Celebrazione nella cattedrale di Brescia
Omelia di Mons. Giulio Sanguinetti

Celebrazione nella cattedrale di Brescia

San Daniele Comboni è stato ricordato a Brescia con una celebrazione eucaristica in cattedrale presieduta dal vescovo locale Mons. Giulio Sanguinetti, alla quale erano presenti molti Comboniani e Comboniane, sacerdoti diocesani e religiosi e religiose operanti in diocesi e numerosi fedeli.

Omelia di Mons. Giulio Sanguinetti

Il 10 ottobre 1881 Mons. Daniele Comboni moriva e la sua salma fu tumulata nel giardino della missione a Khartoum, ma durante la rivoluzione negli anni immediatamente successivi la tomba fu profanata e le ossa disperse. I pochi frammenti di ossa ora custoditi nella cappella della Casa Madre dell’Istituto Comboniano a Verona sono stati raccolti dai missionari appena hanno potuto tornare in missione.
Penso che avesse previsto anche questa sorte, non solo della sua vita ma anche dei suoi resti mortali, quando scriveva: “Mi tornerebbe assai lieve e dolce il sacrificio del mio sangue e della mia vita per cooperare affinché quest’opera (della conversione dell’Africa) sia posta ad effetto” e ancora: “Il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi”, aggiungendo: “Il giorno e la notte, il sole e la pioggia mi troveranno sempre pronto ai vostri bisogni spirituali”. È avvenuto alla lettera quanto desiderava, anche le sue ossa a disposizione dell’Africa, di giorno e di notte, al sole e alla pioggia.
Questa sorte delle sue ossa è anche un segno profetico di quanto avverrà a Khartoum nel novembre del 1997, il miracolo che ha aperto la strada alla canonizzazione di Daniele Comboni: fu una paziente di religione mussulmana ad ottenere la guarigione miracolosa per intercessione di Daniele Comboni pregato insistentemente dalle religiose comboniane.
Soprattutto i nostri fratelli Comboniani sanno che il momento maturo e culminante della sua vocazione missionaria fu l’illuminazione avuta in San Pietro il 15 settembre 1864, quando elaborò un piano per la rigenerazione dell’Africa e una nuova prassi di evangelizzazione. Lì a San Pietro avvertì impellente la responsabilità ecclesiale di “fare dell’Africa, evangelicamente abbandonata, parte integrante della Chiesa” e concepì un metodo apostolico peculiare enunciato nel motto ben noto “salvare l’Africa con l’Africa”.
L’idea centrale di questo piano era di stabilire il centro di azione apostolica là dove l’africano vive e l’europeo opera. Ma la forza portante del Piano è la certezza della vocazione, verificata nella preghiera e nella direzione spirituale, cioè che Dio lo chiama alla missione in Africa.
Questa certezza lo sosterrà sempre, anche nei momenti più difficili della vita, quando l’opposizione di altri e il freno dei superiori sembravano consigliare una facile ritirata verso incarichi meno impegnativi. Comboni vive la sua vocazione come una consacrazione totale e definitiva a Dio e alla missione. L’Africa è la sua eredità, il dono di Dio alla sua vita. Comboni vi si lega con un rapporto sponsale donandosi senza riserve a quella che chiama “l’unica passione della mia vita”.
Per realizzare il suo piano intraprese in tempi diversi otto viaggi africani, ma ben presto si rese conto che era necessaria una base sicura, cioè un Istituto; fondò prima quello dei Missionari Comboniani e successivamente quello delle Suore Comboniane. A Khartoum venne nominato Vicario Apostolico per l’Africa Centrale e consacrato vescovo il 12 agosto 1877.
Anche per il Comboni la missione ha un prezzo, la Croce. Non solo quello di doversi adattare, con mente aperta e visioni sempre rinnovate alle esigenze del piano da lui voluto, ma il anche prezzo analogo a quello pagato dal Crocifisso. Egli ricorda l’esperienza del 1864 in San Pietro: si era sentito investito e trasportato verso l’Africa per “stringere fra le braccia e dare il bacio di pace e di amore ad una miriade di fratelli appartenenti alla stessa famiglia”.
Il primo atto del Comboni nominato Vicario Apostolico sarà di consacrare il vicariato al Cuore di Gesù. Comboni non ha dubbi su chi è il vero protagonista della missione, e lo dice: “L’opera di evangelizzazione dell’Africa riuscirà non perché noi missionari siamo decisi a vincere o a morire, ma perché l’abbiamo affidata al Cuore di Gesù, che deve incendiare l’Africa e riempirla tutta del suo fuoco divino”. Il compito dei missionari è di collaborare. Comboni a Khartoum, durante la pestilenza, fa da “vescovo, sacerdote, infermiere, medico e becchino...”.
Daniele Comboni ha consacrato alla Madre di Dio tutta l’Africa, alla Madonna che ha chiamato “Regina della Nigrizia”, alla Madonna a cui ha chiesto di “Inviare nuovi apostoli a quelle remote contrade tanto infelici e bisognose”.
È la preghiera che rivolgiamo anche noi: vescovo, presbiteri, religiosi, particolarmente i figli del Comboni, e fedeli al nostro nuovo santo, figlio della nostra terra, che ha dato una dimensione nuova alla terra di Brescia: l’ha aperta al mondo dell’Africa perché quell’umanità trovi la salvezza umana: quella della libertà, dello sviluppo, del rispetto fra etnie, della pace, e quella globale: della conoscenza di Dio Padre e Salvatore e del suo Figlio Gesù Redentore.
Comboni è il nostro maestro: fu un grande cuore, si batté per l’abolizione della schiavitù e per dare dignità agli Africani come uomini ma anche come figli di Dio. Per l’Africa avrebbe dato anche la vita. Diceva: “O Nigrizia o morte” e aggiungeva: “L’Africa e i poveri neri si sono impadroniti del mio cuore... se avessi mille vite le darei tutte per l’Africa”.
Il suo ultimo atto di fede lo ha pronunciato in punto di morte: “Io muoio ma la mia opera non morirà”. La sua opera e il suo carisma continuano nella vita delle migliaia di Missionari e Missionarie Comboniane che lavorano in oltre 40 Nazioni dell’Africa, dell’America Latina e anche dell’Asia, nei territori dove ci sono i più poveri e i più abbandonati.
Nella Chiesa di Brescia siamo grati ai Missionari e Missionarie Comboniane per la testimonianza che offrono, per la sensibilizzazione missionaria che diffondono, per l’esempio evangelico.
Noi vogliamo raccogliere il loro messaggio: soprattutto i giovani comprendano che vale la pena di sacrificare qualcosa, anche la vita, per la fraternità umana, per quelli che soffrono di più, i più poveri e abbandonati e per far conoscere loro l’unico salvatore del mondo, Gesù Cristo. Tutti sentiamoci chiamati a costruire una umanità nuova.
Soprattutto per l’Africa occorre oggi attualizzare il forte e acuto carisma del Comboni, oggi quando i media spesso la ignorano perché le piaghe dell’Africa si sono cronicizzate e sembrano incurabili. Comboni sognava per l’Africa quanto oggi dovrebbe succedere per opera dei Comboniani ma non solo mediante loro. Comboni insegna a non lasciarci vincere né dalla paura né dal pessimismo: l’Africa che voleva il Santo Comboni era l’Africa dove risplendeva il volto di Cristo. Il volto di Cristo non ha cessato di illuminare. Illuminerà tutta l’Africa, ma soprattutto il Sudan, dove il Santo Comboni ha seminato le sue ossa: vi fiorirà la pace, quella pace che domenica abbiamo invocato ed atteso quando insieme in Piazza San Pietro col Papa abbiamo cantato nel versetto del salmo responsoriale: “Tutti i popoli vedranno la salvezza del Signore”.
11 ottobre 2003