Fin dall’infanzia mi piaceva stare all’aperto, soprattutto alle prime luci del mattino: c’era qualcosa di molto attraente e affascinante, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche e dal periodo dell’anno. Più tardi ho capito che in qualche modo Dio si fa presente e mi parla in modo molto personale attraverso la natura, un modo che va al di là di pensieri e concetti. La creazione rimane per me la Parola originale di Dio sussurrata con amore. Quando il salmista gioisce perché è “meglio un giorno nella casa del Signore che mille altrove” (Sal 84,11), il mio pensiero va immediatamente all’intera, immensa distesa dell’universo.
Le meravigliose scoperte dell’astronomia moderna – che ci hanno permesso di conoscere l’età approssimativa e l’enorme espansione dell’universo e meraviglie come il ciclo di vita delle stelle, la potenza dei buchi neri, la materia oscura e le forze misteriose che, solo pochi decenni fa, sarebbero stati al di là della nostra immaginazione – offrono una nuova prospettiva alle parole di Isaia 45,12 e 18: “Io ho fatto la terra e su di essa ho creato l’uomo; io con le mani ho dispiegato i cieli e do ordini a tutto il loro esercito... L’ho resa stabile, non l’ho creata vuota, ma l’ho plasmata perché fosse abitata… Io sono il Signore; non ce n’è altri”.
Il dono di sé e la presenza di Dio nella creazione vengono presentati ancora più chiaramente nella Lettera ai Colossesi 1,15-17: “Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione; perché in lui furono create tutte le cose… Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”. Il dono della creazione e il dono del Figlio unigenito di Dio sono inseparabili. Dio ci dona il Suo Figlio (Gv 3,16), a cominciare dalla creazione stessa e tutto il resto viene dato con il dono del Primogenito della creazione che diventa anche “il primogenito di coloro che risuscitano tra i morti” (Col 1,18).
Nel corso della mia vita quel “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10) mi ha svelato l’intenzione fondamentale e primordiale di Dio. Questa dichiarazione d’intenti di Gesù congiunge la Creazione con l’Incarnazione nel dono di sé di un Dio che genera l’amore. La Creazione-in-Cristo è già il dono del Figlio di Dio la cui vita condividiamo ed è in funzione dell’Incarnazione, attraverso la quale Cristo può pienamente e in modo più tangibile e personale renderci partecipi della sua stessa vita con il Padre (Gv 5,17-26; 6,37-40 e 17,24-26).
Nel seminario comboniano di Cincinnati i miei insegnanti insistevano sul fatto che i beni della terra sono destinati a dare sostentamento alla vita di tutti e quindi sono da condividere in modo equo. Il diritto alla vita è primario e il diritto alla proprietà, secondario, subordinato al diritto fondamentale alla vita. Così ci sono stati insegnati alcuni principi fondamentali della giustizia distributiva. “Dio nostro Salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,3-4): questo concetto non può essere separato dal diritto di tutti i popoli a condividere tutto ciò che è necessario per una vita umana dignitosa. Di conseguenza, vi è l’obbligo di conservare e condividere i beni della terra. “Voi stessi date loro da mangiare” (Lc 9,13). “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (At 2,44-45).
Sono stato ordinato sacerdote molti anni prima di riuscire a capire che gli Stati Uniti rivendicavano per sé una quota sproporzionata delle risorse della terra e che il loro consumo eccessivo andava a scapito dei bisogni primari di altri popoli.
Ho impiegato ancora più tempo prima di capire che il consumo eccessivo stava minacciando l’esistenza stessa dell’ecosistema che sostiene tutta la vita sulla terra, sia attraverso l’avvelenamento, in vari modi, dell’ambiente, sia attraverso il cambiamento climatico globale. “Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti. È lui che l’ha fondato sui mari e sui fiumi l’ha stabilito” (Sal 24,1-2). A nostro rischio e pericolo ci comportiamo come se fossimo i signori della terra. La nostra brama di una quantità sempre maggiore di energia derivante da combustibili fossili modifica le correnti del mare, il flusso dei venti, le condizioni climatiche e scatena le tempeste più violente e distruttive. “Tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (Lc 12,15).
La mia prima assegnazione fu alla provincia del Sudafrica. Conoscevo la crudele realtà dell’apartheid già prima di andarci e sapevo che alcuni usavano un’ideologia “religiosa” per giustificare l’oppressione. Questi interpretavano la vittoria degli Afrikaner nella battaglia di Blood River come il sigillo di un’alleanza tra Dio e i vincitori calvinisti: si sentivano il popolo eletto da Dio mentre gli altri erano i “kaffirs” o pagani. Nell’interpretazione ideologica dell’estrema destra – che non era certamente la posizione presa da tutti gli afrikaner – questa alleanza conferiva al “popolo eletto” il diritto di espropriare i popoli pagani. “Da ciò saprete che in mezzo a voi vi è un Dio vivente: proprio lui caccerà via dinanzi a voi il Cananeo, l’Ittita, l’Eveo, il Perizzita, il Gergeseo, l’Amorreo e il Gebuseo” (Gs 3,10). Non sorridiamo come se fossimo al di sopra di queste cose: basta ricordare che, con l’incoraggiamento di Alessandro VI, la Spagna e il Portogallo si sono divisi tra loro quella che oggi è l’America Latina (Trattato di Tordesillas 1494) e gli Stati Uniti, con l’ideologia del “Manifest Destiny” (Destino Manifesto), giustificavano la conquista e lo sfruttamento.
Ho imparato anche che, molti anni prima che il Partito Nazionalista Afrikaner conquistasse il potere nel 1948, gli inglesi, per sfruttare economicamente gli africani, avevano messo in atto tutte le strutture essenziali dell’apartheid, compresi quelli che in seguito divennero noti come “territori nazionali” (homelands). “Guai a voi che aggiungete casa a casa e unite campo a campo, finché non vi sia più spazio, e così restate soli ad abitare nella terra” (Is 5,8). “Hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali. Essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri e fanno deviare il cammino dei miseri” (Am 2,6-7).
In Sudafrica, per molti decenni, le chiese sono state divise, con la maggior parte delle chiese calviniste riformate che difendevano le politiche dell’apartheid o che erano tacitamente consenzienti. Ma anche la Chiesa cattolica era divisa al suo interno. Mentre l’arcivescovo Denis Hurley di Durban e un gruppo relativamente piccolo di vescovi e sacerdoti erano apertamente contrari all’apartheid, la maggior parte dei vescovi e sacerdoti preferivano non parlare esplicitamente per timore di essere espulsi dal paese o di essere dichiarati “persone interdette”. Gran parte del laicato cattolico voleva che i vescovi “rimanessero fuori dalla politica”.
Dopo la rivolta della gioventù nera nel 1976 e la conseguente, violenta repressione del governo, le chiese cristiane hanno trovato il coraggio di parlare. Le religiose hanno simbolicamente aperto le loro scuole urbane ai “non-bianchi”, costringendo i vescovi a sostenere queste loro azioni. Gli autori del documento Kairos, del 1985, riconoscevano che un numero sempre più grande di persone trovava il coraggio di parlare: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29). E affermando che è il Signore che “compie cose giuste, difende il diritto di tutti gli oppressi” (Salmo 103,6), invitavano implicitamente i cristiani a seguire le orme di Cristo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19, cfr. Mt 25,31-46). Gesù era colui che “ha pianto su Gerusalemme, perché non era riuscita a riconoscere la sua opportunità” (Lc 13,34-35 e Mt 23,34-39).
Intanto, nel 1982, ero ritornato negli Stati Uniti in un momento in cui l’amministrazione Reagan appoggiava operazioni sotto copertura della CIA e le terribili atrocità commesse dai “contras” in Nicaragua. Quando ho cercato di saperne di più sulla lunga storia degli interventi militari e di quelli segreti degli Stati Uniti nei paesi dell’America Latina, è emerso che il governo americano proteggeva abitualmente lo sfruttamento spietato – ad opera di società con sede negli USA e di multinazionali – delle risorse minerarie, dei terreni agricoli e delle vie di trasporto, come il Canale di Panama. Vi erano persino dei posti simili ai “territori nazionali” (homelands), apparentemente autonomi, del sistema dell’apartheid, dove il povero dell’America Latina costituiva una “forza-lavoro” che poteva essere sfruttata quando se ne aveva bisogno e scartata quando non più necessaria.
Si trattava di una scoperta piuttosto inquietante: gli Stati Uniti usavano il loro schiacciante potere militare, industriale, economico e politico non per liberare o aiutare – come sostenevano – le popolazioni dei paesi limitrofi, ma per sfruttarle spudoratamente. La “guerra fredda” veniva utilizzata come una scusa per sostenere dittatori spietati e chiunque cercasse giustizia per il proprio popolo veniva indiscriminatamente etichettato come “comunista”. Peggio ancora, la maggior parte dei mass media non parlavano onestamente di questo comportamento spudorato e la maggior parte della gente sembrava voler ignorare. “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32) – ma prima dovrete soffrire!
Quando cercai di parlare di ciò che venivo a sapere e quando mi opposi alla prima guerra del Golfo Persico, divenni un estraneo per molti dei miei connazionali. Anche se di solito ero piuttosto timido e restio a parlare in pubblico, la mia esperienza di “denunciare il male” fu un po’ come quella di Geremia: “Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7-9).
Durante il mio primo mandato come Superiore Provinciale, la NAP creò l’Ufficio di Giustizia e Pace con P. Anton Maier come primo direttore e pochi anni dopo Cindy Browne divenne la responsabile del Centro Servizi di Giustizia e Pace di Cincinnati. I membri della NAP si erano già impegnati in precedenza nelle questioni di GPIC, in particolare attraverso i nostri media, ma il Centro ci ha permesso di interagire in maniera ufficiale e più approfondita con le altre organizzazioni di GPIC basate sulla fede. “Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133,1). C’è il senso di uno scopo comune e di valori condivisi. Ho incontrato molte persone che ho cominciato ad ammirare.
Nel 2000 sono tornato in Sudafrica con un certo ottimismo, nel periodo del dopo-apartheid, quando l’ANC (il partito di Mandela) era al governo. Anche se l’ANC aveva fatto molti passi positivi per ampliare l’erogazione di acqua potabile e di elettricità, aveva costruito case secondo il Programma di Ricostruzione e Sviluppo (RDP) e introdotto una legislazione in gran parte positiva, fu presto evidente che non tutto andava per il giusto verso. Misure intese a realizzare una più ampia distribuzione della ricchezza, come il Rafforzamento del Ruolo dei Neri nell’Economia (Black Economic Empowerment), sono servite solo ad arricchire i pochi che avevano conoscenze importanti. Il tasso di disoccupazione era circa del 40%, il divario tra ricchi e poveri si era allargato enormemente e i più poveri erano in una situazione peggiore di prima. La corruzione dilagante, la criminalità e la rapida diffusione dell’HIV/AIDS accrescevano la miseria. Arrivavano profughi da ogni parte dell’Africa e si trovavano solo davanti a una xenofobia dilagante. “Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: «Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito». Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima»” (Lc 11,24-26).
La situazione sembrava molto più complessa rispetto al passato, quando c’era l’apartheid. La maggior parte dei leader delle varie chiese erano più riluttanti a sfidare un governo guidato da un partito politico africano che contava su un’ampia maggioranza. Le chiese hanno spesso ceduto alla tentazione di limitarsi ad alleviare i sintomi piuttosto che affrontare le cause di fondo. “La nostra battaglia non è contro la carne e il sangue, ma contro… i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male…” (Ef 6,12). È stato un tempo per chiedere la Sapienza dello Spirito.
Ora sono ritornato nella NAP e sono impegnato come rappresentante di “VIVAT International” presso l’ONU e con AFJN di Washington, DC. Washington è un disastro politico. C’è un nuovo spirito di malvagità e un tentativo di minare la rete di sicurezza sociale in nome della responsabilità fiscale. Anche le Nazioni Unite sono un posto molto politicizzato, mentre invece molte nazioni sembrano aperte all’insegnamento sociale della Chiesa quando viene presentato con un linguaggio laico, in termini di diritti umani, legge umanitaria ed equità. Molti istituti religiosi cattolici, così come innumerevoli altre organizzazioni basate sulla fede, collaborano nello sforzo di influenzare positivamente le numerose deliberazioni legate al Consiglio Economico e Sociale. C’è una comunità intenzionale di fede, speranza e amore. Anche se tutto si muove molto lentamente – e non mancano le difficoltà – l’ONU è un luogo di speranza per coloro che credono che lo Spirito di Dio è all’opera nelle persone e nella storia. La luce dello Spirito, a volte, è debole e non sempre splende come un raggio di sole, ma è visibilmente presente.
“(Il Signore) sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore” (Is 2,4-5).
Ora, siamo in un nuovo momento di Kairos. Per la prima volta nella storia abbiamo una reale capacità di superare i livelli più disperati di povertà che privano la gente della dignità umana. Ma, allo stesso tempo, se non agiamo con uno sforzo congiunto per fermare i comportamenti che contribuiscono al riscaldamento globale, potremmo potenzialmente provocare la distruzione di tutta la vita umana sulla terra.
Comboni ci presenta un percorso di fede impegnativa: “Niente è più utile, che il formarsi quell’abitudine di calma, di ordine, di sereno e dignitoso procedere, che lascia allo spirito la libertà necessaria a fare senza confusione e precipizio il bene, e toglie i pericoli d’una tensione e d’uno sforzo, che opprime lo spirito ed il corpo” (Regola del 1871, capitolo XII).
“Chiedete e riceverete…” (Mt 7,7ss).
P. John Converset, mccj