In Pace Christi

Molon Carlo

Molon Carlo
Data urodzenia : 09/05/1902
Miejsce urodzenia : Volpino di Zimella VI/I
Śluby tymczasowe : 01/11/1921
Data śmierci : 14/08/1926
Miejsce śmierci : Legnago/I

            Tra le carte accuratamente conservate dal p. Federico Vianello, ho trovato alcune letterine a lui scritte dallo scolastico Carlo Molon, a cui si rivolgeva come padre spirituale e perché si interessava in modo particolare degli ammalati. Ho pensato che valga la pena di farle conoscere, pubblicandole per intero, dopo una breve introduzione, perché meglio di ogni mia parola, aiutano a captare il clima del tempo.

            Carlo Molon fu mio compagno a Brescia, Savona e Verona per l0 anni. Nel Libro del Noviziato della Congregazione dei Figli del S. Cuore, egli scrisse di sua mano, come tutti i candidati, i suoi dati anagrafici (p . 83, n. 323): «Io, Molon Carlo, figlio di Adolfo e di Bà Maria, nato a Volpino (Vicenza) il 9 maggio 1902, proveniente dalla Scuola Apostolica di Brescia, sono entrato nel Noviziato di Savona il 2 ottobre 1919, e ho vestito l'abito religioso nel primo novembre dello stesso anno, in qualità di studente». Sotto, p. Faustino Bertenghi aggiunse: «Fece i voti a Venegono il 1 novembre 1921 ». E dopo una crocetta: «+ Morì santamente il 14 agosto 1926 nel tubercolosario di Legnago».

            Strano che mentre lui scrive «figlio di Adolfo», il certificato di battesimo rilasciato dal parroco di Volpino lo dica figlio di «Pandolfo», come anche, copiandolo, p. Angelo Abbà, superiore dell'Istituto Comboni di Brescia, nel presentarlo alla curia vescovile per la cresima il 4 giugno 1914. Qualunque fosse il nome del genitore, egli era veronese civilmente. Volpino è una frazione del comune di S. Stefano di Zimella in provincia di Verona, anche se figura nell'annuario pure come frazione di Arcole, sempre in provincia di Verona. Ma spiritualmente egli si diceva vicentino, perché le parrocchie comprese nella zona di Sambonifacio e Cologna Veneta appartengono alla diocesi di Vicenza. E vicentino lo era Molon per il suo carattere e la parlata con le squillanti sibilanti e la caratteristica «z».

            Il certificato di battesimo del parroco porta la data 5 settembre 1913, e del 6 dello stesso mese e anno è l'attestato scolastico del maestro Vittorio Carpenedo: «Dichiaro che l'alunno Molon Carlo ha costantemente tenuto ottima condotta, che ha cercato con premura e diligenza eccezionali di trar profitto dall'insegnamento e che, sebbene promosso con classificazioni mediocri, non è sfornito di intelligenza». P. Luigi Molinaro, nativo pure di Volpino, ricorda di aver avuto come insegnante lo stesso «ottimo maestro» per la III classe elementare a S. Stefano di Zimella, perché a Volpino c'erano soltanto la I e II classe. Si può supporre che altrettanto sia stato per Molon, che nel 1913 passò all'Istituto Comboni di Brescia.

            Non ho trovato alcun cenno sull'origine della sua vocazione missionaria . Considerando però che p . Molinaro fu ordinato sacerdote a Verona il l0 agosto 1912, e che andò a «cantare la Prima Messa» a Volpino il 15, festa dell'Assunta, e che vi ritornò il l0 dicembre per dare l'addio a parenti e conoscenti, anche se solo per un paio di giorni, prima di partire per l'Africa il 13, le missioni e il nostro istituto in particolare erano certo ben noti in paese. Fu questo probabilmente il dato determinante per la sua vocazione missionaria 1.

            Nel primo anno scolastico a Brescia, 1913-14, frequentò probabilmente quella che si chiamava allora «preparatoria» al ginnasio, corrispondente alla V elementare, e nell'anno successivo, 1914-15 la prima classe del ginnasio. Quando io lo raggiunsi a Brescia nel 1915, l'ebbi infatti come compagno nella seconda ginnasiale al Collegio Arici, dove allora ci recavamo per la scuola.

            Piccolo, come me, benché avesse due anni di più, Molon mi fu assegnato come compagno di «fila», come allora si usava quando si usciva di casa. Magro e vivacissimo, non stava mai fermo. Anche quando era ritto in piedi, continuava a dimenarsi: un vezzo da cui stentò a correggersi.

            Vivacissimo com'era, non mancava di giocare qualche tiro a chiunque. Aveva una bella voce pastosa di contralto, e spesso veniva scelto per eseguire assoli in chiesa o trattenimenti.

            Era di candore e semplicità evidenti. Il maestro di Volpino l'aveva dichiarato di buona intelligenza, ma la sua timidezza e incertezza lo faceva apparire meno dotato di quanto lo fosse in realtà; suppliva però con la sua applicazione veramente encomiabile. Sapendo di non emergere, si riteneva molto al di sotto delle sue vere capacità; non ci teneva a far bella figura, ma voleva evitare brutti voti per non venire bocciato a fine anno: la promozione alla prima sessione era allora la condizione «sine qua non» per restare nell'istituto. E lui voleva diventare missionario ad ogni costo. E ce la metteva tutta, fino a rendersi importuno col suo compagno di fila ... perché nel tragitto da Viale Venezia al Collegio Arici si usava ripetere le lezioni, e lui non mollava. Recitava lui la lezione, fermandosi ogni tanto per avere conferma o correzione, o per riprendere il filo, e avanti finché non avesse finito.

            Nel 1919 entrammo in noviziato a Savona, dopo 4 anni insieme a Brescia. Il primo anno in un'ala del seminario diocesano, appena sgomberato dalle autorità militari che durante la guerra l'avevano usato come ospedale, l'anno successivo nella villa del seminario, detta Loreto per una chiesetta dedicata alla Madonna sotto quel titolo, e che era un cenobio certosino. La località era molto esposta ai venti che scendevano lungo la valle del Lettimbro. Fu un inverno molto freddo. Caldo era invece il clima del noviziato.

            Basta dare il nome dei novizi di quegli anni per farsi un'idea del fervore che vi regnava - fervore era il termine d'uso per indicare il novizio impegnato: Amleto Accorsi, Edoardo Mason, Roberto Zanini fino al 1920; i nostri compagni di primo anno Giuseppe Agostini, Gaetano Briani, Emilio Doneda (defunto durante il primo anno di noviziato), Stefano Patroni, Fernando Sembiante, Pio Tonelli (morto in Cairo nel 1936), e i fratelli Giovanni Fochesato, Angelo Frigerio, Giovanni Gatti, oltre ai sacerdoti Giuseppe Rinaldo e Pietro Valcavi. Tra i nuovi entrati nel 1920: Angelo Barbisotti, Pietro Brambilla, Tarcisio Massironi (morto santamente a Kayango nel 1935), Antonio Todesco e i fratelli Giuseppe Federici, Gaspare Lazzari, Paolo Vantellino e Pietro Farinati.

            Si è accennato che Molon non nascondeva i suoi limiti, anzi si notava in lui quasi uno sforzo per metterli in evidenza. Ecco il giudizio che ne diede il padre maestro Faustino Bertenghi: «1.5.1920 - Di molto buona volontà, ma molto facile a spaventarsi per cose da nulla. Mi pare ancora molto ragazzo per la sua età. Ingegno mediocre, un po' debole negli studi. Un po' timido e meticoloso. Molto vivace. Salute buona, ma di costituzione un po' debole».

             Una parola di spiegazione quanto alla riuscita negli studi. Nel primo anno di noviziato non si frequentava scuola regolare, dedicando tutto il tempo alla formazione. Di conseguenza in quell'anno si dimenticava quanto si era appreso negli anni precedenti, specialmente di latino e greco. Quindi in classe si appariva facilmente al di sotto del livello degli alunni regolari; tanto più che nel liceo del seminario di Savona avevamo due impareggiabili professori di italiano, latino e greco, piuttosto esigenti e stretti di manica. Così si spiegano varie insufficienze nelle pagelle trimestrali e anche agli esami finali per alcuni novizi del primo corso liceale 1920-21. Molon poi, con la sua semplicità, si fece talora compatire dai più sofisticati professori e seminaristi. Una volta, in una ripetizione in cui c'entrava S. Bonaventura, egli credette di rendere l'idea della «mistica» del santo, dicendo che «andava in cimbalis».

            Un'altra volta il professore d'italiano, rettore del seminario, venendo a parlare del paradiso, espresse la sua idea personale che si accontentava di arrivare appena dentro della porta. Con sua meraviglia s'accorse che Molon faceva cenni di dissenso, e gli chiese s'era di parere diverso. «Certo» rispose «io voglio andare il più in alto possibile».

             Il 16 luglio 1921 il noviziato fu trasferito da Savona a Venegono Superiore. Dopo la professione nella festa d'Ognissanti i neoprofessi giunsero a Verona il 2 novembre 1921. Lo studente Molon continuò nel suo fervore nell'ambiente più disteso dello scolasticato, e si trovò meglio anche negli studi, dato che i professori del seminario di Verona non erano in genere tanto severi, e fu promosso alla fine del II e III corso liceale e con bei voti anche al termine del I corso teologico.

            Ma non poté completare il secondo anno di teologia. Diverse volte durante l'inverno soffrì per raffreddori persistenti, tanto che in una ripetizione uno dei professori, Angelo Grazioli, gli raccomandò di stare attento, di curarsi la salute. Ma era troppo tardi. Subito dopo ebbe uno sbocco di sangue. Non si può dire quanto ne restasse depresso: non sarebbe dunque arrivato al sacerdozio? Non poteva più essere missionario? Ci volle tutta l'arte persuasiva di p. Vianello per sollevarlo dal suo avvilimento: poteva ancora guarire. Fu tale l'effetto di questo incoraggiamento paterno che il mattino dopo, come se niente fosse, si alzò con gli altri e andò a lavarsi ai lavandini comuni. Chi lo vide ne fu allarmato. Poco dopo una seconda emottisi. E allora p. Vianello a spiegargli di nuovo che poteva si guarire, ma che era necessario sottostare a certe norme, usare precauzioni, fare delle cure, ecc. e si adattò a rimanere a letto e stare quieto, per quanto gli era possibile.

            Il diario dello scolasticato di Verona riporta il 2 aprile 1925: «Fr. Molon a letto con la febbre alta». E il 14 successivo, dopo aver accennato alla partenza degli Scolastici per Venegono aggiunge che restano a Verona «Fr. Beggiato e Fr. Molon perché malati e bisognosi di cure speciali».

            Ritornati gli scolastici a Verona, il 6 novembre il diario scrive: «Fr. Molon sempre malato». Ma era in casa, mentre pochi giorni dopo il cronista scrive: «Giovedì, 24 novembre, giunge lettera di Fr. Molon ove dice che si trova bene». Era stato ricoverato nel sanatorio di Ponton in riva all'Adige, nel comune di S. Ambrogio di Valpolicella ma a pochi chilometri da Verona. Risalgono a quel periodo di due mesi circa le sue due prime lettere senza data, ma evidentemente del dicembre 1925, perché nella prima scrive: «si ricordi di me nel giorno dell'Immacolata » (8 dicembre), e nella seconda ricambia gli auguri «di ottime feste natalizie».

             La terza lettera fu scritta da Legnago, perché non parla più di «stufa e di Adige» , ma di «termosifoni» e di «trovarsi non bene, ma ottimamente ». Chi direbbe che scrive da un sanatorio dove era stato confinato per guarire, se possibile, ma anche per non contagiare i suoi compagni?

            La malattia purtroppo continuava il suo corso. Il diario degli scolastici nota il 28 marzo: «Fr. Molon sempre uguale, il male fa la sua strada. Tutti preghiamo e speriamo in S. Giuseppe».

            Durante l'estate gli scolastici erano a Venegono. Il 5 agosto il diario annota di aver ricevuto da Verona «una cartolina del p. Vianello che ci annuncia Fr. Molon essere malato grave, aver ricevuto l'Estrema Unzione e il Viatico ieri dal p. Zanta. Noi preghiamo». E il 16 agosto : «Alle l0 giunge un telegramma spedito da Verona ieri: MOLON IERSERA IN CIELO - VIANELLO».

            «Il caro confratello fece gli studi ginnasiali nella Scuola Apostolica di Brescia. Con edificazione di tutti compì il suo noviziato e da 5 anni era scolastico in Verona. La sua condotta sempre esemplare faceva piacevole la sua compagnia. Pieno di zelo e di fervore con slancio parlava della propria santificazione, della Madonna. dei poveri neri dell'Africa. Allevato alla scuola del Cuore divino di Gesù imparò a gustare il sacrificio e l'immolazione. E al Cuore di Gesù fece sacrificio della sua vita per un confratello gravemente malato. Il confratello guarì e ora è in Africa, e lui pochi mesi dopo sentì gravi gli inizi della malattia dolorosa. Nelle passate vacanze (1925) a Verona migliorò un poco, ma al tornare della stagione fredda cominciò di nuovo a soffrire. Al sanatorio di Ponton, ove stette circa 2 mesi, fu di molta edificazione e operò del bene. Passò poi a Legnago, ove per tutto il tempo fu l'apostolo consolatore dei suoi compagni degenti, che egli sollevava moralmente con facezie e coll'esercizio della sua completa rassegnazione alla volontà di Dio. Nel mese di maggio trattenne tutti i giorni i degenti con brevi fervorini sulla Madonna.

            «Le sue lettere che ci inviava (in archivio è rimasta soltanto quella del 4 febbraio diretta a p. Giorgetti, n. 5) ci manifestava la sua prontezza a lasciare questa terra per il cielo. In questi ultimi tempi si era offerto al Signore vittima col sacrificio della sua vita per i poveri neri.

            «Un'ora prima di morire domandò della carta e scrisse: "Domani è l'Assunta in cielo; io credo e spero di non godere la dimani in questa vita, ma, di godere le delizie del Paradiso".

            «La sua bontà e la sua santità erano già trapelate fuori del sanatorio e molti lo visitavano, e all'annuncio della morte il popolo accorse numeroso. Spirò alle 13 di sabato 14: aveva ricevuto i Sacramenti e fatto i Voti perpetui. Ora dal cielo, caro Fr. Molon, prega per noi tuoi addolorati fratelli e ottienici tante grazie perché possiamo farci santi e salvare tante anime al Cuore di Gesù di cui fosti tanto amante».

            Le notizie ci furono confermate il giorno seguente da p. Paolo Meroni, Superiore Generale, p. Vianello e p. Bini, giunti in treno da Verona. Andammo ad incontrarli alla stazione di Venegono. I primi due approfittarono della carrozza della casa, mentre p. Bini venne con noi a piedi, e cammin facendo ci raccontò quanto sapeva sulla morte edificante del caro compagno, e ci fece leggere anche un trafiletto sul giornale di Verona scritto dal cappellano di Legnago, mons. Mantovani, che ne parlava con ammirazione, per il buon esempio dato a tutti nel sopportare la sua malattia, per l'apostolato esercitato dentro e fuori dell'ospedale, ma soprattutto per il suo ardore missionario: parlava dell' Africa come se avesse dovuto andarvi il giorno dopo : «lo sono missionario dell' Africa», diceva.

            Non resta che leggere le sue lettere per apprezzarne il candore e lo spirito che l'animava.

Da P. Leonzio Bano, Profili Comboniani 1, p. 53-62

1. Ciò mi fu confermato dal p. Molinaro al suo passaggio da Roma ultimamente. Mi disse che quando era in paese, il piccolo Molon lo seguiva ovunque e non sapeva distaccarsi da lui . Si vede che la vocazione missionaria era già spuntata e si preparava a seguire il suo concittadino missionario.

Da Bollettino n. 130, novembre 1980, p.53-57