo chiamati a fare i cristiani nel mondo (vedi la Lettera a Diogneto). Giovanni Battista lo preannuncia con le parole dei profeti Isaia e Baruc (I lettura), che prendono corpo in quel preciso contesto geografico. Giovanni predica nel deserto, luogo biblico, più che geografico; luogo e tempo di forti esperienze spirituali (vocazione e alleanza, tentazioni e fedeltà...), che il popolo eletto deve rivivere continuamente. Il Battista predica sulle sponde del Giordano: il fiume che bisogna attraversare (rito del Battesimo) con un cambio di mentalità e di vita (conversione), per entrare nella terra promessa. Percorrendo non più cammini scabrosi e tortuosi (simboli biblici di superbia, arroganza, sopraffazione, ingiustizie...), ma un cammino di conversione interiore, spianato e diritto (v. 4-5). Paolo offre un’ulteriore descrizione della vita nuova in Cristo (II lettura): ricolma di carità, integrità morale, impegno nella diffusione del Vangelo (v. 5.9).

L’Avvento ci offre l’opportunità di comprendere che il “Dio che viene” è il Dio che spesso si rivela a noi nel silenzio, nel deserto. Che non sono realtà vuote da riempire con cose, suoni e parole. Il silenzio ci mette in condizione di ascoltare, che è un nuovo modo di comunicare. “Abbiamo bisogno di un po’ di deserto, per imparare a fare silenzio, ascoltare, ri-pensare tutto quello che facciamo, diciamo, ascoltiamo ogni giorno. In queste settimane la Parola di Dio ci offre anche un piccolo alfabeto della speranza. Virtù che si conquista nella vita, nel ‘deserto della quotidianità’. Spesso la speranza si fa parola, gesto, sorriso; così si manifesta Dio. Anche oggi Dio sceglie la via della periferia: entra nel mondo là dove c’è qualcuno che non conta nulla, là dove c’è qualcuno che soffre” (don Roberto Vinco, Verona).

La salvezza di Dio è per tutti, insiste il Battista, citando Isaia: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” (v. 6). Ogni uomo, ogni carne, cioè ogni persona nella sua debolezza e fragilità avrà la salvezza da Dio. Una salvezza che Dio offre a tutte le persone, senza esclusioni. Una salvezza che l’uomo non può produrre da se stesso, ma che gli viene da fuori: solo da Dio!. Lo scrittore russo Alessandro Soljenitsyn descrive così l’incapacità radicale dell’uomo riguardo alla propria salvezza: “Se qualcuno sta affondando in uno stagno, non si salva tirandosi in su per i capelli”. Occorre una mano da fuori: la mano di Dio; e la mano degli amici di Dio! Il tempo di Avvento, tempo dell’attesa dell’umanità, ci invita a pensare e operare per i numerosi popoli che ancora non conoscono il Salvatore che viene.

La mano amica di Dio si rivela in modo patente nella presenza materna di Maria Immacolata (8/12), così vicina a Dio e alla famiglia umana; come pure si manifesta nel titolo di Madonna di Guadalupe (vedi il calendario 12/12). Dio si manifesta anche nella mano amica di persone dal cuore buono, cristiani e non, mano tesa ad aiutare chiunque è nel bisogno materiale o spirituale. Oggi, erede di Giovanni Battista è la Chiesa missionaria, che grida nel deserto del mondo: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” (v. 4). Annunciare Cristo è compito permanente dei cristiani, perché Cristo e il suo Vangelo è il tesoro più prezioso dei cristiani; un bene da condividere con tutta la famiglia umana, come ripete Papa Francesco. (*)  Perché questa Buona Novella non è soltanto una parola, ma è anzitutto una Persona, Cristo stesso, risorto, vivo! Lui che ti cambia la vita, dandotene il senso pieno, vero e gioioso. In Avvento si usa spesso la parola  maranatha, che in lingua  aramaica significa: vieni, Signore. Anche così si salutavano i primi cristiani. Un bel saluto anche per noi.

Parola del Papa

(*)  “Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene (Rm 10,15)! È per noi un invito a rendere grazie per il dono della fede che abbiamo ricevuto da questi messaggeri che ce l’hanno trasmessa… La missione ha bisogno di nuovi messaggeri, ancora più numerosi, ancora più generosi, ancora più gioiosi, ancora più santi. E tutti noi siamo chiamati ad essere, ciascuno, questo messaggero che il nostro fratello, di qualsiasi etnia, religione, cultura, aspetta, spesso senza saperlo. Infatti, come, questo fratello, potrà credere in Cristo - si domanda san Paolo - se la Parola non è ascoltata né proclamata?”
Papa Francesco
Omelia a Bangui (Repubblica Centrafricana), 30 novembre 2015

P. Romeo Ballan, MCCJ

Preparate le strade alla salvezza di Dio

Baruc 5,1-9; Salmo 125; Filippesi 1,4-6. 8-11; Luca 3,1-6

In questa domenica ci è proposta la figura di Giovanni Battista che annuncia la venuta del Salvatore e sollecita alla conversione. Il contenuto della sua predicazione è presentato con una citazione di Isaia: «voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato, i passi tortuosi siano raddrizzati; i luoghi impervi spianati».

Si tratta di predisporre la via per la venuta del Signore. Se le letture della prima domenica invitavano all'attesa nella vigilanza, quelle di questa domenica fanno risuonare la voce che dal deserto chiama ed invita a preparare le strade poiché è imminente il manifestarsi della salvezza attraverso la persona di Gesù.

L'attenzione comincia ad essere portata direttamente verso il Natale: momento della manifestazione storica della salvezza nella persona di Gesù e momento che la celebrazione liturgica natalizia ripresenterà attuandolo. Accolta come dono, la venuta del Signore va vissuta come compito teso ad attuare in ogni rapporto umana la giustizia, la mitezza e la pace, che l'incarnarsi del Verbo di Dio ha fatto germogliare sulla terra.

Giovanni mette in rilievo la portata universale della salvezza recata dal Cristo contro ogni privilegio ed ogni pretesa esclusivistica: «Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio». Queste parole suonano come annuncio gioioso di speranza.

Questa promessa di Dio, che viene a salvare tutti, singoli e popoli, corre lungo la strada della conversione del cuore e il cambiamento delle strutture del peccato.
Don Joseph Ndoum

II Domenica di Avvento (C)
Lectio

Dal Vangelo secondo Luca (3,1-6)

La conversione di chi attende

Dopo l’avvio dato dalla scorsa Domenica a questo tempo di Avvento, la liturgia ci presenta una figura dell’attesa: Giovanni il precursore. In lui l’attesa vigilante plasma la vita, le dà già il sapore del Regno che si fa vicino nella venuta del Figlio.

“Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare..”

Abbiamo un quadro cronologico ben preciso che riguarda potere politico e religioso. Questa storia sembra partire dalle grandi figure, ma vedremo come tra questi grandi e potenti che rappresentano la logica, il punto di vista del mondo, germoglia una piccola storia fatta da umili e poveri che porterà nel mondo il Signore della storia. Non a caso Luca sottolinea questo soprattutto in questi primi capitoli del suo Vangelo, mettendo in evidenza tante figure che diremmo “ai margini”: una coppia anziana e senza figli, una donna di villaggio non sposata, una strana figura che abita nel deserto. C’è un cambio di prospettiva nella quale avviene l’opera di Dio.

“La parola di Dio venne (accadde) su Giovanni nel deserto”.

Il deserto è il luogo in cui Giovanni va e per questo la parola di Dio può accadere in lui. La protagonista è la Parola di Dio alla quale è attribuita la prima azione che non viene attribuita ai potenti che sono immobili nei loro titoli e ruoli. La Parola di Dio suscita una storia altra, diversa, di salvezza, quando gli uomini si lasciano afferrare da essa, la ascoltano, la amano e le obbediscono e lo fa nel nascondimento del deserto.

Giovanni è il profeta sul quale scende la Parola di Dio, lo avvolge, lo investe, lo trasforma. Per Luca Giovanni è questo luogo della Parola, questo uomo preso dalla Parola. La sua disponibilità all’ascolto, al silenzio lo rende spazio accogliente di quella Parola che abitandolo lo trasforma e lo fa annunciatore e profeta.

Il deserto è un luogo poi ambivalente che spaventa per le presenze che lo abitano, ma è anche il luogo in cui la Parola può prendere dimora ed essere memoria di una storia di amore. Il luogo di morte può divenire il luogo di vita, se in esso prende dimora la parola di Dio. Questa è l’esperienza che Giovanni ha già fatto fin dagli inizi della sua esistenza: da un grembo deserto, sterile, nasce una vita nuova che riconosce subito anche la presenza di vita nel grembo di Maria. Nel luogo della spoliazione, del silenzio e della solitudine, della faticosa lotta in cui si è messi davanti a se stessi, Giovanni vive su di sé il dinamismo della conversione necessaria per rileggere la storia come storia di salvezza perché abitata da una luce nuova, ma che per essere vista e accolta chiede un cambiamento di cuore.

Le condizioni che ostacolano la visione della salvezza non si trovano solo fuori di noi, nel macchinare delle grandi potenze, ma anzitutto in noi. Attraverso la dura scuola del deserto, ponendosi in ascolto di sé e della Parola di Dio, in questo silenzio e in questa solitudine, Giovanni ha generato una risposta in sé, che è stato un vero e proprio inizio di vita nuova e per questo può pronunciare una parola autorevole, profetica.

“Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”.

Giovanni è un individuo autentico che è stato capace di arrivare a una specie di limite e di trasformare tutta la sua vita in una manifestazione della verità. Ciò che annuncia agli altri è ciò che ha scoperto e vissuto lui. Ponendo l’annuncio dell’immersione di conversione in vista del perdono dei peccati dopo l’esperienza del deserto, ci indica come il battesimo nell’acqua sancisce la decisione personale di sottoporre tutta la propria vita allo sguardo di Dio, di discernerla in lui e di sperare solo nel suo perdono, in una decisione che porta a una nuova nascita che si manifesta in un nuovo modo di pensare, di credere, di vivere. L’immersione di Giovanni è per il cambiamento della mente, del mondo interiore, per una conversione per fare spazio al perdono dei peccati.

“…com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore…”.

Luca nel prologo del suo Vangelo ci ha mostrato Giovanni soprattutto come il figlio di sacerdoti, di Zaccaria e di Elisabetta della figlia di Aronne, ora ci presenta il Battista come profeta.

Il messaggio di Isaia è riletto attraverso l’esperienza di Giovanni. Preparare la via del Signore è andare nel deserto e qui compiere un’opera di demolizione e di edificazione in sé illuminati dalla Parola di Dio, per ritrovare la propria verità. Un’immagine troppo alta di sé o un’immagine troppo bassa di sé nascono da uno sguardo ripiegato su di sé che non sa vedere il Signore e la sua azione. Questa immagine di innalzamento, di abbassamento è lo stesso movimento del magnificat, in questa salvezza che si manifesta come sconvolgimento, come crisi.

Giovanni ci invita a preparare la via al Signore, ad attendere la sua venuta lavorando sul nostro cuore perché sia spazio alla Parola. Orgoglio, superbia da un lato e, dall’altro, invidia, accidia, disprezzo di sé sono quelle realtà che intralciano la nostra corsa verso la comunione con il Veniente. Attendere per Giovanni è lasciarsi plasmare da questa Parola in un lavoro di demolizione del troppo alto e di riempimento del troppo basso che ci fa vivere come essere senza corpo e senza connessione con la realtà. Questa preparazione, questo lavoro nel e sul proprio cuore mira a vedere la salvezza, a riconoscere l’azione di Dio nella storia, ma anche a riconoscere quella immagine e somiglianza con Lui che è scritta in noi e di cui così spesso siamo inconsapevoli.

Vedere la salvezza vuol dire anche saper dare un volto nuovo alle piccole cose che viviamo, saper ridipingere il nostro quotidiano. Per fare questo bisogna cambiare la testa e il cuore, vuol dire invocare lo Spirito Santo perché ci doni la grazia della conversione perché solo allora “ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”.
Sorelle Povere di Santa Chiara
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