Il missionario "da tiro". Riuscì a non arrabbiarsi mai

Arzignano, (VI – Italia)
Pakwach (Uganda)

Etiopia, Sudan e Uganda furono i tre campi di lavoro che impegnarono successivamente lo zelo missionario di P. Silvio; tre attività interrotte da tre guerre, pur di natura diversa. Tre volte coinvolto e sballottato e finalmente barbaramente ucciso da eventi più grandi di lui. Due volte riprese il cammino della missione, modestamente, caparbiamente, silenziosamente, come l'unico che gli fosse congeniale.
Nato in Pugnello di Arzignano, diocesi e provincia di Vicenza, frequentò il Seminario di Vicenza fino all'inizio della prima teologia. Manifestata la sua intenzione di farsi missionario. Fu incoraggiato dal Vescovo (Mons. Rodolfi) e dal Rettore del Seminario, ma ebbe uno scrupolo che gli fece ritardare la domanda e l'ingresso; lasciava a casa la mamma con una sola sorella. La mamma però dichiarò generosamente per iscritto che lasciava andare il figlio e non aspettava niente da lui e dall'Istituto.
Fu così che il 3 dicembre 1934, ventiduenne, Dal Maso entrò nel noviziato di Venegono (VA), raccomandato da P. Vianello e accolto da P. Meroni. Compiuto il noviziato emise la professione il 7 ottobre 1936 e dopo un anno di scolasticato a Venegono, terminò la teologia a Verona. La seconda guerra mondiale era nell'aria e l'ordinazione sacerdotale fu anticipata di qualche mese (16 aprile 1939).
Nell'ottobre dello stesso anno veniva inviato in Etiopia e spese otto anni, tra ministero e prigionia, parte a Gondar e parte ad Asmara. Un estratto di un giornale di Asmara di quegli anni gli attribuisce il merito principale della costituzione dell'Associazione Sportiva Santa Barbara al Villaggio Genio di Asmara.
Suor Franceschina Aquilino, che lo conobbe ad Asmara negli anni '40, nell'apprendere la sua morte, diede questa testimonianza, che rispecchia fedelmente Padre Dal Maso: “Era rispettoso e affabile con tutti, era molto umile, rispondeva con un sorriso; chi cercava P. Dal Maso, se non era fuori per il suo ministero, lo trovava in chiesa con il suo rosario in mano. In casa era circondato dai ragazzi; con il suo sorriso buono era amato e rispettato da tutti. Non sembrava che ci fosse in casa, tanto era silenzioso, ma la sua partenza (da Asmara) ci ha lasciato esempio di bontà e virtù religiose che non abbiamo dimenticato”.
Terminata la guerra e la prigionia, non restavano prospettive di attività missionaria in Etiopia. Nel 1947, dopo una breve permanenza in Italia, otteneva di partire per il Sudan e precisamente il Bahr el Ghazal. Nel maggio il Vicariato era passato sotto la direzione di Mons. Edoardo Mason e, specie grazie alle scuole, era aperto alle migliori prospettive apostoliche.
Nel Bahr el Ghazal rimase fino all'ottobre 1963 - con una vacanza di 9 mesi nel 1952 - dapprima come coadiutore e poi come Superiore e parroco in varie stazioni tra i Denka: Mayen e Abyei, Thiet, Warap e Kuajok. P. Bono attesta: “Tra i Denka tutti ricordano le sue fatiche là nelle paludi e i suoi viaggi quindicinali a cavallo, quando si poteva, o a piedi, per recarsi a visitare i cristiani della lontana Abyei (che rimaneva tagliata fuori per vari mesi all'anno a causa delle piogge)”. Il P. Dal Maso scriveva da Mayen nel luglio 1962: “Le do una bella notizia: il Governatore di Wau ci ha dato il permesso di rifare la nostra chiesa di Mayen, buttando giù la vecchia e rifarla più larga e più lunga [si noti che era appena uscita la Legge sulle Società Missionarie]: verrà una bella chiesa. Deo gratias et Mariae... (Mayen) è la stazione più tagliata fuori e specie lo scorso anno con grande inondazione - acqua da per tutto...”. Dopo sedici anni di permanenza nel Sudan riceveva un ordine della polizia di andarsene “perché lo scopo per cui era entrato nel paese non sussisteva più”.
Dopo alcuni mesi di vacanze stette per qualche tempo nella casa di Thiene ed aiutò nel ministero. Nel novembre 1964 partecipò al primo Corso di aggiornamento della Congregazione, fino al maggio 1965, e poi chiese di andare ancora in missione.
A 53 anni incominciava da capo il lavoro missionario nella zona Alur della diocesi di Arua in Uganda. L'apprendimento della lingua fu facilitato dall'affinità tra l'alur e il denka che aveva imparato nel Sudan.
Incominciò il suo lavoro pastorale come coadiutore a War e Zeu; in quest'ultimo posto fu anche superiore e parroco per un anno, ma dal 1967 rinunziò alla responsabilità di una parrocchia. Fu sempre disponibile per varie parrocchie della zona, finché nel 1972 fu destinato a Pakwach, sul Nilo, uno dei luoghi più caldi e infestati dalle zanzare.
P. Bono dà questa testimonianza: “Era un vero Missionario dello stampo antico, incurante di fatiche e disagi, venduto veramente alla causa di Dio, sempre in movimento per visitare i cristiani, per amministrare i Sacramenti, per confortare e consolare. Era poi uomo di grande preghiera. Si alzava al mattino prestissimo e subito in chiesa per la recita dell'ufficio e per la meditazione e quanti rosari recitava soltanto la Madonna li avrà contati.
Quando poi era libero si trovava in chiesa davanti al Santissimo. Non amava troppo le novità dell'apostolato e preferiva i metodi antichi, ma sempre moderni”.
A riguardo della preghiera, tipico questo suo commento ad una frase letta nel “Bollettino” in cui si condannava la tendenza, in noviziato, ad accumulare le pratiche religiose. “Io invece penso che il noviziato va bene appunto perché ci sono molte pratiche religiose, come lo era ai nostri tempi: si pregava molto e mai nessuno ci ha detto che si pregava troppo e allora le cose andavano molto meglio di adesso".
La morte di P. Silvio Dal Maso fu improvvisa e violenta; eppure fu trovato con il rosario in mano!
Da una relazione di P. Luigi Sala, che purtroppo ci è giunta troppo tardi per poter essere riportata interamente, citiamo alcune frasi. “Ebbi la fortuna di vivere accanto a P. Dal Maso per cinque anni nella missione di Pakwach. Vi arrivò nel gennaio 1972 dalle belle missioni delle montagne alur, ‘per qualche mese’: vi rimarrà fino alla sua tragica morte... Amava i safari, specialmente nelle due zone particolarmente dure di Mutir e Ragem. Fu a Mutir che venne eretto uno dei primi centri eucaristici della diocesi, e la vita cristiana rifiorì.
In safari viveva nella più stretta povertà; camminava di capanna in capanna, instancabile. Di notte, il caldo, le zanzare e i pipistrelli gli impedivano il sonno; eppure P. Silvio ci viveva settimane intere e non si è mai lamentato.
Particolari cure ebbero da lui i chierichetti, l'Azione cattolica e i poveri. Aveva un cuore sensibilissimo: quando gli morì tra le braccia il giovane cuoco che lo accompagnava nei safari, lo pianse come un figlio. Insisteva con i cristiani perché aiutassero i più bisognosi; era duro con chi, potendo, non voleva dare o pretendeva di ricevere senza ragione.
La sua povertà era assoluta. Si vestiva spesso di vestiti di seconda mano che arrivavano dall'Italia. La sua stanza non conteneva nulla di nuovo o costoso: nessuna macchina fotografica, né registratore, né altri oggetti superflui.
È stato un vero martire dell'obbedienza. Mandato a Pakwach ‘per qualche mese’, aveva espresso tante volte il desiderio di ritornare sui monti dove il clima era fresco e la fede dei cristiani più viva. Ma non essendo possibile una sostituzione, non insistette mai per essere trasferito: ‘Questa - diceva - è una vera missione, difficile, con ancora molti pagani; sarebbe un tradimento lasciarli soli'. Restò e vi trovò il martirio”.



LE DUE VITTIME DI PAKWACH

Breve relazione sulla morte dei Padri Antonio Fiorante e Silvio Dal Maso
(Scritta da P. R. Dellagiacoma su indicazioni di P. Dall'Amico, 14.5.1979)

Sr. Paola, della comunità delle Suore di Maria Immacolata di Pakwach, ha riferito ad Angal quanto segue.
Giovedì 3 maggio verso le 4 pomeridiane dei soldati si presentarono in missione a Pakwach e chiesero benzina. Il Padre fece presente che non ce n'era più e allora vollero controllare i magazzini. Trovarono della nafta e rotolarono il fusto verso la strada principale.
Alla sera verso le 21-21.30 le Suore sentirono abbaiare i cani e gente che parlava ad alta voce nella casa dei missionarii. Non si mossero. Subito dopo si presentò qualcuno al cancello delle suore, cercarono di aprire il lucchetto e poi si allontanarono senza forzarlo, dicendo in swahili che sarebbero tornati.
Venerdì 4 maggio la signora Teresa, incaricata dei catecumeni e Sr. Paola, la superiora delle suore, trovarono la chiesa chiusa ancora alle 7 circa. Si portarono alla casa dei missionari e trovarono la porta d'ingresso spalancata, e così pure tutte le porte interne. Entrate nella stanza di P. Fiorante trovarono il Padre supino a terra, nudo, con una corda legata (non stretta) al collo, e una ferita all'orecchio e una sulla tempia opposta (una pallottola entrata dall'orecchio e uscita dall'altra parte). La faccia era nera, senza segni di sangue fuori. Sulla schiena vi erano anche segni di colpi, presumibilmente era stato colpito con scarponi o fucile, il ventre gonfio. Non vi erano altri segni di battiture. La corda era legata ad una gamba del letto.
P. Silvio era sdraiato a terra, con la faccia rivolta in alto, coperto solo di una canottiera o maglietta. Gli avevano legato i piedi insieme con uno spago. Aveva una ferita (di arma da fuoco) che attraversava il collo da un lato all'altro; aveva perso molto sangue e non aveva altre ferite. Nella mano sinistra stringeva il rosario.
La casa era svaligiata, bottiglie di birra vuote per terra.
Vista la scena la Suora fece uscire la donna, rivestì alla meglio i padri. Subito si adunò altra gente; 4 soldati locali tennero la gente lontana dalla casa. Cercarono altri soldati locali (sfuggiti dalle varie caserme e a casa loro). Decisero di seppellirli ad Angal dove c'erano ancora i missionari e le suore. Cercarono benzina e verso le 11 antimeridiane con una Land Rover dei soldati e un pick-up, misero i 2 cadaveri su due materassi sul pick-up, vi salì qualche soldato armato, mentre altri soldati armati di scorta salirono sulla Land Rrover con le suore.
Arrivarono ad Angal verso mezzogiorno e un quarto. P. Bono era a dir messa fuori e li accolse P. Dall'Amico. I 2 cadaveri furono portati davanti all'altare in chiesa sui materassi, le Suore Pie Madri li lavarono, fasciarono le ferite. Nel frattempo scavarono un'unica fossa dove furono deposte le 2 bare una vicina all'altra. Fr. Magistrelli preparò 2 casse da morto. Dopo il suono del tamburo incominciò ad arrivare la gente che incominciò a pregare. Alle ore 17 concelebrazione con Mons. Paolo Jalcebo e i Padri Dall'Amico, Bono, Negrini che era lì da Orussi per caso. Ci saranno state circa 500 persone. Portati a spalla dalla gente furono sepolti, finendo verso le 18.30.
Sr. Paola e la sua compagna restarono ad Angal, lasciando Pakwach vuota. La bara di P. Silvio era lunga 2 metri, quella di P. Fiorante 1.80. Furono seppelliti vicino alla tomba di Fr. Cò.
Il sabato P. Dall'Amico e Fr. GiIli e alcune suore si portarono in Zaire. Rimasero Mons. Jalcebo, P. Bono, Fr. Magistrelli e 3 Pie Madri.

Pakwach (Uganda) 3 maggio 1979 - anni 66