P. Carmelo Casile: “La formazione permanente nella sua dimensione ecclesiale”

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Giovedì 22 novembre 2018
“La terza parte della Regola di Vita tratta del Servizio missionario dell'Istituto che include tre attività fondamentali e concomitanti: Evangelizzazione (56-71), Animazione Missionaria (72-79), Formazione di base e permanente (80-101). (…) Con la presente riflessione vogliamo approfondire il nesso esistente tra Evangelizzazione, Animazione missionaria e Formazione permanente, sottolineando così la dimensione ecclesiale della Formazione permanente. Per riuscire questo obiettivo, è necessario mettere a fuoco alcuni elementi necessari o caratteristici di ognuna di queste tre parti del nostro servizio missionario, come sono percepiti nel momento attuale della vita della Chiesa. Raggrupperemo Evangelizzazione ed Animazione missionaria, facendo risaltare i suoi elementi comuni”. (P. Carmelo Casile, comboniano). Nella foto: P. Antonio Bonato, comboniano, ad Anchilo, Mozambico.

 

 

LA FORMAZIONE PERMANENTE
NELLA SUA DIMENSIONE ECCLESIALE

La terza parte della Regola di Vita tratta del Servizio missionario dell'Istituto che include tre attività fondamentali e concomitanti: Evangelizzazione (56-71), Animazione Missionaria (72-79), Formazione di base e permanente (80-101).

Le rispettive sezioni sono esplicitazione pratica della Finalità dell'Istituto nella sua triplice dimensione così come è presentata nei numeri 13 e 14.

Evangelizzazione, Animazione missionaria, Formazione di base e permanente sono attività interdipendenti che formano parte dell'unico Servizio Missionario dell'Istituto.

Un fatto che merita particolare attenzione è che ogni sezione mette a fuoco la relazione che ognuna ha con la Formazione permanente. In effetti, si risalta la relazione che esiste tra attestazione personale e comunitaria e proclamazione del messaggio evangelico, RV 58, tra rinnovazione del missionario ed animazione missionaria (RV 74); di uguale maniera è sottolineata l'unità interna tra Formazione di base e permanente e la continua integrazione tra servizio missionario e vita religiosa in continua rinnovazione, RV 80-85; 99.

Con la presente riflessione vogliamo approfondire il nesso esistente tra Evangelizzazione, Animazione missionaria e Formazione permanente, sottolineando così la dimensione ecclesiale della Formazione permanente. Per riuscire questo obiettivo, è necessario mettere a fuoco alcuni elementi necessari o caratteristici di ognuna di queste tre parti del nostro servizio missionario, come sono percepiti nel momento attuale della vita della Chiesa. Raggrupperemo Evangelizzazione ed Animazione missionaria, facendo risaltare i suoi elementi comuni.

1. EVANGELIZACIONE E ANIMAZIONE MISSIONARIA

La Regola di Vita ci dà di entrambe una visione che ha come elemento fondamentale il fatto vocazionale battesimale e specifico di ogni membro del Popolo di Dio nella Chiesa (RV 62-64; 72-77).

Questa visione sta in sintonia con la riscoperta della natura profonda dell'essere della Chiesa. In effetti, "Chiesa" significa "assemblea dei chiamati”. Ogni uomo che entra a fare parte del Popolo di Dio è un "chiamato" alla comunione vitale con Dio Padre per Cristo nello Spirito Santo. Ma, quella comunione che porta i credente a sedersi a mensa del Padre, li porta anche a trasformarsi in partecipanti nel ministero del piano di Dio, cioè, a cooperare con lui nella formazione e nell'espansione del Popolo di Dio ed ad orientare verso Dio Padre in Cristo tutte le cose.

Pertanto, la comunità cristiana è il luogo della vocazione, il luogo dove Dio invia i segni e dove aiuta a discernerli. È nell'intimo dell'esperienza cristiana comunitaria che i fedeli ricevono i segni e divengono capaci di interpretarli nel confronto con gli altri fratelli.

L'ottica della Regola di Vita ci aiuta a capire che nell'Evangelizzazione si mira innanzitutto a iniziare ad una vita ecclesiale di comunione e partecipazione; e allo stesso modo nell’animazione missionaria non si mira appena a svegliare nelle persone l'interesse e la collaborazione per determinati problemi o aspetti della missione "ad gentes", bensì soprattutto di motivare i cristiani affinché prendano coscienza e vivano la realtà della loro inserzione vitale in Cristo che fa li partecipi della sua missione salvifica, con un ministero ben definito dentro la Chiesa e in rapporto alla sua attività missionaria "ad gentes."

La coscienza e la responsabilità missionarie esistono e si sviluppano nella misura in cui la vita cristiana è vissuta come vocazione-missione. A partire da questa percezione e vissuto nasce la vocazione missionaria specifica e le varie forme di cooperazione all'attività missionaria "ad gentes."

In quest’ottica, risulta chiaro che l'evangelizzazione, l'animazione missionaria generica e la promozione vocazionale specifica, sono profondamente unite tra sé, avendo in comune il punto di partenza ed anche di arrivo, cioè, la presa di coscienza ed il vissuto della vita cristiana come vocazione-missione.  

Una visione globale teologico-pastorale della vocazione-missione del Popolo di Dio la troviamo nel prologo della 1a Lettera di Giovanni (1,1-4). In questo passaggio possiamo apprezzare il senso dinamico della vocazione cristiana, perché gli aspetti teologale, ecclesiale e cristologico della vocazione sono riassunti in questi versetti che espongono una visione aperta e solidale della vita cristiana intesa come vocazione-missione che si converte in sfida per l'evangelizzazione in generale ed in particolare per la pastorale dell' orientamento e dell’opzione vocazionale.  

Questo senso dinamico della vocazione cristiana può concretizzarsi nelle seguenti linee di azione:

A. - Una triplice iniziazione

In primo luogo è necessario iniziare i cristiani nel mistero trascendente di Dio, senza perdere di vista la relazione col mondo, assetato di Dio e fatto per Dio.

Il contenuto della predicazione apostolica è la manifestazione del Padre che chiama l'uomo alla comunione di vita con la SS. Trinità.

Dio-Padre è "quello che chiama" (1Tes 2, 12; 5, 24) "a condividere il suo Regno e Gloria" (1Tes 2,12), "alla vita eterna" (1Tim 6) 12, con una vocazione "ad essere santi" (2Tim 1,9), passando dalle tenebre alla sua luce ammirabile (1Ped 2,9), per condividere con Cristo la sua "eterna Gloria" (1Pt 5,10). La meta dell'appello del Padre è la comunione con suo Figlio (1Cor 1,9), per vivere nella libertà (Gál 5,13), nella pace (Col 3,15), e condividere una sola speranza (Col 1,27).  

In secondo luogo è necessario iniziare i cristiani nel mistero della Chiesa. Per la sua santità e la realizzazione della sua missione salvifica contribuiscono in diversa misura i doni personali concessi dallo Spirito di Gesù: la complementarietà e la varietà dei servizi delle vocazioni saranno comprese ed integrate nell'unità articolata del Corpo di Cristo (cf. 1Cor 12,4-11).

In terzo luogo una vita comunitaria articolata, cioè, basata nel principio della sussidiarietà che faccia possibile un'autentica vita di comunione e partecipazione, inizia i fedeli nell'immagine cristiana dell'uomo, perché l'aiuta a capire che la risposta ad una vocazione specifica è integrata con la libertà, con lo sviluppo completo della personalità e con la presenza attiva nel mondo.  

In una comunità cristiana ben articolata, fedele all'appello di Dio, radicata in una vita di fede viva e di preghiera per il discernimento, aperta alla missione salvifica della Chiesa, i giovani sono spinti interiormente a realizzare in una maniera vitale la comunione con Dio e quindi ad affrontare la vita come vocazione-missione.

B. - La formazione di gruppi che vivono intensamente il Mistero Pasquale

Una comunità cristiana locale che vuole vivere già la triplice iniziazione menzionata, trova spazi per gruppi di vita e di apostolato. In effetti, per incarnare la "vocazione celestiale" (Heb 3,1) ed assumere la missione che nasce da essa, i cristiani hanno bisogno di vivere un'intensa esperienza spirituale che è vitale attraverso gli impulsi delle relazioni interpersonali nella fede che i cristiani stabiliscono nel gruppo di cui fanno parte.  

In questi gruppi la lettura meditata della Bibbia ed la condivisione delle riflessioni suscitate dall'ascolto della Parola di Dio, trovano il suo compimento nella vita sacramentale, soprattutto nell'Eucaristia, celebrata come festa della famiglia di Dio e della presenza della comunione e dell'amore in mezzo alla comunità umana.  

Preparazione e conseguenza della comunione, fomentata dlla Parola di Dio e dal dono dell'Eucaristia, sarà l'amicizia, cercata e coltivata con l'impegno di tutti nel gruppo e con la partecipazione nei problemi e nei dolori del mondo, a partire dall'ambiente in cui il gruppo vive. Si tratta di integrare i mezzi tradizionali e costitutivi della vita della Chiesa in una visione dinamica della stessa Chiesa e del mondo.  

Nella creazione o accompagnamento di questi gruppi saranno privilegiati i gruppi giovanili.

Attraverso la vita di gruppo, il giovane ha la possibilità di scegliere coscientemente la sua strada senza perdere di vista l'insieme di relazioni della sua esistenza: attraverso una serie di impegni il giovane scopre gradualmente che ogni vocazione per un servizio della Chiesa è sempre, contemporaneamente, un servizio di Dio ed una risposta alle necessità degli uomini di oggi; in questa misura egli permette l'espansione della sua personalità.

C. - Dialogo ed attestazione

L'opzione vocazionale della comunità cristiana locale come tale e l'opzione vocazionale specifica dei suoi membri, come anche la corrispondente crescita vocazionale, dipendono dal dialogo e della testimonianza nell'interno della stessa comunità.  

Tra testimonianza mediante il vissuto vocazionale ed elezione della vocazione specifica si stabilisce una relazione feconda: la vocazione specifica nasce per osmosi o per contagio dell'intensità della testimonianza.

Come la Parola evangelica correva e si diffondeva sotto l'azione dello Spirito Santo e della vita della comunità primitiva (cf. Hech 2,44; 4,32-35), così oggigiorno la chiamata di Dio ai suoi figli si trasmette mediante la forza dello stesso Spirito e per la testimonianza di vita dei membri della comunità cristiana.  

La vocazione battesimale e specifica stanno unite ad una vita, o meglio ad una trasfusione di vita, di libertà, di speranza, di certezze cristiane, che la famiglia, la comunità locale e la Chiesa universale alimentano in loro stesse e, a partire da sé, trasmettono come impegno e promessa divina agli uomini di oggi.

Infine, l'animazione missionaria e dentro di essa la promozione vocazionale non sono capitoli a parte del servizio missionario che realizziamo, non sono attività realizzate "per delega", bensì un elemento essenziale che dà un tono particolare all'evangelizzazione.

2. FORMAZIONE PERMANENTE

La riscoperta del dinamismo della vita cristiana come vocazione-missione in continua attuazione esistenziale, interpella in maniera particolare i Religiosi (cf. PC 1-2) e, pertanto, anche noi Missionari Comboniani.

La Vita Missionaria Religiosa, nata come frutto dall'intensità della vita battesimale (RV 20.1) ed vissuta sotto il dinamismo della reciprocità consacrazione-missione (RV 10), perde la fisionomia di "cosa posseduta" per fare qualcosa, e pertanto, di semplice funzione, o compito da svolgere nella Chiesa, e passa ad essere affrontata come forza dinamica che si sviluppa e cresce in virtù di una realtà interna che è la potenza dello Spirito Santo, la quale si incarna nella sequela radicale di Gesù per un servizio in vista della realizzazione della missione salvifica della Chiesa, Corpo di Cristo,  (RV 10.1-3; 21…).

Presa come punto di riferimento questa visione dinamica della vocazione, possiamo tracciare il seguente quadro della Formazione permanente:

2.1. Senso e valore della Formazione permanente.  

A. - Per il missionario.  

«La formazione comboniana deve essere intesa come una graduale assimilazione della “sequela Christi” vissuta dal Comboni, concretata nel servizio missionarie “ad gentes” secondo i segni dei tempi. La missione, come afferma il Fondatore nell'introduzione alla Regola del 1871, illumina e determina l’ter formativo, affinché i missionari siano "santi e capaci". Oggi più che mai queste parole non sono attuali e degni della massima attenzione» (Ratio Ed. 1991, 4-52; Ed. 2015, 15-51; AC '91,34).

Pertanto, la Formazione permanente del missionario è innanzitutto un atteggiamento personale con vista a corrispondere alla chiamata di Dio nelle opzioni concrete della vita (RV 20) mediante una continua crescita in Cristo e nell'identificazione col carisma dell'Istituto (RV 99; 100; 100.1).

In effetti, la vocazione non appartiene all'ordine dell'avere o del fare, bensì dell'essere-in-relazione per fare: la vocazione è una peculiare maniera di stare in relazione con Dio che sbocca in una peculiare missione da compiere; pertanto, si sviluppa con lo svilupparsi dalla propria personalità, stabilendosi una reciprocità dialettica tra vocazione e missione; non è mai prefabbricata, ma si va costruendo, essendo sempre punto di partenza e di arrivo; e, per perciò, è scoperta e realizzata nel quotidiano della vita...

Per questo, il missionario religioso deve rimanere e ritrovarsi continuamente e sempre di più nella sua identità vocazionale. Questo è indispensabile per la sua sopravvivenza umana e cristiana e per mantenersi positivamente come apostolo conscrato in un mondo in continua e sempre più rapida evoluzione.

Assunta come un processo che dura tutta la vita, (cf. RV 85), la Formazione permanente può essere meglio compresa riferendola con la tradizionale "grazia" della perseveranza. Perseveranza nella vocazione è "rimanere fedele" alla chiamata sempre nuova ed esistenziale a vivere giornalmente la propria consegna a Cristo, secondo le esigenze della consacrazione missionaria. Senza la Formazione permanente, il religioso non corrisponde alla sua vocazione nelle opzioni concrete della vita e finisce per trasformarsi in un peso inutile ed in un ostacolo, perché i missionari siano "sacri e capaci", cf. AC '91,34.

B. - Per la comunità  

Tuttavia, il religioso non riesce a crescere vocazionalmente né rinnovarsi se non trova una comunità dinamica, animata ed impegnata a convertirsi, a crescere nell'esperienza di Dio in Cristo (cf. RV 46), per meglio discernere e realizzare il disegno divino a suo riguardo (cf. RV 39; 100; 100.2-3.

Per questo, il Capitolo '91 insiste nel sottolineare che "luogo privilegiato della formazione permanente è la comunità locale" (AC '91) 38.1.

Senza la spinta della Formazione permanente, la comunità diventa burocratica, arida e sterile e, per questo, massificante e depersonalizzante, anche quando sia costituita da un numero ridotto di membri.

In effetti, manca ai membri che la compongono, il clima vitale necessario per progredire nel loro cammino d’identificazione vocazionale, che è abbastanza lungo. Secondo il P. Federico Ruiz, OCD, la durata normale per lo sviluppo di una vocazione religiosa è di 40-60 anni. Durante tutto questo tempo, la vocazione continua a fluire, ad espandersi internamente ed esteriormente. Ma ha bisogno di un clima e di un ritmo adeguato. Al contrario, smette di crescere ed entra nel cammino dell’involuzione, il cui risultato è il sottosviluppo o enanismo spirituale e vocazionale. La perdita o il danno più grave per la Vita religiosa è costituito per le tante vite che perseverano in situazione di stagnazione o di involuzione spirituale.

Gli animatori qualificati nella Formazione permanente a livello personale e comunitario sono la direzione generale e le direzioni provinciali ed i superiori locali (cf. Ratio Ed. 1991, 530-531; Ed. 2015, 542-548).

Il contenuto della Formazione permanente si riferisce ai vari aspetti inseparabili della Vita del missionario religioso.

2.2. contenuti e mezzi per la Formazione permanente

A. - Aspetto spirituale  

Questo aspetto abbraccia la crescita nella vita di fede, speranza e carità; la preghiera personale e comunitario; la vita ecclesiale-liturgico-sacramentale; la conoscenza e l'assimilazione del carisma del Fondatore (cf. AC '91): Prima Pista: Spiritualità Comboniana); la crescita nella sequela di Cristo mediante la pratica sempre più generosa dei consigli evangelici.

B. - Aspetto intellettuale  

Per raggiungere questo obiettivo, contribuisce l’approfondimento teologico nei suoi vari aspetti; lo studio della cultura del paese o gruppo umano con cui si lavora; lo studio tecnico professionale; lo studio della realtà sociopolitica-economica-religiosa nella quale si lavora, della realtà ecclesiale e missionaria e della realtà interna del nostro stesso Istituto (cf. AC '91, 2-4.

C. - Aspetto apostolico

Implica l'aggiornamento missionario nei contenuti e nella metodologia; la conoscenza e la disponibilità per fare nuove esperienze in armonia con la Chiesa locale (cf. AC '91: Quinta Pista: Metodologia missionario comboniana).

D. - Aspetto comunitario  

Include la dinamizzazione dei membri della comunità, affinché progrediscano nella carità fraterna attraverso la comunione dei beni spirituali e della conseguente valorizzazione di ogni persona secondo i doni ricevuti dallo Spirito Santo.  

Quest’aspetto include anche l'apertura verso le varie esperienze ecclesiali in un atteggiamento positivo di lasciarsi arricchire e di arricchire (cf. AC '91: Seconda Pista: Comunità missionario comboniana).

E. - Mezzi per la Formazione permanente

Il progetto comunitario: Tra i mezzi per dinamizzare la comunità rigurdo alla Formazione permanente merita un posto privilegiato l'elaborazione del "progetto comunitario." Il Capitolo di 1985 propone che ogni comunità locale elabori e riveda tutti gli anni il "progetto comunitario", nel quale specifichi le sue finalità, descrivendo la sua vita interna ed il suo "piano di lavoro", AC '85,83; cf. AC '91, 29; 46.2°). Assumere e vivere la dinamica della cenacolo-comunità: Il Capitolo '91 fa un passo in avanti, proponendo all'Istituto di assumere e vivere la dinamica del cenacolo-comunità che trova nella missione la ragione della sua esistenza (AC ' 91, 30.1). «Il Capitolo è convinto che una riflessione sulla comunità "piccolo cenacolo di apostoli", come l’ha voluta il nostro Fondatore, può dare una più solida motivazione alla vita comunitaria, un più profondo senso di comunione con i fratelli, gli agenti pastorali e la gente al cui servizio siamo chiamati» (AC '91, 30).

Pertanto, assumere e vivere la dinamica del cenacolo-comunità significa che ogni comboniano si sente chiamata a dare vita ad una piccola comunità che non sia anima di attivismo ed individualismo, bensì servizio di animazione e di testimonianza con la vita e la parola.

Questo tipo di comunità si sviluppa mediante il dinamismo e l'interazione tra vita comunitaria ed attività missionaria che si effettuano in due fasi:

  • una di preparazione da parte di ogni membro della comunità; preparazione che include lo studio, la riflessione, la preghiera; la preparazione personale si conclude con la condivisione, nella quale i membri della comunità "convergono", per raccogliere ed integrare gli apporti di ognuno in un unico programma;
  • una seconda di attuazione, nella quale ognuno sviluppa il suo compito nel suo settore dentro ed a servizio della comunità, secondo i distinti livelli, aspetti ed esigenze della vita concreta missionaria;
  • preparazione ed attuazione hanno un gran momento di incontro nella celebrazione eucaristica (giornaliera, settimanale...), intesa non come semplice celebrazione rituale, bensì come punto di arrivo e di partenza della vita della comunità in cammino salvifico nella storia.

- Cf. AC '91, Seconda Pista: Comunità missionaria comboniana, 28-31...  

3. INTERAZIONE TRA EVANGELIZZAZIONE, AMINACIÓN MISSIONARIO E FORMAZIONE PERMANENTE

Per ottenere una fruttifera interazione tra Evangelizzazione, Animazione missionaria e Formazione permanente, bisogna tenere in conto che:

  • la meta dell'annuncio del Vangelo è l'adesione alla persona di Gesù Cristo che porta il cristiano ad un cambiamento di vita che si fa visibile con l'entrata in una comunità di fratelli, segno della nuova vita in Cristo, e centrata nell'Eucaristia, culmine della vita cristiana che costruisce la comunità ed apre «ogni Chiesa locale, anche nascente, all’ "ad gentes", alla comunione e alla cooperazione con le altre Chiese» (AC '91, 47; cf. anche RV 62-64);
  • in generale le comunità ecclesiali non vivono ancora la dimensione dinamica dei sacramenti dell'iniziazione cristiana, non esistono come comunità vocazionali, attive e creative, vive e dinamiche a partire dai doni e ministeri suscitati dallo Spirito (cf. RV 64), perché questa è una dimensione che sta essendo scoperta ora dagli stessi evangelizzatore e, per questo, non sono preparate per esercitare il servizio di orientamento vocazionale a tutti i livelli come sarebbe desiderabile in una comunità ecclesiale;
  • queste comunità ecclesiali vocazionali incominciano a sorgere, appoggiate da alcune significative tendenze del mondo attuale, tali come: la fame e la sete di Dio; l'anelito di partecipazione, di democrazia, di rispetto dei diritti della persona e dei popoli; la volontà di resistenza di milioni di "impoveriti"; l’impegno per la pace, la giustizia, il rispetto della natura, etc. (cf. AC '91, 2.5).

Di fronte a questa situazione dobbiamo farci alcune domande: 

  • La nostra metodologia missionaria (= atteggiamenti di fondo, stile di vita, spiritualità, mezzi e tecniche) ci manifesta come comunità che evangelizza valorizzando la molteplicità dei ministeri - Sacerdoti, Fratelli, Suore, laici, agenti locali... -, e che a sua volta si lascia evangelizzare,  (cfr. AC '91, 42; 46.1)?
  • Che cosa dobbiamo fare affinché la nostra attività di animazione missionaria generica e di promozione vocazionale specifica non si riduca ad un semplice momento settoriale o di emergenza nella Chiesa locale, ma si trasformi in una dimensione della stessa Chiesa?
  • In che modo possiamo integrarci nell'attività delle comunità ecclesiali vocazionali?

In una parola:  

  • Come possiamo metterci al servizio di una Chiesa locale ed in particolare dei giovani per offrir loro qualcosa di provocatorio dentro la dinamica della realtà vocazionale che sta alla base della vita cristiana, nel pieno rispetto della loro libertà?

Una risposta potrebbe essere formulata nei termini seguenti: nella situazione attuale delle comunità ecclesiali, in mezzo alle quali viviamo, le nostre comunità missionarie comboniane sono chiamate a trasformarsi in comunità di riferimento (cf. AC '91,28; 46.1-2).

Una comunità di riferimento è quella nella quale i membri della Chiesa locale, ed in particolare i giovani, assumono i valori che guidano, giudicano e dinamizzano il loro cammino di fede. Una comunità religiosa i cui membri vivono la loro vita con dinamismo vocazionale, si converte anche essa in comunità di riferimento, cioè, si trasforma in segno e fermento per le altre comunità ecclesiali e per tutte le persone con le quali entra in contatto a livello individuale.  

Nel nostro caso questo contatto è stabilito mediante l'attività missionaria dell'evangelizzazione, dell'animazione missionaria generica e della promozione vocazionale specifica cioè, con una chiara proposta missionarie "ad gentes" (cf. AC '91, 47.1). Gli agenti combonianos di questi settori operano in nome ed in comunione con la comunità e trovano nella comunità un appoggio indispensabile, per promuovere nelle comunità o gruppi ecclesiali la presa di coscienza di quella dimensione missionaria che è costitutiva dell'identità cristiana ed assunta come vocazione specifica per la comunità comboniana.

Pertanto, se la comunità comboniana vive la sua identità, incarnandola e manifestandola nel suo stile di vita e di lavoro, allora il servizio missionario dei suoi membri (Evangelizzazione, Animazione missionaria e Formazione) è feconda nell'ordine pratico e contemporaneamente nell'ordine spirituale, cioè, raggiunge nel lavoro non solo l'efficienza ma anche l'efficacia.  

In effetti, il servizio missionario, in ognuna delle sue dimensioni, è efficace, quando le persone nel loro contatto col missionario, respirano l'aria evangelica della comunità comboniana in tutte le dimensioni che la caratterizzano (cf. RV 3; 3.2; 36; 46; 56; 58; etc...). Tale contatto sorpassa il puro ordine dell'efficienza, la quale si limita all'uso appropriato dei mezzi di lavoro, e diventa anche efficace, cioè, stimolante e provocatorio in quanto porta a prendere coscienza dell’impegno cristiano in generale e dell'orientamento personale nella vita.  

L'esperienza c'insegna come incontri semplici e brevi sono meravigliosamente efficaci, quando il missionario, parroco, animatore, ecc...) è una persona vocazionalmente ben identificata, felice del servizio che sta realizzando con e per Cristo, integrato in una comunità i cui membri, avendo scelto Dio come loro "eredità" (cf. LG 44; PC 6; RV 46; 81-82), vogliono realizzare insieme le condizioni del Regno di Dio e proclamarlo al mondo intero (cf. RV 36; AC '91, 28-30).

Oltre agli incontri personali, il servizio missionario soprattutto di animazione e promozione vocazionale, è basato nei mezzi di comunicazione sociale, principalmente la stampa: riveste, libri, foglietti, poster, ecc.... Non c'è dubbio che il risultato sarà differente a seconda che questi lavori sono frutto dell'esperienza personale e comunitaria del cammino di fede nel mondo e per il mondo (cf. RV 16) o di una vita spirituale senza entusiasmo e superficiale (cf. AC '91,11; 11.1-4).

Il contatto con gli incaricati dei vari settori del servizio missionario è integrato dall'esperienza di convivenze di gruppi o persone (= giornate, corsi, visite, ecc...). In questo caso il ruolo della comunità come tale è di primaria importanza. In effetti, a questo punto la comunità è chiamata ad offrire alle persone che vi si dirigono, l'ambiente vitale della fede e della carità missionaria, in cui procura vivere costantemente. È il momento in cui ogni membro della comunità esprime sempre la sua solidarietà con i fratelli nella sua attività di servizio missionario e con la Chiesa locale. Nella misura in cui ogni membro delle nostre comunità vive con generosità la sua consacrazione missionaria e tutte le sue energie sono polarizzate nel carisma comboniano, si trasformano in comunità significative e di riferimento, cioè, in centri di irradiazione missionaria.  

4. PROSPETTIVE DI RINNOVAMENTO

L'ottica della vita cristiana come dinamismo vocazionale, le esigenze della Formazione permanente che c'interpellano come conseguenza di questa ottica, le linee di interazione tra servizio missionario (= Evangelizzazione, Animazione missionaria, Formazione, e Formazione permanente) che furono segnalate, ci spingono ad una revisione-conversione continua della nostra vita missionaria comboniana personale e comunitaria.

L'epicentro di questa revisione-conversione risiede nella convinzione che:

  • Il carisma de "la missione specifica ad gentes" (RMi, 2; 33-35) è uno dei carismi costitutivi della Chiesa.
  • L'Istituto Comboniano si sente depositario anche oggi della missione di Cristo Redentore, affidata alla Chiesa e ancora ben lontana dalla suo compimento (cf. RMi 1; AC '91,3.2).
  • L’ ambiente nel quale questo carisma nasce e si sviluppa è la comunità comboniana (cf. AC '91, 28-29).
  • La comunità comboniana è cellula di una Chiesa che sperimenta oggi un profondo cambiamento (cf. AC '91,2.3; 3.4), che gli offre "l'opportunità di fare arrivare il Vangelo, con la testimonianza e la parola, a tutti i popoli", facendo "albeggiare una nuova epoca missionaria",  (cf. RMi 92; AC '91,50).
  • La preghiera di Cristo e della Chiesa, che supplica il Padre affinché invii operai per la sua messe, è certamente esaudita anche oggi.

A partire da questa convinzione, Dio c'invita ad una revisione-conversione che si effettua sostanzialmente intorno a due interpellanze:

  1. Come la comunità vive la chiamata di Dio all'evangelizzazione, all'animazione missionaria e la formazione delle vocazioni che Dio invia all'Istituto?

Ogni comunità comboniana è chiamato a formare "un piccolo cenacolo di apostoli" (cf. AC'91, 30; 30.1-2) che fanno del servizio missionario (= Evangelizzazione, Animazione missionaria, Formazione) la ragione della loro vita, cf. AC '91 28.  

Per quel motivo, la vita di ogni comunità comboniana è costituita: dalla Parola di Dio che convoca, vivifica e giudica la comunità; dall'Eucaristia che è la celebrazione della vita della comunità nei suoi aspetti concreti di morte e negli aspetti di resurrezione; dalla comunione tra le persone, che si traduce in segno visibile dell'umanità nuova nata dello Spirito; dal carisma comboniano che si esprime nella storia dell'Istituto, il quale, nato come "piccolo cenacolo di apostoli", è chiamato a vivere come comunità evangelizzatrice, segno di Cristo Trafitto in favore dei più emarginati, come comunità di animazione missionaria e di accoglienza e formazione delle vocazioni che Dio invia all'Istituto, per coinvolgere tutta la Chiesa nell’impegno missionario (cf. AC '91, 13.1-2).

«Durante l'incontro del Messico (Luglio 1993) è stato sottolineato molto il fatto che il protagonista determinante nella formazione dei nostri candidati è l'Istituto come tale. I formatori si rendono conto che il loro lavoro si rimane uno sforzo isolato, più o meno sterile, se non è corroborato ed appoggiato dalla vita di tutto l'Istituto. Le vocazioni sono un dono che Dio fa all'Istituto: nel suo seno, i nuovi combonianos sono "generati" e formati. (...) Tutti ci rendiamo conto che il risultato del nostro sforzo nel settore della promozione vocazionale e della formazione dipende in gran parte dalla vitalità apostolica e spirituale di tutto l'Istituto» (Lettera della Direzione Generale su "Formazione ed Istituto", Natale 1993).

  1. Parola di Dio: RV 47

Concretamente, che posto occupa nelle nostre comunità la Parola di Dio? È l'anima che vivifica la vita di preghiera e della comunità? Fino a che punto accettiamo che "giudichi", (cf. RV 47.1) le nostre attività nella loro nascita e nel suo sviluppo?  

- Cf. AC '91, 4.5; 18; 24; 29.2.

  1. Eucaristia: RV 53

La celebrazione dell'Eucaristia è un momento isolato nel decorso del giorno, staccato della vita comunitaria e, pertanto, routinario ed irreale?  

o al contrario,

è la celebrazione della nostra reale debolezza (= attivismo, individualismo, evasione dalla vita comunitario, insufficiente impegno nella preghiera personale e nello studio, tentazione dello scoraggiamento davanti a situazioni difficili e l'apparente sterilità del lavoro, ecc…(cf. AC '91,4.6.29.1; 29.2) e del potere del Signore che ci mantiene uniti (= superamento delle divisioni concrete, esperienza di una vita nuova e di speranza, di un impegno radicale di continuare fino alla morte (AC '91, 4.2 - 5; 10,1-3, etc.?

San Paolo alla comunità di Corinto, in maniera energica, le fa prendere coscienza che non può sperimentare la presenza di Cristo Risorto, perché celebra l'Eucaristia nella divisione e conclude: "Quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli  altri" (1Cor 11,33).

La nostra celebrazione comunitaria dell'Eucaristia (cf. RV 53. 1) è un vero incontro di fratelli, che si sentono amati e perdonati da Dio; che si aspettano gli uni gli altri e che si riconciliano caricando i pesi gli uni degli altri; che condividono i beni che possiedono; che realizzano il segno dell'unità? 

- Cf. AC '91, 29.2; 29.3; 30.2

  1. Comunione ed unità: RV 36  

In che misura siamo convinti che il primo e più importante passo per realizzare il nostro compito di evangelizzazione, animazione missionaria e formazione è l'unità della comunità

In effetti, l'unità della comunità si fa annuncio concreto di Cristo: "siano anch’essi in noi una sola cosa, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

Chiediamo comunitariamente questo dono fondamentale del Signore?

Verifichiamo costantemente la nostra "unità" per evitare di correre in vano?  

- Cf AC '91: Seconda Pista: Comunità missionario comboniana.

  1. Carisma comboniano: RV 1-19  

Poiché ogni carisma deve manifestarsi in maniera visibile, è necessario che ci domandiamo:

Gli esterni che non conoscono Daniel Comboni né la nostra Regola di Vita, hanno la possibilità di "vedere" che siamo "segno di Gesù Cristo, Crocifisso e Risorto, che dà la sua vita per le pecore più abbandonate, affinché diventino soggetti e protagonisti della prpria storia e della salvazione già avvenuta"?

- Cf AC '91, 13.1a e 13.2.

  1. Come si apre la comunità ai segni dei tempi?

Nonostante le nostre limitazioni, Dio continua ad inviare al nostro Istituto nuove vocazioni:

In che misura siamo cosciente che il protagonista (cioè la mediazione) determinante nella formazione dei nostri candidati è l'Istituto come tale?

Come accogliamo questi giovani che sono un dono che Dio fa all'Istituto, affinché nel suo seno siano "generati" e formati?

Ci lasciamo interpellare, personalmente e come comunità, per il "nuovo", per la ricchezza delle loro persone provenienti da tanti contesti culturali diversi?, per le esigenze di generosità e radicalità che portano?

Al contrario,

Cerchiamo di difendere le posizioni acquisite, ostacolando un incontro arricchente?

In che misura e come tentiamo di offrir loro il tesoro del nostro patrimonio spirituale attraverso la testimonianza gioiosa della nostra identificazione col carisma comboniano?

È imprescindibile che prendiamo coscienza del fatto che, al lato delle Congregazioni tradizionali, sono sorte e stanno sorgendo nuove forme di vita cristiana, religiosa e missionaria la cui caratteristica comune è la tendenza all'autenticità e la radicalità (cf. AC '91, 3; 30.2).

Se abbiamo una visione cristiana della Storia, come l’ha avuta Daniele Comboni, (cf. AC '91,6; 6.1-6), dobbiamo concludere che Dio sta parlando e interpellando anche noi oggi:

  • Perché nascono queste nuove manifestazioni di Gesù Cristo?  
  • Perché attraggono tanti giovani?  
  • Che cosa rivelano alla nostra Congregazione?  

Di fronte a queste nuove realtà ecclesiali, i nostri atteggiamenti e risposte possono articolarsi di forma differente:

  • accettandole, assolutizzando la forma storica di esse ed integrandoci in esse a tale punto da perdere o sbiadire la nostra identificazione comboniana;
  • escludendole totalmente dalla nostra vita;
  • ignorandole "semplicemente";
  • lasciandoci interpellare da esse?

Quest’ultima atteggiamento-risposta è il più salutare e positivo.

In effetti, se sono manifestazioni di Gesù Cristo per la Chiesa di oggi, anche noi dobbiamo accettarle, non tanto per copiare la forma o stile di vita di esse, bensì per aprirci alla provocazione e alla forte interpellanza per i valori autentici che ci offrono e dei quali necessitiamo per dare una risposta sempre più viva e fedele alla nostra vocazione (cf. AC '91, 1-4; RV 16; 20; 81 etc...).

In altre parole, non si tratta di valutare e verificare quello che fanno per introdurre quei modi di agire nella nostro vita comboniana, ma per domandarci:

Se i carismi sono dati alla comunità come attestazione visibile della presenza dello Spirito e se la sua molteplicità sta in funzione della crescita armonica dei valori professati nella Chiesa, le nuove realtà ecclesiali che continuano a sorgere, dove e come interpellano la nostra vita comboniana?  

Gli elementi più comuni nelle nuove manifestazioni di vita cristiana e che c'interpellano, sono:

  • la Parola di Dio ascoltata, pregata e vissuta;
  • la preghiera, negli aspetti di adorazione e contemplazione;
  • la docilità all'azione di Dio: discernimento per l’impegno;
  • l’impegno concreto con i poveri come condizione necessaria per continuare ad essere fedeli al messaggio di Gesù ed alla tradizione viva della Chiesa;
  • la testimonianza dei valori cristiani nell'attuale società secolarizzata.

Vale la pena tenere in conto che la nostra Regola di Vita che raccoglie la tradizione viva del nostro Istituto, è sensibile a tutti questi elementi e li sottolinea dall'ottica del nostro carisma.

Questa sensibilità della Regola di Vita ci porta a trarre una conclusione: se noi siamo chiamati ad essere "comunità di riferimento" rispetto alla Chiesa locale ed ai gruppi in essa esistenti, dobbiamo prendere coscienza che, contemporaneamente, nella Chiesa ci sono comunità che si trasformano in "comunità di riferimento" per noi stessi, nella dinamica della pluralità e complementarietà delle vocazioni.  

Il nostro futuro dipenderà dalla capacità che abbiamo in lasciarci interpellare e motivare dai valori autentici che fioriscono intensamente e dinamicamente nella Chiesa di oggi, al fine di vivere in modo più decisivo e coerente gli elementi essenziali e concomitanti del nostro carisma comboniano.

- Cf. Lettera del Consiglio Generale a tutti i confratelli su "Formazione e Istituto", Roma 25 Dicembre 1993.

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«È di particolare importanza avvertire e rispettare l'intrinseco legame che esiste tra la formazione precedente l'ordinazione e quella successiva. Se, infatti, ci fosse una discontinuità o perfino una difformità tra queste due fasi formative, deriverebbero immediatamente gravi conseguenze sull'attività pastorale e sulla comunione fraterna tra i presbiteri, in particolare tra quelli di differente età. (…)

Proprio perché la formazione permanente è una continuazione di quella del Seminario, il suo fine non può essere un puro atteggiamento per così dire professionale, ottenuto con l'apprendimento di alcune tecniche pastorali nuove. Deve essere piuttosto il mantenere vivo un generale e integrale processo di continua maturazione, mediante l'approfondimento sia di ciascuna delle dimensioni della formazione — umana, spirituale, intellettuale e pastorale —, sia del loro intimo e vivo collegamento specifico, a partire dalla carità pastorale e in riferimento ad essa». (Pastores Dabo Vobis,71).

«L'intero Popolo di Dio, in tutti i suoi membri, può e deve offrire un prezioso aiuto alla formazione permanente dei suoi sacerdoti. In questo senso deve lasciare ai sacerdoti spazi di tempo per lo studio e per la preghiera, chiedere loro ciò per cui sono stati mandati da Cristo e non altro, offrire collaborazione nei vari ambiti della missione pastorale, specialmente in quelli attinenti la promozione umana e il servizio della carità, assicurare rapporti cordiali e fraterni con loro, agevolare nei sacerdoti la coscienza di non essere « padroni della fede » ma « collaboratori della gioia » di tutti i fedeli (cf. 2Cor 1, 24)» (PDV 78).

Huánuco, Novembre-dicembre 1993
Casavatore 2018