Martedì 9 maggio 2017
Il 24 luglio 1985 P. Ezechiele Ramin fu brutalmente assassinato mentre tornava da una missione di pace, durante la quale era andato a parlare con gli occupanti della Fazenda Catuva a Cacoal, in Brasile, per chiedere loro che si ritirassero perché erano in pericolo. Fu colto di sorpresa da un gruppo di uomini armati mandati dai proprietari terrieri. Come la vita di tanti altri martiri, quella di P. Ezechiele si è trasformata in seme di giustizia e di libertà. Oggi, diverse opere e attività, sia in campo sociale che in quello dell’evangelizzazione, sono nate e si ispirano alla sua vita. Come ripete sempre papa Francesco, P. Ezechiele ci ha lasciato come eredità, attuale e urgente, il dovere di impegnarci, come Chiesa, nella difesa dei diritti alla terra, al lavoro e alla casa. Pubblichiamo qui di seguito una condivisone di P. Arnaldo Baritussio, Postulatore della causa sul martirio di P. Ezechiele Ramin.
La causa sul martirio di P. Ezechiele Ramin è iniziata il 1° aprile 2016 in Brasile, nella diocesi di Ji-Paraná (RO), ad opera dell’Ordinario del luogo, Mons. Bruno Pedron. Sono stati ascoltati 73 testimoni ed è stata raccolta tutta la documentazione. L’inchiesta principale, quella di Ji-Paraná, si è conclusa a Cacoal il 4 marzo 2017.
La Rogatoria di Padova, iniziata il 10 aprile 2016, si è conclusa il 25 marzo 2017. Tutte le deposizioni e i documenti saranno portati a Roma, dove inizierà la fase romana con la preparazione della Positio e la valutazione degli storici, dei teologi, dei vescovi e cardinali fino all’ultima decisione, del Santo Padre, con successivi decreti di Venerabilità e Beatificazione.
La figura di P. Ezechiele Ramin riscuote un notevole impatto mediatico per la sua testimonianza missionaria a favore delle classi più carenti e per la sua carica profetica. Il Consiglio Generale ringrazia il Postulatore della causa P. Arnaldo Baritussio e tutti coloro che hanno finora collaborato con lui.
Condivisione di P. Arnaldo Baritussio
Prima di lasciare il Brasile e di rinunciare a un desidero, che penso di tutti, visitare Rio de Janeiro, la città meravigliosa con il suo Cristo Redentore, sento di poter riassumere nelle seguenti parole ciò che ho vissuto in quest’anno e due mesi, trascorsi qui per iniziare e concludere la fase diocesana del processo sul martirio di Pe. Ezechiele Ramin: certamente è stata una grazia insperata e andata al di là di quello che si poteva immaginare. Dio ha davvero su di noi i suoi disegni, che nulla e nessuno potrà arbitrariamente aumentare o diminuire. Lui, conosce i tempi, fa accadere incontri e colloca sulla nostra strada le persone giuste sorprendendoci al di là dei nostri programmi. Non solo ci dirige misteriosamente, ma ci antecede all’inizio della nostra avventura su vie prima impensabili e ci sorregge nella mostra incoscienza e paura dell’ignoto, somministrandoci piccole dosi di sapienza e di luce che, solo in seguito, riusciamo a decifrare come segni della sua presenza.
È stato quanto ho pensato ed emotivamente avvertito nella sera calda e afosa del 4 marzo, quando la fila dei concelebranti si è mossa assieme al vescovo di Ji-Paraná, Mons. Bruno Pedron, per fare il suo ingresso nella chiesa parrocchiale di Cacoal, piena di fedeli, riunitisi in occasione della chiusura dell’indagine conoscitiva del martirio di P. Ezechiele Ramin.
Emozione ancora più forte, quando, al momento dell’atto penitenziale e della processione d’offertorio, lo sguardo è caduto su due donne che avanzavano nel corridoio centrale, lentamente, verso l’altare: una la giovane Roziene Silva de Castro dos Santos, di 32 anni, coordinatrice della comunità p. Ezechiele Ramin di Rondolândia, luogo dove Ezechiele era stato assassinato e l’atra, Geni Lopes de Castro, di 81 anni, sorretta dalla figlia. Guardando Rosiene, affiancata dall’altro coordinatore della comunità, Romilson da Luz Nogueirão, che portavano all’altare una fascia rossa e un vaso con la terra dove Ezechiele era caduto sotto i colpi dei sicari e notando l’anziana Geni condividere, con una certa fierezza, il peso di una delle dodici casse di documenti raccolti, mi è venuta spontanea un’associazione. Chiare, mi sembravano ancora risuonare le parole che Geni aveva pronunciato a casa sua: «Credo che sul luogo, dove p. Ezechiele è stato ucciso, avverranno molte guarigioni. Lì sorgerà un grande tempio di molta luce e guarigione per il popolo. Verranno molte corriere in pellegrinaggio, da molte parti, per visitare il luogo e molte grazie saranno ottenute per intercessione di p. Ezechiele. Lui, è un padre mlto amoroso, affettuoso e accoglieva molto bene i poveri e i piccoli e si prestava molto per i deboli». Mentre parlava, con quell’aria misteriosa delle veggenti, mi chiedevo se stavo in presenza di una visionaria o, davvero, di una veggente. Mi inducevano a questi pensieri i verbi che Geni stava usando: il futuro per ciò che preconizzava e il presente per p. Ezechiele: «Egli è un padre molto amoroso, affettuoso». In effetti Jeni Lopes de Castro poteva parlare così perché era stata testimone diretta della guarigione di un suo nipote. «Mio nipote – diceva – era tutto gonfio a causa di un blocco renale. La dottoressa che l’assisteva ci si rivolgeva piangendo: “Invocate Dio, perché ho già perso una giovane per la stessa causa”. Io, allora mi rivolsi a suo padre che stava piangendo: “Metti tuo figlio nelle braccia di p. Ezechiele perché egli ce lo ridonerà”. Io, continua Geni, mi rivolsi a p. Ezechiele così: “Sciogli ciò che impedisce al suo rene di funzionare” e continuai a dire a mia figlia che non sarebbe stato il medico a curarlo, ma solo la preghiera. Io ho chiesto l’intercessione di Ezechiele che sta presso Dio e siamo stati esauditi. Lui si è salvato per l’intercessione di p. Ezechiele». Creduloneria dei semplici o fede vera?
I rischi di un processo come questo, qui, in Brasile
Nel volto di queste due donne ho intravvisto le sfide che Dio aveva posto davanti a noi.
Sfide interne al gruppo comboniano e tensioni interne di un ambiente non favorevole al processo. Tutto sembrava un sogno rischioso e irrealizzabile, quando abbiamo iniziato i primi contatti nel 2000. Ricordo le prime risposte dei formatori di Ezechiele che era stati interpellati: le messa in questione della stessa persona di Ezechiele, lo scarso entusiasmo di chi considerava il tutto abbastanza difficile, l’ostinato silenzio di chi si defilava, per non parlare di indifferenza, o la persistente opposizione di chi lo aveva da sempre tacciato da imprudente e disobbediente; al massimo, per i più benevoli, un sognatore con i piedi staccati da terra. Ricordo ancora la difficoltà di ottenere una risposta dai confratelli del Brasile e la luce improvvisa venuta dopo il lancio dell’inchiesta. Rimaneva, comunque e sempre, il dubbio dell’opportunità di tale operazione e dell’esistenza di prove convincenti per il martirio. Anche la Chiesa locale di Ji-Paraná, assieme a parti consistenti dell’ambiente comboniano, nutriva dubbi sulla credibilità dell’unico testimone oculare e sulla consistenza della fama di martirio. Non posso dimenticare la solitudine e il silenzio, sofferti nel Centro Diocesano di Formazione di Ji-Paraná, dove mi arrabattavo a trovare una soluzione all’inizio del processo, mentre fuori impazzava il carnevale. Eppure, il 1° di aprile del 2016, la complessa macchina muoveva i primi passi. Dio aveva davvero dei piani su tutto questo!
Sfida delle distanze
Solo chi conosce il Brasile e l’immensità del suo territorio può comprendere ciò che significa concentrare testimoni, periti storici e teologi a Ji-Paranà, provenendo da distanze considerevoli. Noi avevamo testimoni provenienti da varie parti del Brasile: dallo Stato del Maranhão, dello Spirito Santo, dallo Stato di San Paolo e da Bahia. Considerando il solo tragitto, in linea retta, fa paura. Da Balsas (MA) a Porto Velho sono circa 2000 km.; da San Paolo a Porto Velho altri 3000 km; da Salvador (BA) a Porto Velho quasi 4000 km, ecc.. Se poi aggiungiamo i viaggi in aereo, con i diversi scali, i chilometri aumentano vertiginosamente. Se per esempio avete storici e teologi da far spostare due volte da San Paolo a Ji-Paraná, i quattro viaggi sommeranno più di 12.000 km. Eppure i testimoni si sono trasferiti ai rispettivi locali, sono stati ascoltati e i teologi hanno presentato i loro voti.. Dall’alto, qualcuno, ha planato e viaggiato con loro.
Sfida delle persone: testimoni e periti
Hanno dovuto essere superate le difficoltà di mettere assieme persone di varia estrazione sociale e religiosa: dai vescovi fino ai contadini più umili delle zone rurali, agli indigeni delle riserve. Tutta gente che, dopo trent’anni dagli avvenimenti, non sempre era rimasta sul luogo. La Rondônia infatti è conosciuta per la grande mobilità della popolazione più povera, incline quindi a vendere le proprie terra, a forza o col miraggio di altri luoghi, presentati come più fertili e passibili di maggiori investimenti. Eppure, i testimoni più significativi sono stati rintracciati e interrogati, circa 73, nel rispetto di ore e tempi al limite dell’inverosimile. Gli indigeni, per esempio, dovettero essere rintracciati sul momento, sperando nella protezione e nell’aiuto della provvidenza. Non incontrarli, avrebbe significato ore e ore di macchina nella foresta a vuoto. Invece furono raggiunti nelle loro case, a loro insaputa, quasi che il Signore li avesse personalmente preavvisati della nostra visita. Addirittura uno, si è presentato spontaneamente ed è stato interrogato, nonostante le nostre reticenze sulle sue effettive conoscenze di Ezechiele: eppure, più tardi, si venne a scoprire che era una personalità di rilievo tra la sua gente. La stessa cosa accadde per la scelta dei periti. Cercavamo qualità e competenza riconosciute perché ci garantissero serietà di ricerca e capacità critica di valutazione. Due teologi e uno storico sono dei più conosciuti e stimati in Brasile e uno anche con esperienza di lavoro in commissioni internazionali. Misero generosamente a nostra disposizione le loro competenze in un lavoro che richiedeva tempo e concentrazione. Anche altri due periti in storia, specialmente ferrati sul bacino amazzonico, e in particolare dei problemi socio-religiosi della Rondônia, accettarono l’esigente lavoro. Ezechiele ha avuto perciò l’onore di essere seguito da cinque dottori, cosa abbastanza rara in Brasile. L’accettazione da parte loro è stata convinta (credevano nella bontà della causa) e convincente, per i risultati raggiunti. Da parte nostra, oltre alla testardaggine nel non lasciarci sfuggire così ghiotta preda, c’è stata anche l’incoscienza di aver caricato di onerosi pesi spalle già gravate da molteplici impegni. Ultima, poi, e non piccola soddisfazione, fu quella di poter provare l’autenticità e l’attendibilità dell’unico testimone oculare. Davanti all’assemblea riunita, in quella notte del 4 marzo è stato possibile restituirgli l’onorabilità e difendere il buon nome del sindacalista che aveva accompagnato p. Ezechiele alla Fazenda Catuva. Per 30 anni aveva portato ingiustamente la croce di essere stato il traditore dell’amico. Era stata provata la sua innocenza e quindi doveva essere difeso pubblicamente. Da lì in avanti, chi avesse tenuto fermo il contrario, lo faceva a suo rischio e pericolo, essendo stata offerta a tutti i testimoni, contrari e favorevoli, la possibilità di un confronto con il tribunale preposto all’accertamento dei fatti. Ezechiele, dall’alto, avrà certamente gioito per questo estremo atto di giustizia.
La sfida dei procedimenti giuridici
Questi processi implicano strette formalità. Tra le altre, un tribunale competente e attento a garantire terzietà, obbiettività, serietà, valutazione ecclesiale e completezza di informazione testimoniale e documentale. Proprio su questo punto abbiamo toccato con mano l’intervento di una volontà superiore alle pochezze umane. La Congregazione delle Cause dei Santi aveva accettato, per la penuria di padri diocesani di Ji-Paranà, che uno dei comboniani potesse essere nominato Delegato vescovile, cioè rappresentante del vescovo. Fatto più unico che raro!
Sfida dei tempi
Alle volte stabiliamo piani che, nonostante la mostra ferrea determinazione, devono essere continuamente riaggiustati o modificati. Quanto più ciò accade, tanto più le nostre certezze di rapida soluzione vacillano. È stato proprio quello che anche qui è successo. Si è dovuto posticipare la chiusura dei lavori, non una, ma quattro volte. Il primo cambiamento è avvenuto a maggio. Si sarebbe dovuto chiudere tra il 21 e il 23 maggio, quattro giorni prima del mio rientro in Italia. I conti erano stati fatti male. Nuova data: il 27 settembre. Ancora una volta, semaforo rosso. Ora lo strumento era radicalmente cambiato: bisognava tener conto della flessibilità culturale e quindi sembrava agibile il 27 ottobre. Poi, altro buco nell’acqua e via all’11 dicembre. Il bambino non nasceva neppure per Natale. Si sperava nel nuovo anno 2017. Fatti i conti, tra vari impegni e ferie, qui in Brasile decorrono da dicembre a fine gennaio, abbiamo optato per il dopo carnevale, sperando nella buona stella della Quaresima. Il 4 marzo, sabato dopo le ceneri, sembrava il punto di non ritorno. Finalmente fu fissato, come data non più negoziabile, il 4 marzo 2017. Di fatto, dopo alcune ultime scosse di assestamento, alle 19.30 del 4 marzo, i concelebranti con il vescovo, Mons Bruno Pedron facevano il loro ingresso nella capiente parrocchiale di Cacoal. Sembrava un sogno, ma era la realtà. Più tardi, all’offertorio, le 12 casse di documenti erano portate da alcuni testimoni e collocate a lato dell’altare. Un rito solenne e commovente.
Sfida dei contenuti
Questo processo ha dovuto affrontare anche una piccola grande sfida: la chiamerò la sfida dei contenuti. Il processo doveva raggiungere certezze testimoniali e documentali attraverso le quali apparisse che la morte di p. Ezechiele non era semplicemente atto di coraggio, ma vero martirio cristiano e che la sua figura sintetizzava ciò che di meglio la Chiesa del Brasile, degli anni 70-90, aveva espresso con le sue opzioni e la sua pastorale. Si facevano avanti temi scottanti di Ecclesiologia (dal Vat. II ai documenti di Medellin e Puebla); di Cristologia (l’incidenza del Gesù storico come inscindibilità tra la persona e la sua causa); di pastorale (nuova strutturazione della Chiesa attraverso le CEBs e sua capacità di assumere profeticamente le cause sociali, in primis, i problemi drammatici della terra e dei popoli indigeni) ecc… Ora, sembra, che le 5000 pagine di documenti, che contengono le deposizioni dei testimoni oculari e dei documenti della Chiesa latinoamericana, offrano un solido banco di prova. Del resto, gli stessi contenuti parlano da soli dell’attualità di questa causa.
Quindi, nella notte del 4 marzo, entravano nella Chiesa di Cacoal, non semplicemente persone che avevano reso possibile il processo o 12 casse di documenti, ma era la Chiesa viva dei piccoli, confessante e impegnata sul terreno, a rendere significativo e vero quel luogo sacro. Avvertivo in quel momento una grande pace interiore e una intensa emozione di gratitudine salire verso Dio che tutti ci aveva guidato e, molte volte, anche sorpreso.
L’eredità di Ezechiele
Mi sembra di poter impiegare questa parola per esprimere il contenuto della testimonianza martiriale che Ezechiele ci lascia. Le brevi linee sintetiche, che qui riporto, fanno parte della chiusa delle lunga introduzione che ho dovuto fare prima della cerimonia finale propriamente detta. Mi sembrava necessaria perché l’assemblea potesse capire a fondo il significato di quello che sarebbe accaduto in quel momento. Diversamente, si sarebbe assistito a tutta una serie di giuramenti e di firme e a uno svolazzare di fogli e di timbri sotto lo sguardo vigile del Postulatore. Confesso che, dopo aver letto e commentato le quasi dieci pagine dell’introduzione e aver anche abusato un po’ della pazienza dei presenti, volevo concludere lasciando da parte quelle ultime righe che qui riporto. Del resto, il Signore mi aveva fatto l’ultimo sgambetto per farmi capire che il soggetto e il protagonista di tutto quello che era accaduto fin lì, e che stava accadendo, era Lui, e solo Lui. Avevo smarrito gli occhiali e inutile era stata ogni ricerca. Senza gli occhiali ero ridotto a un soldato senza munizioni! Con un gesto estremo ho sottratto gli occhiali al vescovo, che mi guardava tra il divertito e il preoccupato, e ho tentato il tutto per tutto. Li inforcai chiedendo l’aiuto divino. Vedevo il sufficiente per poter tentare l’avventura. Per questo cercavo di finire quanto prima, con l’intenzione di lasciare da parte le righe finali che avevo appunto intitolato: «Quello che ci insegna la figura di Ezechiele». Erano poche parole che mi sembrava sintetizzassero la sua vita e il suo pensiero.
Ezechiele ci dice che evangelizzare, portare la Buona Notizia, ha il suo prezzo e solo accade quando uno accetta di amare senza condizioni, collocando il bene altrui al di sopra del suo proprio bene.
Ci dice ancora: non si evangelizza se non si ama.
Non si ama, senza la determinazione di partecipare a una opera comune. «Nonostante le inevitabili divergenze, scriveva di Ezechiele Mons. Possamai, il suo vescovo diocesano, giungevamo a conclusioni sempre positive».
Non si ama se non si valorizza ciascuno secondo il proprio dono, genio e competenza.
Non si ama senza una spiritualità (Ciò che p. Ezechiele scriveva, a ffermava e pregava, veniva sempre da una Parola di Dio approfondita nella preghiera e immersa nelle sfide della vita).
Non si ama se non si portano le persone ad essere protagoniste del proprio destino.
Non si ama se non si rischia e non si è capaci di fare l’opzione dei più poveri e indifesi al fine di poter dialogare con tutti senza ipocrisia.
Non si ama senza uno spirito positivo e di speranza (p. Ezechiele era il suo sorriso).
Non si ama, se non si entra in un progetto ecclesiale (Ezechiele, giovane missionario, era inserito nella parte avanzata del programma ecclesiale della Ciesa del Brasile degli anni 70-90).
Non si ama se non si conosce a fondo la realtà.
Non si ama se non si agisce.
Non si ama se non si è disposti di andare fino alla fine, fino al dono della propria vita, se Dio e il bene della gente lo richiedono. Amen.
Pronunciato l’“Amen”, ho visto l’assemblea alzarsi di peso e applaudire lungamente e convintamente. La mia reazione fu immediata: quell’applauso non mi apparteneva, era la «standing ovation» per Ezechiele e il suo atto eroico di amore per i più piccoli e lasciati da parte!
E, adesso, siamo noi messi in causa! In causa è la nostra vita, le nostre opzioni e i nostri atteggiamenti. La sua sfida, continua in ciascuno di noi e passa sulle nostre comunità comboniane!
Cacoal (RO), Chiesa parrocchiale della Sacra Famiglia, 4 di marzo 2017
P. Arnaldo Baritussio