Padre Antonio Vignato è il missionario della ripresa missionaria in Sudan meridionale e in Uganda. Lo troviamo la prima volta sulla tolda del Redemptor nel 1904, mentre naviga verso Sud in compagnia di mons. Geyer e di altri missionari. Aveva 26 anni essendo nato a Gambellara, Vicenza, nel 1878.
Figlio di un facoltoso contadino e penultimo di 9 figli, tra i quali ci furono tre sacerdoti e tre suore, ebbe un'infanzia scapestrata. A 10 anni era ancora in seconda elementare; era impulsivo e collerico, ma anche tanto sensibile. La sua preoccupazione, andando a scuola, era quella di riempirsi le tasche di pane per darlo ai compagni poveri. Ad un certo punto, come il figlio prodigo, chiese al padre la sua parte perché voleva andarsene da casa. Il padre, a differenza di quello del Vangelo, prese lo scudiscio che usava per i buoi, e gli diede una “sostanziosa passata”, commentando: “Questa è la tua parte”. Poi lo chiuse in collegio.
Qui Antonio, per far dispetto al padre che lo aveva pronosticato contadino, comincia a studiare diventando uno dei primi della classe, riuscendo a ricuperare il tempo perduto.
Una visita di mons. Roveggio nel 1895 al Collegio, lo convince a dedicarsi all'Africa. È una passione travolgente. In famiglia scoppia la bufera, ma con un tipo come Antonio, il papà e tutto il parentado devono chinare la testa e lasciarlo andare. A 18 anni entra nell'Istituto comboniano di Verona. Per evitare il servizio militare, si fa volontario della Sanità a Castel San Pietro, vicino alla Casa madre dei Comboniani. Là impara l'arte di infermiere che in Africa gli attirerà non poche simpatie. Nel 1902 è ordinato sacerdote. Ha 24 anni. Parte immediatamente per l'Egitto e viene assegnato alla Gezira ad assistere gli ex schiavi. Sotto la direzione di due medici si perfeziona nell'assistenza sanitaria.
Imbarcatisi a Khartoum quando la stagione secca è ormai avanti, giungono a Mesra mentre il livello del fiume troppo basso per la navigazione. Allora sbarcano i missionari e anche i 21 asini trasportati in un barcone a rimorchio del battello. “Avevamo in testa tanta teologia, ma nessuno ci aveva insegnato a far marciare quegli asini caparbi e senza bardature”, scrive. Vignato percorse a piedi, attraverso la foresta, i 180 chilometri che lo separavano da Wau per avvertire il medico che fr. Alessandro era malato e aveva bisogno di lui.
Giunto a destinazione, venne assegnato con p. Bertola alla missione di Kayango. Cominciarono a costruire le prime capanne di paglia e fango. Nella regione c'erano ancora focolai di ribellione contro gli inglesi. Inoltre il capo del villaggio, per stancare i missionari, organizzava balli notturni con rullo di tamburi, che si protraevano fino al giorno dopo. Quando la gente era stanca, era lo stesso capo che saliva su un ramo e gridava in continuazione in modo che i missionari non potessero prendere sonno e se ne andassero. “Se non fossi un missionario - disse un giorno Vignato imbracciando il fucile - lo tirerei giù come un merlo”. Poi ci fu la siccità, la carestia, la fame e la morìa del bestiame. I missionari si ridussero a tirare i carretti a mano con il materiale da costruzione. Il capo attribuiva quelle disgrazie ai missionari che predicavano una religione diversa da quella dei loro antenati.
Il 13 giugno di quel 1904 un bambino di nome Morgian si presenta alla capanna del missionario. Questi gli mostra un sillabario italiano e gli indica le lettere dell'alfabeto. Il giorno dopo, Morgian torna e ripete l'alfabeto a memoria. Vignato scrive: “Quel giorno ebbe inizio la nostra scuola, la prima del Sudan, con un solo alunno”. In dicembre iniziò anche il catecumenato con una decina di ragazzi e un adulto. Dopo Kaiango fu la volta di Mbili e di Wau, anche queste missioni erano in zona infestata da zanzare e da malaria. Vignato tenne duro per sette anni in quella situazione disperata. Intanto sorgevano le prime case della missione e la chiesa, i ragazzi frequentavano il catechismo e perfino il fratello del perfido capo Kayango, prima di morire, chiese il battesimo.
Poi ci fu una discussione col suo vescovo, mons. Geyer. Questi era dell'opinione che, prima di far cristiani i Neri, bisognava farli uomini civili. Vignato diceva che l'africano diventa civile facendosi cristiano. La questione finì davanti alla Santa Sede che diede ragione a Vignato.
Intanto cominciarono a morire i missionari: una decina in pochi mesi. P. Colombaroli, superiore generale, voleva chiudere quelle missioni. A p. Vignato va il merito di aver insistito, sicuro - come Comboni - che Dio voleva la salvezza degli africani. Così sorsero le chiese, i seminari, gli ospedali, le scuole, le officine, le falegnamerie, la tipografia … I Neri impararono a lavorare la terra in modo razionale, divennero artigiani e, soprattutto, buoni cristiani. La missione, dunque, era destinata a continuare. Il capo Kayango ad un certo punto ordinò alla sua gente: “La nostra vecchia religione è finita; ora tutti devono andare in chiesa alla domenica perché la religione vera è quella portata dai missionari”.
Prefetto Apostolico e superiore generale
Nel 1911 troviamo p. Vignato in Uganda dove, un anno prima, era stata aperta le prima missione di Gulu. Intuisce l'importanza dei catechisti per evangelizzare la gente, e ne fa arrivare 32 chiedendoli in prestito ai Padri Bianchi che da anni si trovano al Sud d'Uganda.
Un giorno, trovandosi in piena foresta con due leoni che gli sbarrano il sentiero e gli ruggiscono in faccia, p. Vignato si mette a ruggire più forte di loro. Dopo sette ore di quella musica, riesce a stancarli e può proseguire il cammino. Quando il Governatore inglese gli nega il permesso di aprire una missione, egli percorre in bicicletta 150 chilometri per raggiungerlo, entra trafelato e sudato nel suo ufficio e gli dice. “Di qui non mi muovo finché non avrò il permesso”. Come negarglielo?
La Chiesa del nord Uganda intanto si sviluppava e le missioni si moltiplicavano. Nel 1923 venne eretta la Prefettura apostolica del Nilo Equatoriale e p. Vignato fu nominato primo Prefetto Apostolico. Iniziò, così, il periodo più glorioso, ma anche più doloroso della sua vita. periodo glorioso per l'aumento costante delle missioni e del numero di cristiani, per l'attività scolastica, il seminario per africani e le migliorate condizioni economiche… ma anche periodo doloroso per le incomprensioni che incontrò nelle autorità inglesi e in qualche confratello che non sopportava il suo carattere schietto, e per la salute. Ben 18 volte andò in fin di vita causa la malaria. Quando, nel 1934, si trattò di eleggere un vescovo per quel Vicariato, gli fu preferito p. Angelo Negri. Ma la Provvidenza aveva in serbo qualcosa di importante per p. Vignato. Infatti, nel VI Capitolo generale della Congregazione del 1937, venne eletto Superiore Generale. E fu un grandissime Generale che diede uno sviluppo determinante alla Congregazione. Infatti mandò i missionari in Inghilterra, in Mozambico e in Eritrea, aprì le case di Firenze, di Napoli, di Pesaro, di Como, di Bologna.
Ma p. Vignato è stato un campione della metodologia missionaria attingendo dall'esperienza sua, dei missionari del proprio Istituto e di altri istituti che operavano in Africa. Preparò i libri liturgici per l'Africa e indicò, in un Vademecum, le linee metodologiche per entrare in contatto con la gente allo scopo di suscitare simpatia e interesse per la fede. Insistette sull'importanza dello studio della lingua dei diversi popoli, sulla comprensione delle culture locali, sull'attenzione alle persone. Diede indicazioni chiare affinché i cristiani potessero vivere la loro fede e la loro morale in un mondo pagano, insegnò come seguire le comunità cristiane con poco personale. Da ciò l'istituzione delle visite ai villaggi. Promosse nel mondo africano il ministero sacerdotale, la vita religiosa maschile e femminile, diede grande importanza alla formazione dei catechisti. Ormai anziano e pieno di acciacchi, si ritirò a Verona e scrisse una documentata storia delle missioni comboniane, che costituisce ancor oggi la base di partenza per ogni studio sulle medesime. Amò appassionatamente Gesù Cristo, la Chiesa, il Papa e le anime. È stato un comboniano tra i più rappresentativi dello spirito dell'Istituto. Si è spento a Verona il 14 aprile 1954.
(P. Lorenzo Gaiga)