Sabato 13 aprile 2024
Le condizioni meteorologiche di vasti settori del continente africano sono estremamente preoccupanti. Infatti, nel mese di aprile sono già stati battuti record di temperature a causa di un’intensa bolla di calore che sta attanagliando soprattutto gli Stati centro-occidentali della macroregione. I Paesi che guidano la classifica delle temperature più elevate sono Mali, Mauritania, Senegal e Niger, con valori che localmente sono arrivati a toccare i 49° Celsius. [P. Giulio Albanese]
Il continente è soffocato dal riscaldamento globale con temperature record già ad aprile
Le condizioni meteorologiche di vasti settori del continente africano sono estremamente preoccupanti. Infatti, nel mese di aprile sono già stati battuti record di temperature a causa di un’intensa bolla di calore che sta attanagliando soprattutto gli Stati centro-occidentali della macroregione. I Paesi che guidano la classifica delle temperature più elevate sono Mali, Mauritania, Senegal e Niger, con valori che localmente sono arrivati a toccare i 49° Celsius. La colonnina di mercurio ha raggiunto il suo apice a Kayes, nell’estremo ovest del Mali, una località poco distante dalla frontiera con il Senegal, con ben 49° C. Si tratta di un valore che rappresenta il record per il mese di aprile, non solo per il Mali ma per l’intero continente africano.
Dando uno sguardo ad altri settori, come quelli dell’Africa centrosettentrionale e orientale, possiamo notare valori che manifestano lo stesso trend. Ad esempio, lo scorso marzo, un’ondata di caldo ha investito l’intero Corno d’Africa. Le alte temperature hanno costretto i funzionari governativi a ricorrere a misure emergenziali, inclusa la chiusura delle scuole in Sud Sudan per due settimane a causa delle temperature comprese tra 41 e 45 gradi Celsius che sono durate per due settimane. Nell’Africa meridionale la colonnina di mercurio è salita di 4/5 gradi rispetto alla media di febbraio. Emmerson Mnangagwa, presidente dello Zimbabwe, ha dichiarato lo stato di disastro nazionale a causa della siccità che ha frenato la produzione agricola nel suo Paese, precisando che «più dell’80 per cento del territorio nazionale ha ricevuto precipitazioni inferiori alla norma. La nostra nazione affronta un deficit di cereali alimentari senza precedenti». L’annuncio di questi giorni fa seguito a dichiarazioni simili rilasciate il mese scorso dalle autorità governative dei Paesi limitrofi, quelle dello Zambia e del Malawi, dove le scarse precipitazioni hanno ridotto la produzione del mais e di altri cereali contribuendo all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, con effetti negativi sui ceti meno abbienti.
Quest’anno, il fenomeno meteorologico El Niño, che provoca periodicamente un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’oceano Pacifico centro-meridionale e orientale, ha fatto sì che vasti settori dell’Africa meridionale soffrissero il febbraio più secco degli ultimi decenni. Il direttore del programma di Oxfam in Africa meridionale, Machinda Marongwe, ha dichiarato che è proprio in questi casi che il finanziamento per contrastare i cambiamenti climatici si rende davvero necessario. Angola, Botswana, Repubblica Democratica del Congo, Malawi, Mozambico, Namibia, Zambia e Zimbabwe hanno registrato le piogge più basse per la fine di gennaio/febbraio in almeno 40 anni.
Non v’è dubbio che stiamo parlando di un continente tra i più vulnerabili su scala mondiale per quanto concerne gli estremi climatici, con il 60 per cento della popolazione non coperta da alcun sistema rapido di allerta. Questo in sostanza significa che l’Africa deve affrontare ogni anno, progressivamente, eventi meteorologici estremi, inondazioni, siccità, ondate di caldo, cicloni tropicali e forti tempeste, forti piogge e incendi boschivi. Gli effetti del cosiddetto global warming — perché di questo si tratta — sono costantemente monitorati dall’Ufficio per l’Africa della World Meteorological Organization (Wmo), con sede ad Addis Abeba, in Etiopia. Questo organismo collabora con i servizi meteorologici e idrologici nazionali (Nmhs) di 53 Paesi membri del continente, per rafforzare lo scambio di dati, le capacità operative di monitoraggio e previsione e per sviluppare sistemi di allarme tempestivi.
È significativo che quanto descritto finora stia avvenendo proprio in Africa dove il milieu socio-economico è caratterizzato da diversi livelli di sviluppo, attività economiche e sfide sociali, tra cui tassi di povertà estrema, disuguaglianza, accesso limitato all’assistenza sanitaria e all’istruzione, instabilità politica in alcune regioni e rapida urbanizzazione, con potenzialità di crescita e innovazione che non possono essere disattese.
È significativo che, a partire dal 2022, le Nazioni Unite abbiano designato 34 dei 46 Paesi meno sviluppati (Ldc) riconosciuti a livello mondiale come situati nel continente africano. Da rilevare che l’Africa è responsabile solo di una piccola frazione delle emissioni globali di gas serra rispetto agli altri continenti, ma soffre in modo sproporzionato a causa degli effetti del global warming. Secondo un nuovo rapporto del Wmo, ciò sta danneggiando non solo la sicurezza alimentare, gli ecosistemi e le economie, ma acuisce la mobilità umana per il deficit di risorse alimentari, peggiorando sicurezza nelle aree di conflittualità. Dal punto di vista dell’ecosistema, gli effetti sull’agricoltura sono gravissimi, considerando peraltro che essa rappresenta il pilastro su cui si regge la sussistenza di molte popolazioni, oltre il 55 per cento della forza lavoro continentale. Purtroppo la crescita della produttività agricola africana è diminuita del 34 per cento dal 1961 a causa proprio dei cambiamenti climatici. Questo calo è il più alto rispetto a quello che hanno sperimentato altre macroregioni del mondo. Si prevede che le importazioni alimentari annuali da parte dei Paesi africani aumenteranno da 35 miliardi di dollari a 110 miliardi di dollari entro il 2025. Secondo il Climate Change Vulnerability Index, su 33 regioni nel mondo che presentano un rischio estremo a causa dei cambiamenti climatici, 27 sono in Africa.
È dunque più che evidente che il consesso delle nazioni non può stare alla finestra a guardare. I governi locali, sebbene siano consapevoli della gravità della situazione, non sono in grado di sostenere le comunità locali nel far fronte adeguatamente a questi eventi di cambiamento climatico. Non v’è dubbio che il problema principale è rappresentato dalla mancanza degli strumenti di rilevazione meteorologica, i cosiddetti sistemi “idrometeorologici”.
In Africa spesso mancano o sono obsoleti. Basti pensare che mentre in Europa e negli Stati Uniti, ci sono 636 stazioni radar per una popolazione di 1,1 miliardi, mentre in Africa ci sono solo 37 stazioni per una popolazione di 1,4 miliardi. Di queste stazioni, oltre il 50 per cento non fornisce dati sufficientemente accurati. Le leadership africane continuano incessantemente a sottolineare l’estrema vulnerabilità dei loro Paesi ai cambiamenti climatici e le persistenti limitazioni nell’accesso ai fondi per l’adattamento e la mitigazione. Questo è stato, peraltro, uno dei temi che ha animato il dibattito alla recente Cop28 di Dubai (Emirati Arabi Uniti) dove si è anche parlato di finanza per compensare i danni causati dal global warming. Purtroppo manca ancora, da parte della comunità internazionale, una chiara roadmap di mobilitazione delle risorse finanziarie. La conferenza di Dubai si era aperta con una nota positiva per l’approvazione di un «fondo per le perdite e i danni» per i disastri climatici, ma finora gli stanziamenti hanno raggiunto una somma ben inferiore a quanto auspicato dai governi africani e dalla società civile. Se questi aiuti economici non verranno stanziati, i Paesi in via di sviluppo, in particolare quelli africani, non saranno in grado di realizzare i passaggi decisivi per conseguire gli agognati Obiettivi per lo sviluppo sostenibile. La posta in gioco è davvero alta.
P. Giulio Albanese – L’Osservatore Romano