Nato a san Michele Extra, Verona, il 28 marzo 1900, p. Gaetano Briani è stato eletto superiore generale nel IX capitolo della Congregazione che si è svolto nel 1959. Veronese schietto, ha amato la vita, gli incontri con la gente e i confratelli, un buon pranzetto e un bicchiere di vino buono e la battuta allegra.
Accolto ragazzino da don Calabria, a 12 anni è passato nel seminario comboniano di Brescia. Ordinato sacerdote a Verona nel 1925, è stato inviato come vicerettore nei seminari di Brescia e di Sulmona, dimostrandosi un abile educatore.
Nel 1953 è partito per il Sudan. Per le sue doti è stato superiore di missione e poi p. provinciale. Uomo di buon senso e di grande equilibrio umano, è stato un pacificatore esemplare. Nelle difficoltà e nelle contraddizioni, non si è mai tirato indietro, ma affrontava le situazioni più scabrose e le risolveva. Quando sapeva che in qualche comunità le cose non andavano, lasciava la sua residenza di padre provinciale e si trasferiva con i confratelli condividendo vita e difficoltà. Quando tornava, diceva al suo assistente: “Chi ha detto che in quella comunità non vanno d’accordo! Sono un cuor solo e un’anima sola”. Non solo, ma voleva che i confratelli si trattassero bene, specie quanto al cibo e non voleva che si sottoponessero a strapazzi superiore alle loro forze: “I confratelli – diceva – sono la ricchezza più grande della Congregazione”.
Tra grandi sofferenze
Il suo mandato è stato funestato da grosse sofferenze che lo hanno fatto soffrire: l’espulsione dei missionari dal Sudan meridionale nel 1964 (e lui era con loro in quel periodo), l’uccisione dei quattro confratelli in Congo nella rivolta dei Simba e poi l’inizio della contestazione che è sfociata, nel 1969, con la crisi delle vocazioni e la defezione di tanti. Come Generale è stato presente al Concilio Vaticano II e non ha mancato di portare l’apporto della sua esperienza missionaria.
Ha visitato più volte i missionari sia in Africa come in America facendo radicali riforme soprattutto in vista di una loro esistenza meno disagiata. È stato davvero un padre nel vero senso della parola. Anche la sua iniziale durezza, con il passare del tempo si è trasformata in dolcezza e compressione. Ha voluto incrementare lo Studium combonianum e l’Archivio comboniano per accrescere la conoscenza di Comboni; ha iniziato e portato a termina la costruzione della casa generalizia di Roma, ha cercato di mettere superiori che conservassero il buono spirito della congregazione: “Col metodo antico abbiamo avuto fior di missionari; con queste nuove idee non so dove andremo a finire”.
Sotto di lui i Comboniani sono andati in Burundi, in Togo, in Ciad e in Congo, e sono state aperte le case di Lecce e di Gordola in Svizzera. Estremamente sincero e onesto, non era un testardo, anzi sapeva rivedere le sue posizioni. Ha spettato il Capitolo del 1969 come una liberazione: “Non un giorno di più”, diceva. Quando ha lasciato il suo incarico, ha bruciato tante lettere che potevano compromettere dei confratelli: “Li voglio lasciare tutti puliti”, ha detto ai suoi assistenti che non erano d’accordo su quell’operazione.
Fino all’ultimo
Colpito da paresi a una gamba e tormentato per quasi 10 anni da un tumore alla prostata, non ha perso mai il suo buon umore. “La nostra vita è nelle mani di Dio – soleva dire – perciò non vale la pena affannarsi tanto”. Era stato confessore a San Tomio e si era fatto una grande schiera di amici che andavano a trovarlo in Casa madre. È stato anche confessore nella casa di esercizi di San Fidenzio dove si recava volentieri benché facesse fatica a muoversi. Così pure presso la caserma di Montorio in occasione delle feste di Pasqua e Natale. Uomo estremamente comprensivo, ha detto al confratello che andava con lui per quel ministero: “Con i soldati il Padre eterno deve chiudere tutti e due gli occhi, e anche il confessore”. Ormai immobilizzato in Casa madre, continuava a ricevere visite per le confessioni e la direzione spirituale. Una volta il portinaio gli ha detto: “Vuole che quando telefonano per sentire se è disponibile, dica che non si sente bene?”. “E no, finché si può fare un po’ di bene, non bisogna tirarsi indietro”, ha risposto. Anche se la deambulazione era difficoltosa, non mancava mai agli atti comuni con la comunità. Spirò il 25 marzo 1984 dopo le parole di congedo del celebrante che gli celebrava la messa.
(P. Lorenzo Gaiga)