La novità della missione cristiana - Linguaggio e prassi

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di Dotolo-Zolli
Il Gruppo Europeo di Riflessione Teologica (GERT) ha preparato, in vista del prossimo Capitolo Generale, alcune schede di riflessione destinate ai capitolari europei. Avevamo pensato di pubblicarle anche sul sito dell'Istituto, come materia anche per altri capitolari. Ecco la prima.
Roma, 15.04.2009

Il punto focale è sempre stato l'eterno problema dei Capitoli

Prendendo spunto da quanto è affermato nel rapporto finale della commissione che ha coordinato il processo della Ratio Missionis, nelle due fasi della messa a fuoco e del discernimento, constatiamo che come comboniani “stiamo dicendo le stesse cose già da molti anni senza che vi siano dei grandi cambiamenti” (Relazione finale n° 175). Predomina il fare più che l’essere missionari… Spesso nel nostro stile missionario c’è la ricerca del proprio protagonismo piuttosto che quello della gente (idem n° 150). Non riusciamo del tutto a comprendere e soprattutto ad accettare che è rapidamente cambiato il contesto sociale, politico, economico ed ecclesiale nel mondo in cui siamo chiamati ad operare e continuiamo ad utilizzare parametri teologici spesso ante conciliari; o che non prendono in considerazione l’evoluzione della ricerca biblica/teologica che si è sviluppata dopo il Concilio Vaticano II. Spesso vengono adoperati criteri apologetici di lettura per difendere il proprio stile e scelte missionarie, piuttosto che mettersi alla ricerca di stili di vita inculturati nei vari continenti e comprensibili all’umanità di oggi. Si continua ad usare un linguaggio che non aiuta ad esprimere la novità della missione, ma la rende ancora più frammentata e stereotipa, inadeguata a rispondere alle sfide che la realtà mondiale ci presenta.
Anche le proposte indicate dal rapporto finale per i vari livelli (personale, comunitario, provinciale e di Istituto) ripetono iniziative e mezzi già elencati negli ultimi capitoli generali e nelle assemblee provinciali e continentali, meglio definiti dalla Regola di Vita.
In questo modo si rischia di perdere un’occasione propizia ed accettare ineluttabilmente il declino più che la “rifondazione” del nostro Istituto, come alcuni avevano sognato con il processo della Ratio Missionis.
“Dal Piano del Comboni, al Piano dei Comboniani. Riqualificare la Missione, la Formazione e il Governo” è l’obiettivo che si è proposto il XVII Capitolo Generale. Ora la missione si rinnova, rinnovando in primo luogo noi stessi.
Ma con quali criteri?

1-. L’urgenza di assumere un nuovo paradigma di missione

La missione sta cambiando. Non è solo la constatazione di un cambiamento di modelli nella teoria e nella prassi missionaria, ma piuttosto la consapevolezza che la missione è un evento che si rinnova in dialogo con il mondo, la cultura, la società.
La necessità di un dialogo sincero è uno dei segni dei tempi più significativi che mostra come la missione è chiamata ad un discernimento costante per essere più adeguata alle domande degli uomini e donne del nostro tempo.
Ciò comporta la forza di individuare un paradigma nuovo.
Non è un caso che la missione oggi sta diventando sempre più globale. E’ chiamata a vivere nei confini delle differenti culture, negli spazi geografici sempre più prossimi, nella lotta per un’etica mondiale, nell’incontro con le altre religioni. I luoghi della missione sono là dove l’umanità concreta invoca il diritto alla vita e ad una qualità di relazioni più giuste.
Un tale quadro sembra richiedere alla riflessione e prassi missionaria una ridefinizione dei propri obiettivi. Non si tratta, più, di ragionare e operare entro il contesto di società cristiana; o di aspirare ad una cristianizzazione che, per molti, sembra proselitismo. È necessario piuttosto puntare a promuovere processi di liberazione/salvezza secondo i criteri del Regno, annunciati e attuati da Gesù e dalle prime comunità cristiane.
E’ su questa linea che il carisma comboniano può ritrovare la sua energia nel saper tradurre la profezia di un’umanità nuova nel condividere la vita e il destino di uomini e donne, soprattutto i più deboli ed emarginati.
La missione comboniana difatti ha nel suo DNA il coraggio di credere nel protagonismo dei poveri (Salvare l’Africa con l’Africa), la forza di creare ponti culturali capaci di arricchire la vita di ogni persona, la determinazione nell’optare per i poveri come metodo della teoria e prassi missionaria, la visione di un modo nuovo di essere cenacoli di Apostoli nella linea dell’interculturalità.
Certo, tutto questo richiede il coraggio di ripensare periodicamente lo stile di vita e di presenza.
Talvolta, alcune forme di vita pastorale, religiosa, comunitaria prendono il sopravvento sulla priorità della missione, ritenuta applicativa e non decisiva nelle scelte, negli orientamenti, nelle opzioni vitali.
Qual è dunque il criterio e l’obiettivo formativo che configura lo stile di vita della missione?
Senza dubbio, è necessario sempre di più puntare a forme di comunità apostolica, nello spirito di famiglia, che esige un’identità aperta e capace di collaborare a obiettivi condivisi e progetti comuni. Proprio in forza di un tale paradigma di missione globale, l’Istituto è invitato a rinnovare la sua struttura di servizio, ridefinendo, sì, il suo ruolo nelle Chiese locali, nelle quali mettere a servizio l’originalità del carisma, ma anche cercando nuove forme di interazione e collaborazione con altri organismi educativi, sociali e culturali che hanno a cuore la promozione e trasformazione della società e renderla più umana.

2-. Alcune priorità irrinunciabili

Se l’obiettivo della missione è annunciare la novità di Gesù Cristo e umanizzare secondo i valori del Regno, ne consegue la priorità di alcuni criteri che, sulla scia di Redemptoris Missio, 37, costituiscono i nuovi ambiti della missione (cf. Comboniani. Missione Europa in Dossier Nigrizia 10/2007).

  • a) Il criterio religioso. E’ decisivo aiutare le persone a cogliere il senso trascendente nella storia, la vicinanza di Dio che invita ogni uomo e donna ad una storia di libertà, di giustizia, di salvezza. Dinanzi alla tentazione di progettare una religiosità privata e intimista, è opportuno educare allo stile di una fede che mette al centro il progetto di liberazione. La stessa spiritualità deve diventare critica contro ogni falso spiritualismo e l’idolatria del profitto. Si comprende, pertanto, l’importanza di essere uomini e donne del dialogo interreligioso ed ecumenico.
  • b) Il contesto sociale. L’annuncio missionario deve contribuire alla scoperta dell’altro, dei suoi talenti da valorizzare, senza il quale non è possibile un’esperienza autentica di crescita e collaborazione. In questa logica è opportuno ribadire una sensibilità già presente nella prassi missionaria in atto: l’attenzione ai poveri, alle minoranze (il pianeta immigrati, il pianeta donne, il mondo giovanile, ecc…), alle persone che vivono nella concretezza di bisogni e di ascolto.
  • c) La dimensione culturale. Non si può essere ingenui: c’è un mondo culturale, scientifico, dei mass-media che ha una presenza e influenza rilevante nella percezione e interpretazione del reale, per il fatto che agisce sui dinamismi di identificazione. A torto o a ragione, è da questi canali che passano modelli di comportamento e valori etici che, di fatto, condizionano l’organizzazione concreta dell’esistenza. Interagire con questi nuovi mondi che fanno opinione, vuol dire provare ad individuare nuove strategie e compiti (ministeri) che modificano una certa idea e prassi di animazione missionaria.

    3-. Ricomprendere il linguaggio missionario

    Non meraviglia, dunque, l’urgenza di cambiare il linguaggio, a partire dalla stessa formula che usiamo di frequente: ‘andare in missione’.
    Se la missione è la “ratio” di ogni missionario, la missione è ovunque il missionario si inserisce per il suo servizio, indipendentemente dal luogo geografico (AC 2003, 41).
    Nella tradizione comboniana, ma anche in altri Istituti missionari e di vita consacrata, sono in uso alcune espressioni che vanno ripensate, in relazione al paradigma di missione globale; difatti il linguaggio riflette l’esperienza, ma, al tempo stesso, indica le prospettive entro cui incamminarsi.
    La missione non può essere l’applicazione di modelli, formule, strategie collaudate nel passato, ma è annuncio di novità, profezia che chiede di osare l’inaudito.

    In tal senso, l’orizzonte di significato dell’espressione AD GENTES oggi si è arricchito. Non è più pensabile in rapporto a coloro che vivono senza Dio o pagani, lontani, “selvaggi”, come venivano identificati nelle varie epoche passate (R. Schreiter, dossier Nigrizia Ottobre 2008, 58-65), né classificabile secondo un senso geografico.
    La diversità culturale e religiosa è una realtà da accogliere positivamente, il che significa rispettare, ascoltare, imparare da uomini e donne che non appartengono alla realtà cristiana ed ecclesiale. La missione è, quindi, aperta e diretta a tutti, ad ogni uomo e donna, senza pretendere di imporre un modello o un’ideologia. Per questo, la testimonianza della novità bella e sconvolgente del Vangelo non si limita ad alcuna zona geografica, ma si dirige là dove le comunità apostoliche sono presenti.
    Questo esige una pastorale di trasformazione e non di conservazione, un rispondere alle situazioni missionarie in ogni continente con un inserimento che non sia di supplenza temporanea. Anche nel continente europeo, per esempio, è urgente, necessario e improrogabile ridefinire il concetto di animazione missionaria. Le chiese dell’Europa più che il racconto del vissuto in altri contesti sociali e culturali chiedono ai missionari di aiutarle e stimolarle a promuovere una pastorale missionaria sul territorio in quelle situazioni dove il progetto di Dio è poco visibile; dove impera lo sfruttamento, il disprezzo e l’oppressine dei poveri, attraverso una presenza missionaria di inserimento

    Ne consegue che l’espressione missione AD EXTRA va intesa come un movimento che colma la distanza tra me e l’altro, come relazione che sa mettere al centro la gratuità, la solidarietà per l’altro. Questa scelta dice anche un modo di essere comunità. Le comunità comboniane nel mondo non devono essere preoccupate di stabilire confini culturali, codici etici di accesso, proprietà private nell’esercizio dell’evangelizzazione. Al contrario, l’uscire da sé, sia a livello individuale sia comunitario, mentre traduce il valore dell’essere-famiglia, produce la capacità di lavorare in rete (rete ecclesiale, culturale, educativa, di progetti economici…), assieme ad altri agenti della missione.
    Queste scelte e questo orientamento lungi dall’impoverire e svuotare la specificità e l’originalità del carisma gli darebbe nova linfa in un orizzonte di missione più ampio rispetto alla logica dell’amministrare cose sacre, per essere attenti a creare condizioni di giustizia, pace, rispetto dei diritti di tutti.

    All’interno di questa nuova prospettiva del carisma, rimane determinante e va riaffermata l’opzione per i poveri (AD PAUPERES). Innanzitutto, nella scelta di uno stile di vita più sobrio, attento alle reali esigenze delle persone, attraverso una solidarietà-con e non solo per l’altro.

    Appare evidente la necessità di un discernimento su chi siano i poveri nei differenti contesti in cui è presente la comunità apostolica, per il fatto che ciò implica il camminare assieme nel processo di liberazione, attuando progetti condivisi. Al tempo stesso, però, l’opzione per i poveri implica anche una scelta di profezia critica nei riguardi delle strutture e delle situazioni che determinano e/o impediscono un abbattimento dell’ingiustizia, della fame, della povertà. Ne consegue l’esigenza di prepararsi a questa forma ministeriale come espressione dell’evoluzione del carisma, accompagnando la formazione di persone, gruppi, strutture, in grado di operare a livello culturale, economico, politico, parrocchiale, su questioni che richiedono preparazione e competenza.

    In tale quadro, assume un valore nuovo la dimensione AD VITAM. Sarebbe superfluo pensarla solo nell’ottica di una scelta definitiva, pur nella provvisorietà degli impegni e dei servizi. Si vuole evidenziare come l’ ad vitam sia una missione attenta alla vita con le sue domande, dubbi, speranze, in cui testimoniare la passione per il mondo e per i volti concreti che si incontrano.
    Con l’attenzione che deriva dal proprio carisma: quella di esser presenti sulle frontiere, là dove è necessario il dialogo, la presenza che privilegia l’attenzione alla giustizia e alla pace, l’incontro con altre tradizioni religiose, etiche, culturali. Dentro questo spazio, la comunità apostolica nelle diverse forme di servizio territoriale, dovrà valorizzare tutte le risorse per contribuire alla crescita della dignità delle persone e delle comunità, in vista di quei valori del Regno che rappresentano il paradigma di riferimento.
    E questo sulle orme del Comboni che cercò di superare un’idea di missione su modelli d’interessi partitari, in vista di una promozione umana attenta agli effetti sociali e culturali.

    Dotolo-Zolli
Dotolo-Zolli