Martedì 23 giugno 2015
Ieri sera i comboniani della Casa Generalizia a Roma hanno celebrato il cinquantesimo anniversario di sacerdozio di due confratelli italiani della comunità della Curia. P. Torquato Paolucci [a sinistra], nato a Urbania nel 1940, è stato ordinato sacerdote il 26 giugno 1965. Ha lavorato oltre trent’anni in Uganda e dodici in Curia, in due periodi, come responsabile dell’animazione missionaria e addetto ai benefattori. P. Danilo Cimitan [a destra], naturale di Godega Sant'Urbano, anche lui 75enne e ordinato nello stesso anno, ha trascorso gli anni di missione fra Mozambico, Brasile e comunità della Curia, come membro della commissione di Formazione Permanente. Pubblichiamo l’omelia di P. Torquato, che ha presieduto la messa.

 

P. Torquato
Paolucci.

 

Omelia
di
P. Torquato Paolucci
nel cinquantesimo anniversario
della sua ordinazione sacerdotale


Cari confratelli e amici presenti,
La prima lettura ci riporta l’esperienza di Abramo, il suo incontro con Dio e la chiamata ad andare. “lascia la tua casa, la tua terra, la tua gente e va’ verso la terra che io ti indicherò. Là ti benedirò e diventerai benedizione per il mondo”. Aveva 75 anni. La mia età.

Penso che Abramo abbia fatto un’esperienza di Dio fortissima, che gli ha dato la forza di cambiare vita e di mettere in pratica il piano di Dio anche in situazioni difficilissime e di grande sofferenza. La sua fede, il suo abbandono in Dio è enorme.

Anche a noi Dio ha chiesto di “andare” per ricevere e dare “benedizione”: un messaggio molto simile a quello di Abramo, che per me non si è svolto in modo così drammatico. Nell’ambito naturale della mia famiglia e della mia parrocchia ho trovato molto logico seguire il desiderio di diventare missionario. La mia era una famiglia numerosa, povera ma dove Dio e la sua volontà erano molto importanti. La preghiera, i sacramenti, la fede sono stati doni su cui si è innestata la vocazione missionaria, doni ricevuti dai miei genitori. Avevo due zii missionari, uno zio sacerdote e le riviste missionarie erano le nostre letture preferite, per cui quando P. Elvio Gostoli è venuto in parrocchia a parlare delle missioni, è stato naturale seguirlo. Avevo solo dieci anni e ho seguito tutto il corso di studi e di maturazione offerto allora dai Comboniani: in giro per l’Italia ma sempre con il desiderio di andare in Africa, come Daniele Comboni. Tra i miei formatori ne ricordo uno in particolare, P. Francesco Cordero, mio superiore al liceo e poi padre maestro in Noviziato. Ho incontrato recentemente una decina dei miei compagni di studi e di ordinazione sacerdotale a Limone e tutti hanno sottolineato l’importanza di questo missionario nella nostra formazione: ci ha aiutato molto a mettere Gesù al centro della nostra vita. Lo voglio ricordare e ringraziare di cuore.

Dopo l’ordinazione sacerdotale nel 1965 e l’università cattolica (durante i famosi anni del ’68), c’è stata la partenza per l’Uganda, dove ho passato la mia vita, oltre trent’anni, a parte un intervallo di sette anni in questa casa, dal 1972 al 2010.

Celebrando il 50° mi viene spontaneo dare un’occhiata al passato, alle difficoltà incontrate (le difficili situazioni sociali e politiche dell’Uganda in quegli anni, gli amici uccisi – Bilbao Serri e altri – la strage di Ombaci), ai fallimenti e a quello che il Signore e le persone incontrate mi hanno permesso di realizzare.

In questi giorni di festa e di gioia, specie nei tre giorni passati a Limone con altri dieci compagni di ordinazione sacerdotale ho rivisto la mia vita, ho ascoltato la vita degli altri e mi viene naturale il sentimento di grazie a Dio per tutto quello che mi ha dato.

Nella casa del Comboni, al pensiero dei suoi genitori, specie di mamma Domenica e delle sue lacrime quando Daniele è partito per l’Africa, ho rivisto le lacrime di mia mamma Pierina quando partivo per la missione. Oggi la ricordo con affetto e riconoscenza. Nelle mie ultime vacanze passate con lei pochi giorni prima del ritorno in Uganda (lei era già ammalata), la vidi piangere da sola. Mi disse: “penso che non ti rivedrò più”; le risposi: “ se vuoi chiedo ai miei superiori di rimanere qualche anno in Italia”. Mi rispose: “Non farlo, va dove Lui ti chiama, non voglio morire con questo peso sulla mia coscienza”.

Rivedo poi una galleria di volti (sono i segnali stradali messi da Dio sulla mia strada) che hanno reso possibile il mio cammino missionario. Specie in Uganda e nella vita di missione: quante persone, quanti amici e amiche mi hanno dato quella spinta necessaria per continuare. Ho visto che nei momenti difficili, i momenti della delusione, dello scoraggiamento e dell’infedeltà è sempre successo qualcosa che mi ha ridato fiducia e speranza: eventi, ma spesso si è trattato di persone semplici che mi hanno evangelizzato e fatto riscoprire Gesù. Quanto mi hanno dato le persone! Non è retorica dire che ho ricevuto di più di quello che ho dato: questo è il mal d’Africa di cui si parla tanto.

C’è però un fatto importante che voglio sottolineare: la fedeltà di Dio, la sua pazienza, il suo perdono continuo. Se Dio ha avuto tanta pazienza con me e mi ha dimostrato tanto amore, continuerà a farlo, perché Dio è fedele e non cambia. Abramo lo ha sperimentato fino alla fine e io lo sto sperimentando.

A voi che siete qui la mia gratitudine e la mia preghiera. Chiedo per noi la gioia di essere specchi della tenerezza di Dio.
Dio vi benedica.