(Articolo pubblicato sull'Osservatore Romano)
Quando Daniele Comboni (1831-1881) fondava a Verona il suo istituto missionario, il 1 giugno 1867, lo sognava come un "piccolo e umile cenacolo di apostoli per la Nigrizia, punto luminoso che manda fino al centro della Nigrizia altrettanti raggi quanti sono i zelanti e virtuosi missionari che escono dal suo seno" (Regole del 1871). Di fatto, gli inizi erano davvero umili: poche le persone e ridotti i mezzi materiali a disposizione. Le difficoltà da superare, invece, erano molte. Il contrasto tra la grandezza dell’impresa evangelica che Daniele Comboni si proponeva - la rigenerazione dell’Africa Centrale - e le risorse umane disponibili era evidente per lui e per tutti coloro che cercava di interessare alla sua impresa. Ma la fede nella Divina Provvidenza e la fiducia negli africani e nei suoi missionari non gli mancavano.
Nel segno della Croce
Di fede in Dio e di fiducia negli africani avevano presto bisogno i due istituti a cui Daniele Comboni aveva dato vita: i Missionari Comboniani e le Pie Madri della Nigrizia (Missionarie Comboniane, fondate il 1 gennaio 1872). La morte prematura del fondatore (10 ottobre 1881) li lasciava subito orfani di padre, ma non di una causa per cui lottare. Sul letto di morte di Comboni, i suoi figli e figlie hanno fatto loro il suo giuramento di fedeltà "O Africa o morte!"
Le croci dell’evangelizzazione dell’Africa Centrale non si sono fatte aspettare. Subito dopo la morte di Comboni la bufera della rivolta islamica mahdista (1882-1898) distrusse le iniziative missionarie in Sudan e la sede della missione a Khartoum. Alcuni missionari e missionarie del Comboni furono fatti prigionieri del Mahdi e soffrirono lunghi anni di prigionia, isolamento e privazioni.
Da questa prova, però, gli Istituti Comboniani sono rinati. Nel 1900, i figli di Comboni sono tornati a Khartoum per riprendere il cammino della missione sulle orme del fondatore. A Verona, in Italia, in Europa e in Africa, i Missionari Comboniani hanno conosciuto una stagione di crescita, secondo la profezia del fondatore: "Io muoio, ma la mia opera non morirà." Dall’Italia e dalla Germania, l’Istituto si è diffuso e radicato in altri paesi dell’Europa: Inghilterra, Spagna e Portogallo. In Africa, dall’Egitto, Sudan e Uganda, i Comboniani si sono sparsi in Sudafrica, Eritrea, Etiopia, Kenya, Mozambico, Malawi, Zambia, Congo, Centrafrica, Ciad, Togo, Ghana e Benin. Le vicende politiche e la guerra civile nel Sudan hanno segnato in modo particolare la storia dell’Istituto: l’espulsione in massa dal Sud Sudan, culminata nel 1964, ha costituito una dura prova per i figli del Comboni, ma ha anche creato le condizioni per una loro diffusione in altri paesi africani. Del resto, anche in Europa la crescita dell’Istituto non si è verificata senza tensioni, aggravate dalle vicende politiche e sociali seguite alla prima guerra mondiale: l’Istituto si è diviso (27 luglio 1923) e gli eredi di Comboni sono cresciuti in due congregazioni missionarie (i Figli del Sacro Cuore di Gesù, FSCJ, e i Missionari Figli del Sacro Cuore di Gesù, MFSC) fino alla riunificazione in un solo Istituto, i Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, MCCJ, avvenuta il 22 giugno del 1979.
Africa ed oltre
Dopo aver varcato la soglia dell’Africa che li aveva visti nascere, con una prima presenza in Perù (1938) e negli Stati Uniti (1939), i figli di Comboni hanno accolto il discernimento e l’appello di Pio XII che spingeva le forze missionarie della Chiesa verso il continente americano. Si sono quindi impegnati nella missione in America: in Messico per l’evangelizzazione della Bassa California, in Perù tra gli Indios della Sierra, in Brasile ed Ecuador fra gli Indios e gli Afroamericani. L’apertura in America Centrale (Costa Rica, Salvador, Guatemala, Nicaragua) e in Cile ha approfondito ancora di più le radici dell’Istituto Comboniano nel continente, con una presenza che ha visto sviluppare le varie dimensioni della missione, dall’evangelizzazione all’animazione missionaria e alla promozione della giustizia e della pace. L’Istituto ha arricchito le Chiese locali dell’America con la sua spinta missionaria e si è arricchito a sua volta, con una nuova generazione di giovani missionari provenienti dalle Chiese americane, che oggi servono la missione ad gentes della Chiesa in altri continenti.
Verso la fine del secolo XX, i Comboniani si sono incamminati anche verso l’Asia. Ancora una volta, accogliendo il discernimento della Redemptoris Missio, che indica l’Asia come il continente della missione nel terzo millennio, i figli di Comboni hanno dato segno di responsabilità ecclesiale e di fiducia nel futuro, mettendo a disposizione della Chiesa il dono della vocazione missionaria ad gentes, ricevuto per mediazione di Comboni. Sono così nate, a partire dal 1988, le presenze nelle Filippine, in Cina (Macao) e a Taiwan, che impegnano i Comboniani a prepararsi e lavorare sulle nuove frontiere della missione nel secolo XXI.
Sulle Frontiere
La prima frontiera della missione per Daniele Comboni era stata quella dei popoli dell’Africa Centrale, nella situazione di estrema esclusione in cui si trovavano al suo tempo: malattie, schiavitù, isolamento, povertà, sterminio per mano di musulmani fanatici. Su questa frontiera, Comboni si è spinto con una totalità di donazione e generosità senza limiti, con la chiara coscienza di una vocazione divina, capace di trascinare altri alla stessa impresa.
"Fu nel gennaio del 1849 che, studente di filosofia, nell’età di 17 anni, io giurai ai piedi del mio venerato superiore don Mazza di consacrare tutta la mia vita all’apostolato dell’Africa Centrale," racconta Comboni, affermando: "Io non ho che la vita per consacrare alla salute di quelle anime: ne vorrei avere mille per consacrarle a tale scopo" (Scritti, 2271). E conclude: "Quanto a me e ai miei colleghi di missione, voi sapete che noi con grande gioia consacriamo la nostra vita al bene di questa parte del mondo, che è ancor quasi sconosciuta e che giace in sì grande miseria, onde guadagnarla a Gesù Cristo" (Scritti, 2941).
Sulla scia del fondatore, i Comboniani si sono sempre spinti sulla frontiera africana della missione, abbracciando le difficoltà ambientali e l’instabilità sociale e politica che hanno accompagnato la vita dei o popoli del Sudan, Uganda, Etiopia, Eritrea, Congo… Questa missione tradizionale ha scoperto e si è poi aperta ad altre frontiere: le periferie di alcune città africane, l’impegno nell’educazione della gioventù, il coinvolgimento nella trasformazione sociale e politica, l’impegno per la giustizia e la pace, la presenza nei mass media. Questa attenzione alle frontiere, la capacità di farsi presenti nei luoghi d’incontro della Chiesa con la società è diventata una nota distintiva dei Comboniani e del loro modo di essere missionari, un’eredità che hanno poi portato con sé negli altri continenti in cui sono andati in missione. È la ragione per cui oggi essi si trovano sulle frontiere dell’evangelizzazione e difesa degli Afroamericani e degli Indios, degli esclusi e dei senza terra in America.
Testimonianza e Martirio
La capacità di esporsi e lavorare sulle frontiere della missione, richiede nel quotidiano la forza di perseverare e rimanere con la gente nei momenti difficili, in situazioni pesanti di guerra e tensioni sociali, anche a prezzo della propria vita. È il prezzo pagato per primo dal Comboni, vittima della sua fedeltà alla missione: "Mio Dio! Sempre croci! Queste croci pesano terribilmente sul mio cuore; ma ne accrescono la forza e il coraggio nel combattere le battaglie del Signore, perché le opere di Dio nacquero e crebbero sempre così…" scriveva pochi giorni prima di morire a Khartoum, all’età di soli 50 anni. (Scritti, 7225).
Questa capacità di martirio, di testimonianza in situazioni difficili, di parresía e coraggio per rimanere quando gli altri se ne vanno, è un dono che i Comboniani hanno ricevuto dal fondatore e che attesta anche oggi la vitalità del suo carisma. Nei conflitti che hanno devastato di recente il Congo, il Centrafrica, il nord Uganda, l’Eritrea, il Mozambico e nelle guerre che da anni segnano il cammino del Sudan, i Comboniani hanno sempre rinnovato la loro opzione di rimanere accanto alle popolazioni e alle comunità cristiane che hanno fondato. Dopo l’espulsione dal Sud Sudan nel 1964, hanno trovato il modo di ritornare tra i popoli sud sudanesi, così che oggi un’intera provincia comboniana opera nei territori controllati dai ribelli. Questa capacità di resistenza e fedeltà ha un prezzo. L’Istituto lo ha pagato con il martirio di ben 20 dei suoi membri che, dal 1940 ad oggi, sono stati vittime della violenza politica e dell’instabilità sociale, dando la loro vita per Cristo e il suo vangelo in situazioni di conflitto e guerra.
Causa Comune
Daniele Comboni ha sviluppato un forte senso di donazione ai popoli ai quali aveva consacrato la sua vita e missione: una donazione "sponsale", una comunione di destino che lo ha spinto a vivere in solidarietà e parlare di "fare causa comune" con i popoli dell’Africa centrale. "Assicuratevi che l’anima mia," diceva ai fedeli nell’omelia del suo rientro a Khartoum come provicario apostolico, "vi corrisponde un amore illimitato per tutti i tempi e per tutte le persone. Io ritorno fra voi per non mai più cessare d’essere vostro, e tutto al maggior vostro bene consacrato per sempre. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia, mi troveranno egualmente e sempre pronto ai vostri spirituali bisogni: il ricco e il povero, il sano e l’infermo, il giovane e il vecchio, il padrone e il servo avranno sempre eguale accesso al mio cuore.
Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie. Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice dei miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi." (Scritti, 3158).
I suoi figli hanno ereditato e mantenuto vivo, come segno di vitalità carismatica, questa capacità di fare causa comune con i popoli ai quali il Signore li manda come missionari. Si tratta di una sensibilità che li porta ad abbracciare la causa dei poveri e diseredati della terra, e li vede muoversi in modo creativo dalla parte degli esclusi in questa nostra società globalizzata. È una sensibilità che fa loro adottare forme di presenza e azione che talvolta destano sorpresa, tanto nella Chiesa come nella società, come le recenti polemiche sull’immigrazione in Italia. Per i Comboniani, esse sono espressione di un genuino impegno missionario sulla scia del fondatore, un impegno che certamente arricchisce oggi la missione della Chiesa.
Crescita a Sud
Sono 1015 i Missionari e 1351 le Missionarie Comboniane che dalla fondazione ad oggi hanno seguito il Comboni sulle frontiere della missione in Africa o in altri continenti ed ora godono con lui della beatitudine celeste. Fino al 1940 l’età media dei morti era di 33 anni! Attualmente i Missionari Comboniani sono 1831: 17 Vescovi, 1290 Sacerdoti, 312 Fratelli, 212 Studenti di teologia e Fratelli in formazione. In maggioranza provengono dalle Chiese del nord, e il gruppo Italiano è il più numeroso (897). Ma, significativamente, il secondo gruppo per nazionalità è costituito dai Comboniani Messicani (188). Oggi i giovani candidati vengono dalle Chiese del sud, in primo luogo dall’Africa (45% degli studenti di teologia), poi dall’America (33%) e dall’Asia (5%), mentre i candidati europei sono appena 34 (17%). I dati dei candidati in formazione, teologi e novizi, mostrano così una crescita dell’Istituto al sud: una nuova generazione di figli del Comboni sta facendo entrare nell’Istituto la ricchezza di fede, la creatività e spontaneità delle giovani Chiese del sud del mondo. L'Istituto vive così un momento di transizione storica verso un contesto pluriculturale, che è certamente una ricchezza ma comporta anche delle difficoltà e sfide, sia per quello che riguarda la "vita fraterna per la missione" vissuta nell’Istituto, come per quello che riguarda lo stile e la metodologia missionaria. I nuovi missionari provengono da Chiese locali che condividono a partire dalla propria povertà e si sentono più sensibili ad una missione di minore protagonismo, che fa leva sui mezzi semplici e sulla vicinanza alle persone, sulla condivisione dei valori e il dialogo della vita.
Le vocazioni sono un segno della vitalità dell’Istituto nelle Chiese del sud. In alcuni di quei paesi, ci sono certamente condizioni sociali e politiche veramente difficili; ma ci sono anche situazioni in cui l’Istituto ritrova e vive in pienezza la sua identità missionaria ad gentes. Esistono tante possibilità per la missione, che i Comboniani si sforzano di cogliere: l’apertura alla fede di molte persone che accolgono il kerigma e si mettono in cammino come comunità ecclesiali, come pure numerose possibilità di partecipare alla trasformazione sociale e alla rigenerazione dei più poveri ed abbandonati. A tutto ciò i Comboniani rispondono in prima persona con una loro capacità di profetismo, denuncia e proposta. Sempre nel sud del mondo, ci sono infine vocazioni, che assicurano un futuro per l’Istituto e per la Chiesa. Per contrasto, è al nord che l’Istituto incontra qualche difficoltà: le vocazioni missionarie diminuiscono, le Chiese locali si chiudono a causa delle difficoltà dell’ambiente, l’identità e il ruolo dell’Istituto tendono a diventare problematici, e richiedono immaginazione e creatività per cercare forme nuove e significative di presenza ed azione nella linea della missione universale.
Senso di Chiesa
Comboni vide il suo "Piano per la rigenerazione dell’Africa", come iniziativa delle Chiese del centro Europa, che egli cercava di animare missionariamente, un’iniziativa di Chiesa portata avanti in stretta comunione con Propaganda Fide e il Papa.
Profeticamente in anticipo sui suoi tempi, seppe radunare attorno a sé missionari di diversa origine ecclesiale, suscitando e trovando appoggi in una grande varietà di istituzioni ed ambienti, da Roma a Colonia, da Vienna a Parigi.
"L’opera dell’evangelizzazione dell’Africa Centrale," soleva dire Comboni, "deve essere cattolica, non già spagnola o francese, o tedesca o italiana."(Scritti, 944). Sull’esempio del fondatore, i Comboniani sono cresciuti con una coscienza di missione come fatto ecclesiale ed hanno sviluppato un senso di "fraternità per la missione" che va al di là della loro provenienza culturale. L’internazionalità dell’Istituto e il numero crescente di comunità costituite da membri di diversa provenienza culturale, sono testimonianza viva e significativa di una missione che, secondo il desiderio del fondatore, è veramente cattolica. Questo senso ecclesiale ha anche fatto crescere la fecondità apostolica dell’Istituto. Soprattutto nelle Chiese del sud, esso ha saputo conservare tutto il potere di convocazione proprio della vocazione missionaria e rimanere fedele ad una tradizione di grande generosità verso le Chiese locali, alle cui mani consegnano strutture e progetti già avviati, favorendo il dinamismo della missione, che esige l’autonomia e il protagonismo delle Chiese locali.
La santità come fondamento
Comboni voleva i suoi missionari "santi e capaci" (Scritti, 6655), con una santità radicata nella "carità divina che rende santi e capaci." Solo se "accesi di questa carità, di questo amore divino che partorisce l’amore del prossimo" (Scritti, 6656) considerava i suoi missionari pronti a vivere "l’agonia," il combattimento dell’ardua missione dell’Africa Centrale, che lui stesso aveva vissuto in prima persona, "preparato a tutte le prove e croci ed al caro ed indispensabile pro nihilo reputari"(Scritti, 6931).
Con la sua canonizzazione, la Chiesa ci ridona Comboni come maestro insigne di missione universale e testimone eloquente di "santità per la missione". Questo dono rende concreto e personale per noi l’invito che il Papa Giovanni Paolo II, rivolge a tutta la Chiesa: mettere la santità a fondamento della sua vita e missione (Novo Millennio Ineunte, 31).
La "santità per la missione" che vediamo in Comboni è radicata nel senso di consacrazione e ha la sua fonte, da una parte, nella contemplazione dell’amore di Cristo, simboleggiato dal suo Cuore trafitto e, dall’altra, nella contemplazione della "Nigrizia" sofferente. Questa contemplazione trova il suo punto d’incontro nella Croce, apice dell’incarnazione e della condiscendenza dell’amore divino che si fa carico della debolezza umana.
La canonizzazione di Daniele Comboni lancia ai suoi figli e figlie una sfida: attingere alle fonti della santità del fondatore e vivere gli atteggiamenti che furono suoi. È l’invito a tenere lo sguardo fisso sul Cuore trafitto, a guardare avvenimenti e cose al puro raggio della fede, e dare un abbraccio d’amore alle "nigrizie", con il cuore caldo dell’amore di Dio. Solo in questo modo essi potranno essere compagni fedeli del fondatore sulle frontiere della missione nel terzo millennio, vivendo una santità nello stile di Comboni: una santità incarnata, che cammina per le vie delle povertà e dell’esclusione umana. Una santità che accoglie l’altro, il povero e l’escluso, in un abbraccio di comunione e dialogo. Santità che è innanzitutto la passione stessa di Dio nel cuore di un uomo. La sola che può sostenere una vocazione ardua e difficile come quella missionaria.
P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj
Superiore Generale