P. Mattia è conosciuto come il missionario dal cuore grande per la sua disponibilità a dare via tutto, ma potrebbe anche essere definito il missionario dei poveri per la sua predilezione per gli ultimi o “quello del crocifisso” perché si spostava nei suoi continui safari portandosi dietro un crocifisso di notevoli dimensioni che issava su una pianta o su un rialzo e poi cominciava la sua catechesi predicando Gesù Cristo e Cristo crocifisso, figlio di Dio, redentore, quindi fonte di salvezza e modello da imitare. “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Vorrei che le comunità alle quali sono inviato vivessero in grazia di Dio”, soleva dire.
P. Mattia è nato a Deliceto, Foggia. A farlo decidere per i Comboniani, fu l’incontro col Servo di Dio p. Bernardo Sartori, un missionario che batteva i paesi della zona nell’intento di riempire il seminario di Troia.
Venne ordinato sacerdote il 19 maggio 1951 e poi fu destinato all’Uganda.
Si fece subito conoscere come il missionario “dal cuore grande”. Dicono i confratelli che, a vivere con lui, si rischiava di patire la fame perché dava via tutto, e non solo il cibo ma anche i vestiti e le cose della missione. Viveva povero come un San Francesco e perdonava sempre, perdonava tutti, anzi scusava chi sbagliava.
Partiva in bicicletta o con la moto e stava lontano dalla missione per settimane e settimane visitando i villaggi, entrando nelle capanne, confortando i malati e gli anziani, catechizzando grandi e piccini, parlando con la gente ed esibendo il Crocifisso che portava sempre con sé.
Uomo dell’amicizia
Negli ultimi anni della sua presenza a Patongo p. Mattia si dedicò ai profughi sudanesi che abbandonavano il Sudan per sfuggire alle vessazioni dei musulmani. Ce n’erano 18.000 nell’ambito della missione. Quando questa povera gente doveva lasciare il proprio villaggio e mettersi in fuga, si era sicuri che, in testa, c’era p. Mattia che incoraggiava e sosteneva chi era stanco. Le marce si prolungavano per settimane e mesi fino a raggiungere l’Uganda, il Congo, la Repubblica Centrafricana…
Dalle numerose lettere scritte in questo periodo si vede quanto il nostro Padre si sia dato da fare per trovare aiuti e mezzi per questi poveri.
Un altro campo di azione della vita missionaria di p. Mattia fu il suo impegno per la giustizia e la pace, cose che gli sono costate più volte l’espulsione dalla missione, con seguito di umiliazioni e di sofferenze.
Nella missione di p. Mattia c’era una suora che era cugina del presidente d’Uganda Milton Obote. Il missionario, invitò la suora a parlare col potente cugino in favore dei profughi sudanesi. La suora si sentì dire un bel no e p. Mattia, che le aveva suggerito l’idea, venne espulso dall’Uganda insieme a dieci confratelli. Prima di allontanarsi dalla sua missione, p. Mattia disse al Presidente: “Io sarò sempre prete, ma tu non sarai sempre presidente”. Parole profetiche, infatti nel 1971 Obote venne spodestato da Idi Amin Dada.
Trascorse in Italia 12 anni tra Napoli, Messina e Troia. Una sera capitò nella seconda casa che i Comboniani avevano a Napoli a bordo della sua R 4 sgangherata e piena di ammaccature. Era contento ed esuberante come sempre: “Mi hanno regalato alcune casse di polli e di uova. Ho pensato di portarne un po’ anche a voi”. Così dicendo aprì il portellone posteriore, ma non c’erano più né polli ne uova. Allargò le braccia e commentò: “Qualcuno ne aveva più bisogno di noi. La Provvidenza provvederà”.
Nella missione più povera del mondo
Nel 1980 fu destinato a Rejaf, una missione del Sudan meridionale. Qui gli fu affidato un compito delicato: formatore dei chierici della giovane congregazione africana chiamata “Gli Apostoli di Gesù”. P. Mattia eresse il seminario di questa congregazione. Le cose andavano troppo bene per continuare. Ed ecco che, nel 1986, arrivò l’esercito dei guerriglieri che si opponevano all’esercito regolare sudanese, e tutti furono costretti a fuggire.
Il Padre, in testa alla sua gente, si mise ancora una volta in cammino verso Juba, la capitale del Sudan meridionale. E p. Mattia fu un’altra volta espulso. Cacciato dalla porta, trovò il modo di entrare dalla finestra e andò nel “New Sudan” quella zona, cioè, in mano ai guerriglieri che ora accoglievano volentieri i missionari. P. Mattia doveva cominciare ancora tutto daccapo nella missione di Marial Lou, tra i denka,
“Sono felice di essere in questa terra a far conoscere Gesù Cristo che, al 95 per cento della popolazione, è sconosciuto. In più sono martoriati dalla guerra, dalle malattie, perché medicine non se ne trovano, e dalla fame. Già ne sono morti un milione e mezzo, e ora ce ne sono altri quattro milioni in pericolo”.
Questo genere di vita, fatto di continui cambiamenti, di dover cominciare sempre daccapo, in posti disagiati al massimo e nella solitudine più assoluta ebbe i suoi effetti deleteri. Nell’immaginetta del 50° di messa c’era una bella foto che lo ritraeva sorridente, e la scritta presa da Teresa di Calcutta: “Noi possiamo dare ai poveri tutto quello che abbiamo, anche la nostra vita, ma se non diamo loro il nostro sorriso, non diamo niente”. E sepolto nel piccolo cimitero della missione di Lomin (Sudan) dove è morto il 3 agosto 2001.
(P. Lorenzo Gaiga)