Malo (Vicenza)
Alenga (Uganda), 4 agosto 1987

Lasciate andare gli altri
È la mattina del 4 agosto 1987. Una splendida mattina ad Alenga, nel cuore dell'Uganda, se non fosse per quel fastidioso crepitare dei fucili mitragliatori che, di tanto in tanto, si fanno sentire or qua or là, ma abbastanza lontano dalla missione.
Più che i fucili, p. Cin-Cin temeva i ladri che in periodi di anarchia la fanno da padroni. E per di più padroni senza scrupoli e senza vergogna.
Tuttavia si era messo in viaggio, con un pezzo di pane secco in tasca e un po' di formaggio rancido (diceva che era più buono di quello normale; in realtà la missione non disponeva di meglio) avvolto in un fazzoletto, e con una gran carica di entusiasmo e di... paura. Raggiunse senza incidenti la scuola di Alwala, presso il traghetto di Masindi, dove celebrò la santa messa, pregò a lungo con la gente poi, verso le 12 e 30 puntò su Kwuibale e Akòkoro, per la strada che costeggia il lago Kioga. Doveva vedere i catecumeni che si preparavano al battesimo ed avvisare la gente che la domenica seguente sarebbe andato a celebrare la santa messa. La strada era particolarmente pericolosa perché attraversava un tratto di bosco.
Ma a 5 chilometri da Kwuibale, si imbatté in un gruppo di ladri, che avevano sequestrato alcune persone, tra le quali tre ragazze. Dopo aver spogliato di tutto i malcapitati, i briganti volevano portare con sé le ragazze.
Queste ultime, però, ingaggiarono una lotta furibonda con i manigoldi. P. Cin-Cin, vedendo come si metteva la situazione, s'intromise. Non con minacce, ma con parole che volevano essere persuasive, addirittura di amicizia, di comprensione e di supplica.
Niente da fare. Per tutta risposta, i banditi lo afferrarono violentemente, gli strinsero mani e piedi con una corda e lo trascinarono ad una quarantina di metri dalla strada, tra insulti e percosse.
Egli, di tanto in tanto, ripeteva: "Colpitemi pure. Tanto sapevo che sarebbe finita così, ma lasciate andare gli altri". E poi si raccomandava a Dio.
Quando gli assassini furono stanchi di seviziarlo, lo legarono ad un albero e lo finirono con una scarica di mitra.
Il testimone che racconta queste cose è stato prigioniero degli assassini per tre giorni e poi è riuscito a fuggire. Egli assicura che il padre ha sopportato tutto con forza incredibile pregando continuamente il Signore ed offrendo il suo perdono ai carnefici.

Logorante attesa
La distanza tra la missione di Alenga e quella di Alwala, dove p. Cin-Cin aveva celebrato la messa, è di appena 30 chilometri. I confratelli si aspettavano di vederlo rientrare per mezzogiorno. Quando non lo videro arrivare, non si preoccuparono, perché altre volte il padre aveva prolungato le sue assenze di un giorno o due, per il sopravvenire di qualche circostanza imprevista.
Il giorno dopo, tuttavia, p. Mario Balzarini, suo compagno di missione, cominciò a preoccuparsi. Cin-Cin era un uomo distratto, che dimenticava facilmente le cose, ma con i tempi che correvano non poteva lasciar passare tante ore senza dare notizie di sé. Qualche cosa doveva essere successo!
Prese la sua moto e rifece lentamente tutta la strada che il padre aveva percorso, cercando di guardare bene a destra e a sinistra. Il meno che poteva succedere era di trovare la Cagiva di p. Cin-Cin rotta e lui ospite presso qualche famiglia. Chiese alla gente che incontrava se lo avessero visto. Nessuna sapeva niente. Sembrava che il padre si fosse volatilizzato. Nel suo percorso p. Mario passò vicino al corpo del confratello, ma non lo vide perché era nascosto dai cespugli.
Giunto a casa, seppe che il padre aveva detto ad un maestro che, prima di far ritorno alla missione, sarebbe andato a Kigumba (70 chilometri più ad ovest), oltre il lago, sulla via di Kampala. Tutti si misero il cuore in pace.
Solo sabato 8 agosto, dopo quattro giorni, via radio, i missionari di Alenga seppero che p. Cin-Cin non era mai arrivato a Kigumba.
L'angoscia prese tutti. La notizia della scomparsa del padre intanto era corsa sulla bocca di tutti, e nessuno sapeva dare una spiegazione. Per di più le razzie dei karimojong terrorizzavano i villaggi, per cui la gente fuggiva portandosi dietro quel poco che poteva. Mettersi in strada in quella situazione era estremamente
pericoloso.
La missione di Alenga, intanto, si andava riempiendo di profughi.

Come Cristo in croce
Martedì 11 agosto, diminuita la pressione dei razziatori, p. Francesco Rizza e p. Guido Cellana, venuto dalla missione di Aduku, insieme ad un gruppo di cristiani percorsero la strada che avrebbe dovuto fare p. Cin-Cin, cercando di scandagliare ogni cespuglio, ogni affossamento. Ormai, l'idea che il padre fosse morto era diventata comune, anche se un barlume di speranza di trovarlo vivo, forse malato o ferito, continuava a persistere, testardamente, più nel cuore che nel cervello dei missionari.
Ed ecco che nella foresta tra Alwala e Akòkoro, in un luogo completamente disabitato, trovano dei vetri. Si fermano. Con dei bastoni spostano l'erba che è alta... e vedono la moto senza fanali e senza batteria, ma anche senza segni di cadute. Frugando qua e là, trovano sparpagliati ad arte, gli oggetti contenuti nell'altarino portatile. E finalmente trovano il corpo, adagiato sul fianco con le mani legate ad un tronco e le ginocchia piegate. Al vederlo dà l'idea di una persona in profonda preghiera, o di un Cristo che pende dalla croce.
Le cosce, al di sopra delle ginocchia sono trapassate da un legaccio e il torace e la schiena portano i segni di numerosi colpi di coltello e di spari di fucile.
Alcuni presenti ricordano che domenica 2 agosto, quasi presentisse la sua ora, p. Cin-Cin aveva detto nella missione di Awuilia durante la messa: "Io non ho paura dei malfattori. Sono venuto a morire sul campo del mio lavoro".
La raccolta di quei resti fu particolarmente pietosa, anche perché il cadavere era stato lacerato da qualche animale del bosco.
Giunti in missione, i cristiani vollero che le ultime parole, quelle appena riportate, fossero scritte su di un cartellone e rimanessero bene esposte in chiesa.
"Io dico - afferma p. Mario Balzarini - che quello di p. Egidio Ferracin è un vero martirio in piena regola, proprio come per i cristiani della Chiesa primitiva. Gli assassini non hanno preso niente di importante, salvo un paio di fanalini e la batteria. Essi hanno voluto sacrificare una vittima innocente solo perché si opponeva ad una loro palese ingiustizia nei confronti di tre ragazze che rifiutavano di essere violentate.
Dobbiamo pregare p. Egidio, il nostro simpatico Cin-Cin? lo credo che ora è lui che sta pregando per noi e per questa povera Uganda tribolata".

Istinto di missione
Il 13 aprile 1937 Egidio venne al mondo a Malo in provincia di Vicenza, quarto di otto figli (quattro maschi e quattro femmine). Papà Giuseppe faceva il casaro, un mestiere che spesso lo portava lontano dalla famiglia in quanto serviva anche alcune contrade sparse nel circondario. Mamma Carolina Bille era casalinga. Con le sue mani operose, faceva di tutto per mandare avanti la famiglia.
Il denominatore comune di casa Ferracin, come in quasi tutte le case del paese, era la fede vissuta mediante la preghiera quotidiana e la pratica dei Sacramenti. Alla tavola di mamma Carolina c'era sempre posto anche per qualche povero di passaggio.
Egidio si dimostrò subito un ragazzino vivace, intelligente e sempre disponibile a combinarne qualcuna delle sue. Già da 16 anni nella vicina Thiene era stato fondato un seminario per preparare ragazzi e giovani desiderosi di darsi alla vita missionaria.
I missionari della casa di Thiene andavano, di tanto in tanto, anche a Malo e, com'è logico, parlavano di Africa e di moretti da battezzare.
Egidio ascoltava quei discorsi e già si immaginava di essere laggiù tra fiumi e foreste, tra deserti e paludi a predicare e a battezzare. E lo diceva chiaramente ai suoi compagni senza paura di essere chiamato "missionario".
L'amicizia con i missionari continuò anche quando la famiglia Ferracin si trasferì da Malo a Marano Vicentino. Questo paese è molto più vicino a Thiene rispetto al precedente, per cui Egidio poté anche visitare il seminario in compagnia della mamma e del papà. E si convinceva che la sua futura strada sarebbe stata quella che finiva nel Continente Nero.
E finalmente fu accolto nel seminario missionario di Padova per frequentare la quinta elementare. Aveva appena 10 anni.

Pane amaro
Lo studio non si addiceva ad un ragazzo vivace come lui. Le ore di scuola non passavano mai. Scrisse il suo assistente: "I libri stanno dinanzi ai suoi occhi come spettri paurosi e ciò gli ha tolto molto del suo entusiasmo. Tuttavia vuole diventare sacerdote missionario. Il tempo schiarirà ogni nostro dubbio" (p. Antonio Barbieri).
In un alternarsi di entusiasmo e di sofferenza (per gli studi sempre più impegnativi) Egidio andava avanti. Ogni anno, a giugno, riportava la promozione anche se risicata, specie in italiano e matematica.
"A scuola è sufficiente - scriveva il superiore - ed è anche discretamente impegnato. Temperamento gioviale, anzi piuttosto inclinato alla leggerezza e allo scherzo. Bisogna tenerlo d'occhio. In compenso è molto generoso e di grande spirito di sacrificio. Dice qualche parola volgare. Speriamo bene!". Con questa nota Egidio terminò la terza media e si accingeva a passare a Brescia dove i Comboniani avevano (ed hanno) il seminario per la quarta e quinta ginnasio.
Già fin dall'inizio il cammino verso il sacerdozio per Egidio fu pane perché lo nutrì sostanziosamente, ma fu pane amaro perché gli costò molte sofferenze. Quante volte durante gli anni giovanili ripensò alle parole che, prima di lasciare la famiglia, aveva firmato. Esse dicevano: "Sento un vivo desiderio di consacrarmi al Signore per la conversione dei poveri infedeli. Chiedo di mia spontanea volontà di essere accettato nel seminario dei missionari comboniani per prepararmi con la pietà e con lo studio a diventare sacerdote missionario" (25 ottobre 1948).
Tutti pensavano che quella firma ancora traballante fosse stata una pura formalità; per Egidio invece aveva costituito un impegno con Dio e con se stesso al quale doveva restare fedele a costo di qualsiasi sacrificio. In quella promessa trovò la forza per superare i momenti di scoraggiamento.

Dio preferisce gli ultimi
Alla fine del ginnasio, Egidio era più che mai deciso a diventare missionario, anche se i superiori continuavano a nutrire su di lui qualche perplessità.
Preceduto da una strana "cartella" che riassumeva le sue virtù e i suoi difetti con una serie di aggettivi sul suo temperamento e carattere (volubile, innovatore, fantastico, attivo, un po' rozzo, troppo allegro, di sacrificio, sincero, bonario, umile, compiacente, generoso, spassoso), il 24 settembre 1955 faceva la sua entrata nella sede del noviziato comboniano di Firenze.
Inutile dire che Egidio ce la mise tutta per tradurre in pratica la lunga litania di ammonizioni che aveva collezionato. Ma... "Se il Signore mi ha fatto in certo modo - si giustificava io non so proprio cosa farci".
Nel settembre del 1956 passò a Gozzano. Nuovo ambiente, nuovo padre maestro... nuove delusioni.
"Non si è messo con troppo impegno nel lavoro spirituale. Solo ultimamente ha dato una speranza sufficientemente fondata di riuscita. Mi pare, però, che un fondo di buono ci sia. Quando riflette è tutto diverso dal solito".
Come si vede, tutti avevano da ridire, ma nessuno aveva il coraggio di dir gli chiaramente: "Non sei fatto per noi, tornatene a casa". La vocazione, Egidio, doveva conquistarsela passo dopo passo come uno scalatore che si sbuccia mani e ginocchia per raggiungere la vetta. Forse Dio voleva dimostrare agli uomini, in questo caso agli educatori, che non sempre sceglie i migliori per i suoi piani. Del resto, se guardiamo chi erano gli Apostoli prima della chiamata (e anche dopo) ne abbiamo un'ampia conferma. Il padre maestro l'ammise alla prima professione.

Avanti... con riserva
Col grosso crocifisso di missionario al collo, Egidio passò a Verona per gli studi liceali.
Scrive p. Novelli, suo compagno fin dai primi anni di seminario: "Cin-Cin ha tribolato molto per andare avanti. E, ad ogni rinnovazione dei Voti temporanei, aveva la spada di Damocle dell'espulsione che gli pendeva sulla testa. Era di un'allegria esuberante. Attorno a lui si era sicuri che si formava sempre un gruppo perché, tra barzellette e battute di spirito, dava un tono di ilarità alla giornata. Noi compagni ci auguravamo di andare in missione insieme a lui, quando sarebbe stato il tempo, così non avremmo sicuramente sofferto di malinconia. Era un tipo adatto a formare comunità".
I superiori intanto annotavano: "Spassoso e parolaio. Sventato. Discreto sforzo per essere più posato. Grande spirito di sacrificio". Fortunatamente alla fine del liceo venne come superiore a Verona p. Gino Albrigo. Egli comprese di quale pasta fosse costituito il giovane aspirante al sacerdozio. E senza esitazioni scrisse: "Da ammettersi al rinnovamento dei Voti. La sua leggerezza è ampiamente controbilanciata dalla sua obbedienza, dallo spirito di sacrificio e dalla bontà d'animo. Sarà uno che aiuterà i confratelli in crisi, specie in missione".
Ciò nonostante qualche altro scrisse all'esterno della cartella personale di Egidio con la matita blu: "Avanti, ma con riserva".

So che avete buona volontà
Sempre con il piede alzato, Egidio si trasferì a Venegono Superiore per gli studi teologici. All'ordinazione sacerdotale mancavano quattro anni.
Durante la teologia andava a fare catechismo in un paesetto vicino a Venegono. Partiva in bicicletta alla domenica subito dopo pranzo e tornava alla sera.
"Avessi un coadiutore come Egidio! - scriveva il parroco -. Con i ragazzi è un mago. Questi vi conquisterà tutta l'Africa in poco tempo".
Quattro anni passarono veloci. Il 9 settembre 1963 Egidio doveva emettere i Voti perpetui. Il superiore dello scolasticato teologico annotò: "Il Consiglio scolastico dei professori, dopo lunga discussione, nota che la sua fondamentale bontà non è rovinata dall'esuberanza del carattere un po' strano. Sono anch'io piuttosto favorevole a farlo accedere al sacerdozio".
Il superiore provinciale, p. Longino Urbani, uomo di gran cuore che, piuttosto di perdere un missionario per l'Africa avrebbe preferito perdere la testa, ma anche di grande responsabilità, si sentì in dovere di scrivergli una lettera personale.
Certo della buona volontà di Egidio, lo invitava con paterna sollecitudine, ad attendere con molta responsabilità al ministero sacerdotale per edificare le anime.
La lettera, ispirata da vero amore, e traboccante di affetto, fu il regalo più bello di p. Egidio per la sua ordinazione sacerdotale che ricevette a Verona il 28 giugno 1964. La montagna era stata ardua, ma egli era arrivato alla vetta.

Ricordo e profezia
Sull'immaginetta-ricordo della sua prima messa, p. Egidio ha riassunto il difficile cammino che lo ha portato al sacerdozio. Nello stesso tempo la foto e i testi hanno il sapore di una profezia sulla sua morte.
Nell'immaginetta c'è il Cristo morto con il Volto reclinato sulla spalla. La didascalia è ricavata da Giovanni 19,42 "Consummatum est. Et inclinato capite tradidit spiritum"... Chi ha trovato il corpo di p. Egidio nella savana ha appunto detto: "Era nell'atteggiamento di un Cristo in croce".
Nel retro dell'immaginetta p. Egidio non poteva che esprimere ciò che era stato, e che doveva essere, il filo conduttore della sua vita sacerdotale: la gioia e l'amore di Dio. "Felice ringrazia con me Dio e prega che io sia fedele nel manifestare ogni giorno il suo amore per noi". E in basso, sempre rivolgendosi all'ipotetico detentore del ricordo, gli dice: "... anche te ho in cuore nella mia gioia, e t'offro con Gesù nella Messa".
Questo sarebbe stato il programma della sua vita sacerdotale: portare gli uomini a Dio, nella gioia.
E per ultimo, l'invocazione alla Madonna Immacolata per essere fedele al suo programma: "Sostienimi in altezze, Immacolata - per elevare molti".

Il resto per l'Africa
Dal settembre del 1964 al giugno del 1965 p. Egidio andò a Londra per impratichirsi nella lingua inglese. "Lo studio è sempre una brutta bestia scrisse - ma quando si studia in vista della missione che quasi la tocchi con la mano, tutto diventa più facile, anzi dolce" .
Nell'agosto del 1965 era ad Aboke in Uganda come coadiutore. Dakolo, Alenga, Alito, Amolotar, Minakulu e ancora Alenga furono le tappe del suo cammino sempre entusiasta, sempre improntato alla gioia più schietta.
P. Egidio fu testimone del passaggio dell'Uganda da "paradiso terrestre" a terra di violenza. Affrontò tutte le vicende condividendo con la gente gioie e dolori. Particolarmente toccante è stato il suo apporto in favore dei malati di lebbra di Alito. Cin-Cin amava questi malati e per loro si prodigava.
Essi lo conoscevano e gli volevano bene. La gente dei villaggi lo salutava quando passava, aspettando che egli tirasse fuori qualche parola simpatica o si fermasse per parlare, per... scherzare. Spesso gli girava intorno sapendo che da lui ricevevano sempre qualcosa.

A curar ferite
Nell'ultima missione, quella di Alenga, p. Cin-Cin era tornato da pochi mesi. Questa missione era stata riaperta dopo che il vescovo aveva tolto l'interdetto motivato da ruberie e disordini succeduti l'anno precedente.
I cristiani avevano sofferto molto per la dura prova. Chi aveva rubato aveva anche restituito, ma molti animi erano ancora esacerbati.
P. Egidio fu mandato in questo campo difficile per portare un po' di serenità e di ottimismo. E vi stava riuscendo molto bene. "Qui ci sono tante ferite da curare. Occorre tempo e pazienza; ma alla fine si aggiusterà tutto".
Alla fine, invece, p. Cin-Cin vi ha trovato il martirio. Egli che si definiva il "tappabuchi", il "pezzo di ricambio", colui che per molti anni era stato considerato l'ultimo (ed egli era convinto di esserlo, senza umiltà pelosa) è stato scelto per la testimonianza estrema. Ora la sua salma riposa nel cimitero di Lira, accanto a quella di p. Ambrosoli.
"E la tua morte - conclude p. Tocalli - quella dell'agnello innocente sgozzato, è la stessa che tanti innocenti hanno assaporato nel loro corpo oltraggiato, nei villaggi o nelle prigioni, ad opera di tanti torturatori... perché tu hai saputo condividere fino allo spargimento del sangue... Non c'è amore più grande di chi dona la vita per i suoi amici... E chissà che putiferio di gioia hai scatenato lassù in paradiso, tra i Santi nella casa del Padre... Fa’ che l'eco della tua allegria arrivi fino a noi, sempre, ogni giorno".
I missionari d'Uganda hanno estremo bisogno di questo.

P. Lorenzo Gaiga

Alenga (Uganda) 4 agosto 1987 - anni 50