Sabato 5 0ttobre 2024
I musei africani, nello scorso secolo, non hanno avuto rilevanza istituzionale pari a quella di analoghe realtà straniere, tranne alcune lodevoli eccezioni, per esempio il Museo nazionale dell’Etiopia presso la facoltà di Tecnologia dell’università di Addis Abeba, degno di nota per gli ominidi fossili che conserva, prima fra tutti Lucy, uno scheletro Australopithecus afarensis datato tra quattro e tre milioni di anni fa e quindi il più antico esempio di essere umano. (...) [P. Giulio Albanese — L’Osservatore Romano]
I musei africani, nello scorso secolo, non hanno avuto rilevanza istituzionale pari a quella di analoghe realtà straniere, tranne alcune lodevoli eccezioni, per esempio il Museo nazionale dell’Etiopia presso la facoltà di Tecnologia dell’università di Addis Abeba, degno di nota per gli ominidi fossili che conserva, prima fra tutti Lucy, uno scheletro Australopithecus afarensis datato tra quattro e tre milioni di anni fa e quindi il più antico esempio di essere umano, oltre a quello di un bambino, al quale è stato dato il nome di Salem e che secondo alcuni studiosi sarebbe persino più vecchio di centomila anni. I musei africani, cioè si sono configurati nella migliore delle ipotesi come realtà accattivanti per qualche manipolo di turisti.
Ma ora qualcosa sta decisamente cambiando. Infatti è sempre più pressante la richiesta che viene da più parti, in particolare dalle giovani generazioni, di una definizione più chiara della loro identità, tanto sotto il profilo socio-culturale quanto sul piano organizzativo. L’impostazione di partenza che è stata data loro, soprattutto a seguito della stagione delle indipendenze oltre sessant’anni fa, risentiva, in linea di principio, della concezione classica museale di matrice occidentale.
In altre parole, i musei erano stati concepiti come luoghi di custodia, identità e memoria del patrimonio materiale e immateriale, affermando così sicurezza e stabilità culturale e sociale. Sta di fatto che un pò tutti i complessi di cui sopra, nel corso degli anni, hanno risentito fortemente della scarsità, se non addirittura, in alcuni paesi, della totale mancanza di fondi da parte delle autorità ministeriali competenti e dai privati.
Vi sono comunque fermenti culturali, legati spesso all’ambito universitario, che stanno gradualmente disegnando nuovi scenari. I musei d’altronde sono anche luoghi di/in trasformazione, di costruzione di nuove conoscenze, interpretazioni ed usi del patrimonio autoctono. In effetti, la vitalità di un museo non si misura semplicemente con il numero dei visitatori, ma dipende in gran parte dalla sua potenzialità adattativa, di co-evoluzione con l’ambiente circostante e la società a cui appartiene. In una battuta potremmo dire che il fattore preponderante è rappresentato dalla sua capacità adattiva di accoglienza e di stimolazione di sempre nuove narrazioni.
Sempre ad Addis Abeba ne è esempio notevole è lo Zoma Museum che non solo presenta reperti storici di inestimabile valore, ma promuove anche l’arte e il design contemporanei influenzati dalle tradizioni locali. È quindi una realtà espositiva dove nuove visioni ed usi generano ulteriori opere e narrazioni, rinnovano cicli vitali, dialoghi e relazioni tra passato e presente. Posizionato lungo Bole Road, lo Zoma Museum si erge come un faro di continuità culturale della tradizione artistica africana. Un sogno vecchio di un quarto di secolo finalmente venuto alla luce un anno prima della pandemia, il museo immortala il nome e la memoria del compianto Zoma Shiferraw, un promettente giovane artista la cui vita si è spenta prematuramente, a seguito di una dura battaglia contro una grave neoplasia nel 1979.
Agli occhi del visitatore, l’intero complesso museale, esprime riverenza per l’antico e il duraturo, rendendo davvero intelligibili le tecniche di costruzione che hanno resistito alle devastazioni impresse dal tempo e da ogni genere di elementi – antropici e legati a madre natura - pur mantenendo la loro grazia e bellezza intrinseche. La struttura stessa, si manifesta come una sinfonia di fango, paglia, pietra, legno e cemento, prova tangibile della dedizione, da parte dei suoi ideatori, alla resilienza architettonica e alla consapevolezza ambientale.
Molto più di un semplice spazio espositivo, lo Zoma Museum viene descritto nelle guide turistiche come «un incubatore di arte e architettura innovative e d’avanguardia, un ponte che unisce creativi da tutto il mondo in una dedizione condivisa all'arte ecologica». Oltre il perimetro della galleria espositiva, il museo include una biblioteca, un centro per bambini, un giardino con piante commestibili e una scuola d’arte e di lingua vernacolare, un anfiteatro e un negozio del museo, un vero e proprio ecosistema artistico che pulsa nel cuore della capitale etiopica.
Indubbiamente, i musei africani hanno il compito primario di contrastare gli effetti negativi della post-modernità che si è prepotentemente insinuata nelle culture autoctone. Emblematico è il caso dell’Historic Museum of the Bamoun Sultanate in Camerun. Esso si erge a testimonianza della forza indomita del fiero popolo Bamoun. Frutto dell’ingegno dell’architetto Issofou Mbouombouo, il complesso museale rende omaggio all’emblema dei Bamoun: un serpente a due teste, un ragno e un gong a doppia montatura. Ogni elemento racchiude l’essenza del patrimonio valoriale di questa etnia: forza, saggezza, duro lavoro e unità. Le origini del Sultanato di Bamoun possono essere fatte risalire al 1394 d.C. sotto il regno di Nshare Yen. Nel corso dei secoli, il sultanato è stato retto da ben 19 monarchi, ognuno dei quali ha contribuito alla crescita e all’espansione del regno. Un traguardo significativo è stato raggiunto durante il regno di Re Mbue Mbue negli anni ‘80 del Settecento, che intraprese con successo una lunga serie di conquiste, espandendo i confini del regno e impregnandolo di simboli mitici come appunto il serpente a due teste.
Molto interessante e singolare in Ghana è il Kwame Nkrumah Memorial Park and Mausoleum in memoria di colui che nel 1957 fece del suo paese il primo a sud del Sahara a ottenere l’indipendenza dal dominio coloniale. Nkrumah fu infatti primo ministro e in seguito presidente della repubblica del Ghana. Inoltre, si distinse come esponente di spicco del panafricanismo e più in generale del movimento dei non-allineati e della denuncia contro le ingerenze straniere in Africa.
Situato al centro della capitale, Accra, il parco custodisce un mausoleo che fu l’ultima dimora del grande statista africano. Sempre all’intero del complesso si trovano rari manufatti relativi all’indipendenza del Ghana e il tour nel parco offre ai visitatori una storia approfondita della lotta contro il potere coloniale. Il mausoleo, progettato dal ghanese Don Arthur e ristrutturato recentemente da un giovanissimo architetto, Bethel Kofi Mamphey, ospita le spoglie mortali di Nkrumah e di sua moglie Fathia.
Sempre in Africa vi sono musei molto all’avanguardia come lo Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Mocaa) a Città del Capo (Sud Africa). Visitandolo ci si rende contro d’essere di fronte ad un’istituzione che si erge a testimonianza del potenziale sconfinato della creatività africana a livello continentale. Le gallerie dello Zeitz Mocaa, distribuite su più piani, propongono un viaggio attraverso il dinamico panorama dell’arte contemporanea africana e gli spazi all’interno del museo sono tanto diversi e variegati quanto lo è l’arte multiforme che ospitano al loro interno. Il cuore del museo è una grande galleria dedicata a una collezione d'avanguardia, una testimonianza dello spirito pionieristico degli artisti del continente. Vi sono inoltre dei settori che evidenziano i diversi aspetti e competenze dell’arte africana, tra cui l’educazione all'arte contemporanea, la formazione curatoriale, la pratica performativa, la fotografia e lo studio dell’immagine in movimento.
Nonostante quelle che possono essere le difficoltà imposte dall’attuale congiuntura economica, non pochi musei africani propongono spesso dei workshop per promuovere l’interscambio culturale. Istituzioni come il Marrakech Museum for Photography and Visual Art ospitano artisti internazionali per studiare e creare opere ispirate alla cultura africana. L’attenzione è comunque rivolta anche alle produzioni locali come nel caso del Grand Egyptian Museum di Giza che espone il lavoro degli artigiani egiziani, consentendo l’accesso a volte al mercato internazionale.
Sia i musei governativi sia quelli privati offrono nel complesso un’ampia e diversificata rete museale continentale. Si avverte comunque sempre più l’esigenza di una specifica attenzione ai linguaggi e all’organizzazione, all’individuazione di possibili profili di qualità, nella prospettiva di una realtà culturale che sta attraversando una marcata fase di cambiamento. A questo proposito, la cooperazione internazionale deve certamente essere rafforzata per valorizzare un patrimonio artistico e culturale di ieri e di oggi che non è solo africano, ma davvero di tutti.
[Giulio Albanese — L’Osservatore Romano]