Martedì 10 dicembre 2019
“Qui scontiamo l’assenza totale dello Stato, l’educazione è in frantumi”. Lo denuncia al Sir padre Claudio Bombieri, missionario comboniano originario di Verona, da oltre trent’anni in servizio a fianco degli indios, nello Stato brasiliano del Maranhão, commentando quanto accaduto sabato scorso lungo l’autostrada BR-226, dove due indigeni che facevano parte di un più ampio gruppo che procedeva a bordo di motociclette sono stati uccisi dai colpi di pistola sparati da un’auto che sopraggiungeva.
Oggi, inoltre, un terzo indigeno è stato travolto da un’auto nello stesso punto. “Chi compie da anni questo tipo di assalti e rapine, dice, è figlio di questo vuoto, è pieno di rabbia e intolleranza. Ci sono persone che vengono da fuori, altri sono indios. Saranno dodici o tredici su 10mila persone, in qualche caso figli o nipoti dei capi indigeni. Ma i mandanti sono esterni. Rubano smartphone, tablet, e poi li rivendono o ricevono armi in cambio”.
Rivela il missionario: “Ho parlato con il pubblico ministero, dopo l’arresto di uno dei responsabili degli omicidi di sabato, preso dopo poche ore, mi ha detto che aveva subito confessato. Gli ho chiesto se gli aveva domandato da dove vengono le sue armi e dove va la refurtiva delle rapine. Ma mi ha risposto che no, non gli aveva rivolto queste domande. Qui prendono sempre i pesci piccoli”.
Padre Bombieri spiega ciò che cerca di fare, di fronte a questa situazione: “Anche noi siamo pochi, ma di fronte all’assenza dello Stato cerchiamo di dare speranza agli indigeni, di investire sul loro autosostentamento e sulla loro formazione. Per fare un esempio, fanno ancora la farina di manioca a mano, senza macchine. Cerchiamo di avviare alcuni giovani a studiare, nelle scuole agricole o zootecniche”.
Certo, il clima è difficile, anche per le prese di posizione dell’attuale Governo: “Il linguaggio di Bolsonaro è simile a quello che si sente qui tante volte, di odio verso gli indios. Poi, si trova sempre qualche gruppo minoritario, come accaduto qualche tempo fa, che difende l’affitto delle terre indigene a favore delle grandi coltivazioni di soia. E magari si fa fotografare a Brasilia con il presidente”.
“Sì, è stato un tiro a segno indiscriminato, per certi aspetti immotivato, espressione di intolleranza e rabbia”. Due indigeni dell’etnia Guajajara – Firmino Prexede Guajajara e Raimundo Benício Guajajara – sono stati uccisi sabato nello Stato brasiliano del Maranhão. Un gruppo di indigeni stava procedendo in motocicletta lungo un tratto dell’autostrada BR-226, nel comune di Jenipapo dos Vieiras. Improvvisamente, sono stati attaccati da un’automobile di grossa cilindrata, dalla quale sono partiti numerosi colpi di pistola. Due capi indigeni sono morti nell’attacco. Altri due indigeni sono rimasti feriti. Il fatto criminoso è avvenuto a poco più di un mese di distanza dall’uccisione della guardia indigena Paulo Paulino Guajajara, avvenuta all’interno della Terra indigena dell’Araribóia. E proprio poco dopo aver parlato con lui giunge al Sir la notizia che un terzo indigeno è morto nello stesso luogo di sabato, letteralmente investito lungo la strada. Cresce, così, il clima di tensione tra gli indigeni e tra il resto della popolazione.
“Questi episodi, in realtà, sono molto diversi tra loro – dice il missionario –. Nel caso accaduto il mese scorso, è stata colpita la capacità di resistenza e monitoraggio di chi difende il patrimonio forestale. L’attentato di sabato scorso ha un’altra origine, rappresenta l’episodio più grave di una lunga serie di fatti che accadono da 5-6 anni. In quel tratto dell’autostrada BR-226 accadono frequenti attacchi, assalti e rapine. Ma gli indigeni mi raccontano addirittura di camion e auto che cercano a volte di spaventare i pedoni indigeni, a volte proprio di investirli”. Dicono: “Facciamoli fuori”, “diamo loro lezioni di morale”. Padre Bombieri racconta un episodio avvenuto all’inizio dell’anno: “Spesso le corriere girano con a bordo guardie armate. In un’occasione una corriera ha fatto salire tre indigeni, che sono stati uccisi dalle guardie una volta saliti”. [SIR]