di Dotolo-Zolli
Il Gruppo Europeo di Riflessione Teologica (GERT) ha preparato, in vista del prossimo Capitolo Generale, alcune schede di riflessione destinate ai capitolari europei. Avevamo pensato di pubblicarle anche sul sito dell'Istituto, come materia anche per altri capitolari. Ecco la quarta.
Roma, 18.04.2009
Perché manca la scintilla per accendere i cuori?
Come è stato messo in evidenza nel rapporto della Commissione centrale della Ratio Missionis e sottolineato nel sussidio per una più facile lettura del testo: “la nostra spiritualità, forte e definita a livello di principi e convinzioni, in realtà è vissuta debolmente lasciando quindi spazi a forme di vita caratterizzate da individualismo, poca comunione, debole identità comunitaria e di incerta appartenenza all’Istituto” . Il testo dice anche che non mancano nemmeno gi strumenti, anzi c’è un’abbondanza di sussidi (uno anche recentissimo: La famiglia Comboniana in Preghiera), di manuali, di studi e approfondimenti i quali indicano che la spiritualità comboniana “…di per sé non è né debole né deficitaria, ma forte e capace di generare sempre nuova energia missionaria”.
Questa però tarda a manifestarsi!
Perché allora manca quella scintilla per accendere i cuori e quel soffio che inverti la tendenza e spinga l’Istituto Comboniano e rinnovare l’ardore e l’audacia missionaria di San Daniele Comboni?
Nasce un dubbio: che sia prevalso nell’Istituto un’idea di spiritualità ancorata ciecamente alle fonti, sottovalutando il dinamismo della storia, restia a leggere i segni dei tempi e l’irruzione dei poveri nello scenario mondiale?
Difatti una spiritualità che si alimenta alle le fonti, alle tradizioni, agli scritti, insistendo sulla pratiche classiche senza coniugarle con una lettura sapienziale dei segni dei tempi, un impegno costante di inserzione nella realtà dei poveri, di ascolto e di dialogo con altre culture e espressioni religiose di altri popoli, rischia di cullarsi sul passato e clonare modelli e stili di vita e di impegno missionari che possono perdere di senso. Questo pericolo diventa micidiale soprattutto per gli Istituti missionari, come quello comboniano, che hanno per obbiettivo di esporsi all’incognito e devono per la loro stessa consacrazione continuare la missione con e tra i popoli.
La spiritualità dell’Istituto allora se vuole essere profondamente comboniana, prima di tutto deve essere una spiritualità cristiana; ancorata saldamente su due pilastri: Gesù, il missionario del Padre, che rimane vivo e attuante con la forza del suo Spirito nella Parola e nell’Eucarestia e i poveri.
La passione di Gesù per il Regno e la sua prassi storica da una parte e la sete di giustizia, pace e fraternità dei poveri dall’altra devono alimentare la spiritualità del missionario. Essa si colorirà dell’originalità carismatica comboniana attraverso il prisma del Cuore di Cristo compassionevole e trafitto di amore per l’umanità e dalla scelta preferenziale dei poveri, quelli più necessitosi e derelitti, che Comboni nel suo momento storico e come parte del suo carisma personale (RdV 5.1) aveva identificato essere gli africani.
In questo modo, la spiritualità sarà la scintilla che sosterrà i missionari a dedicarsi alla causa missionaria con perseveranza e intensità anche nella malattia e nella vecchiaia, pazienti e forti nel sopportare la fatica, la solitudine e l’apparente inutilità del lavoro (RdV 2.2); nella contemplazione del Cuore trafitto, come impegno di liberazione globale dell’umanità (RdV 3.3). Mettendo al centro della propria vita e dell’annuncio il Cristo crocifisso (RdV 4.1). Impiegandosi a essere fermento di unità fra i vari agenti dell’evangelizzazione (RdV 8.1). Inquietando le chiese e i pastori; sempre aperti a nuove vie di animazione missionaria (RdV 8.2) e come inviati dalla Chiesa (RdV 9).
Presentiamo in seguito alcune caratteristiche della spiritualità missionaria e comboniana per i nostri giorni.
1. Una spiritualità per la vita
C’è un dato che attraversa la tradizione cristiana: la spiritualità è sempre in rapporto alla vita. Essa nasce dall’esperienza e dalla sua interpretazione e comprensione alla luce dello Spirito. Per questo è una modalità storica di percepire il Vangelo e testimoniare la novità di Gesù Cristo coniugandola con l’esistenza quotidiana, fatta di gioie, interrogativi, attese, desideri, progetti. E’ evidente, allora, che la missione come evento che pone a disposizione di ogni uomo il messaggio liberante del Regno, informa la spiritualità del missionario quale uomo dedicato totalmente al messaggio.
In tal senso, si tratta di lasciarsi condurre dallo Spirito, oltre l’illusione sentimentale o l’emozione del momento; ma anche al di là di certe forme di atletismo moralistico e ascetico che rischiano di creare l’ideale del perfezionismo e dell’autosufficienza. Il Vangelo e l’esperienza di Dio che esso trasmette, non sono riducibili ad un teorema e la spiritualità non è una ricetta pronta all’uso. Essa è unabbandonarsi alla profondità del Mistero, aperta all’avventura dell’amore, anche se la vita non risparmia fatica e smarrimenti. Di più, la spiritualità è un’esperienza di rottura, capacità continua di non adagiarsi alla vita, alla storia, alla cultura così come si presentano. Proprio il vissuto missionario sa che l’incontro con gli altri, l’ospitalità di modi di vivere e pensare diversamente, inaugura una spiritualità sempre aperta all’essenziale antropologico , in grado di calarsi nel quotidiano, di perdersi nel negativo, nel piccolo, in ciò che normalmente si disprezza e trascura.
2. Nella passione per il Regno
In effetti, il paradigma della spiritualità missionaria (e comboniana) è Gesù Cristo, la cui idea-forza è la causa del Regno, cioè la missione. La prassi del Gesù storico è stata vissuta nella passione per il Regno, la cui significatività unica si è espressa nella liberazione dell’umanità, con una predilezione per i poveri, a costo anche di scardinare teorie religiose o prassi pastorali. In questa passione, emerge la sua discrezione messianica, in grado di non arretrare dinanzi al servizio della libertà e giustizia, anche là dove non viene compreso e accettato.
Si potrebbe affermare che il suo messaggio instaura un contro-senso culturale e religioso, perché costituisce lo spazio vitale offerto ai poveri, ai peccatori, ai senza speranza.
La scelta missionaria di Gesù mostra un di più, perché individua nella sua prassi e nel suo messaggio il coinvolgimento senza condizioni di Dio. E’ l’evento pasquale, quale irruzione definitiva del regno di Dio, a rivelare in pienezza il mistero della persona di Gesù, a partire della follia della croce (cf. At 2,22-36). In esso Dio si fa conoscere come essere-per-gli-altri (kenosis) in una disponibilità totale che è la forza dell’amore, in una com-passione per l’uomo fino al coinvolgimento totale di sé.
La spiritualità missionaria è, dunque, alla confluenza della compassione messianica con la libertà evangelica. Assumendo uno stile di vita provvisorio e d’itineranza, caratterizzato dalla condivisione comunitaria in virtù di un carisma proprio (comunità come cenacoli di apostoli), il missionario investe la sua esistenza di un’energia spirituale (dello Spirito) che non si lascia condizionare dal giudizio delle culture e dalla critica della società. La spiritualità missionaria, dunque, esige un processo di decentramento del proprio io, nel dono agli altri. Cioè: un cambio di mentalità, nel modo di guardare l’altro e la vita. E’ la stessa esperienza del Comboni che, in una lettera al p. Sembianti del 13 agosto 1881, ribadisce il metodo del “…caro ed indispensabile pro nihilo reputari”. (S 6932)
3. L’urgenza della contemplazione
Il cambio è possibile solo se si dà importanza a spazi di riflessione contemplativa. Questi non diminuiscono l’impegno, ma lo rendono più cosciente e attento, perché il pregare sia imbevuto di storia, di quella storia che quotidianamente uomini e donne devono affrontare nella lotta per vivere in modo dignitoso. Amare il mondo non è facile se non si assume come sguardo l’orizzonte di Gesù Cristo. Una vita contemplativa, però, distante dalla fatica del quotidiano che è il vero laboratorio di salvezza, rischia di diventare sterile ripetizione di formule, riti, atteggiamenti che non corrispondono all’esperienza missionaria come annuncio di una novità e notizia interessante per la vita. Insomma, una spiritualità missionaria deve evitare atteggiamenti manichei e di separazione, perché la contemplazione non è mai statica , ma liberazione dal falso io e dalle sue proiezioni. In una parola è dinamica, in grado di leggere le domande di salvezza e di assumerle come contenuto dell’esperienza liturgica e della preghiera personale
Da questa angolatura, diventa centrale per una spiritualità missionaria assumere il metodo della lectio divina, personale e comunitaria o della lettura spirituale e politica della Parola. In tale metodo che richiede una preparazione costante ed una scelta educativa, entrano in relazione reciproca esperienza-interpretazione-verità. Si fa esperienza della vita con le sue domande e attese, la si interpreta a partire dalle situazioni e contesti e la si orienta nella comprensione del messaggio evangelico, la cui verità è liberante e umanizzante. Una simile correlazione esigerà, quindi, non improvvisazione, né l’abitudine a prassi liturgiche e di preghiera consolidate. In altre parole, una delle caratteristiche più proprie della spiritualità missionaria consiste nella lettura sapienziale della Parola, sia a livello personale, sia a livello di verifica comunitaria. Questo comporta un’analisi del nostro mondo attuale d’esperienza; un’individuazione delle strutture costanti dell’esperienza cristiana fondamentale, di cui parla il Nuovo Testamento, ma anche la successiva tradizione cristiana; il confronto critico tra l’esperienza del mondo culturale attuale e la proposta evangelica del Regno. In questo modo la spiritualità e la preghiera diventano ricerca nella direzione dell’autenticità, della fuga dalle illusioni, di liberazione dalle apparenze e da ciò che non trasforma.
4. Una spiritualità della liberazione e dell’esodo
La spiritualità missionaria gioca la sua credibilità sulla forza che ha di liberare, a partire dall’opzione preferenziale per i poveri. La novità cristiana sta nell’idea e nella prassi dell’integrazione: un missionario annuncia e testimonia il Vangelo solo partecipando profondamente e attivamente al mondo che è incompiuto, in stato di creazione.
In definitiva, la vita, il quotidiano, la cultura è in uno stato permanente di liberazione, e il missionario partecipando alla liberazione del mondo e degli altri, diventa libero. Ma per far questo, è necessario liberarsi dalla forma di religiosità comune e da angosce personali, per trasformarsi in persone capaci di amicizia, di apertura a chi è nel bisogno, di libertà profetica nei conflitti.
La spiritualità missionaria diventa, allora, incarnazione nella vita quotidiana, attraverso uno stile eucaristico che è dono e impegno. Tale stile ci ricorda che la liberazione è un evento difficile, progressivo e, talvolta, faticoso. Ma, al tempo stesso, ci indica che si è missionari testimoni di libertà, se si riconosce che non si è onnipotenti, perfetti, padroni, ma ospiti e collaboratori del Regno.
Una tale consapevolezza provoca un uso giusto dei beni e un uso gratuito della vita, che è stata donata per essere messa al servizio. In più, mostra come l’essere con i fratelli e sorelle è una condizione determinante per la qualità della spiritualità missionaria, perché è con loro che devo realizzare una relazione di amicizia e condivisione. Per quanto difficile, è l’unica reale possibilità di vivere la libertà ed essere liberi. Il missionario, di conseguenza, vive un atteggiamento di esodo permanente.
“ a)esodo da se stesso e dalle proprie sicurezze;
b) esodo ecclesiale: la missione è lasciare una chiesa ben stabilita con i suoi modelli teologici, per andare ad aiutare una chiesa bisognosa, o farla sorgere dove ancora non esiste, lasciandoci convertire da questa esperienza;
c) esodo socio-culturale: la missione è liberarsi dai condizionamenti della propria classe e cultura, che impediscono di percepire la presenza dello Spirito e i cammini del Vangelo nella cultura dove siamo chiamati a servire. La missione non è “lanciare un prodotto” (proselitismo, propaganda, “colonizzazione missionaria”), ma condividere con amore disinteressato e utile un dono gratuito che non ci appartiene” (F. Masserdotti, Spiritualità missionaria. Meditazioni, Emi, Bologna 1989, 54).
Dotolo-Zolli