In Pace Christi

Vitti Uberto

Vitti Uberto
Data urodzenia : 10/01/1899
Miejsce urodzenia : Cortesano TN/I
Śluby tymczasowe : 01/11/1918
Śluby wieczyste : 08/12/1923
Data święceń : 14/06/1924
Data śmierci : 03/11/1987
Miejsce śmierci : Venegono Superiore VA/I

Erano le prime ore del 2 settembre 1912. Col vestito delle feste indosso e il passaporto austriaco in tasca, Uberto Vitti lasciava Cortesano, il suo paesello di 250 abitanti, per ini­ziare quella che sarebbe stata l'av­ventura più bella della sua vita: sa­cerdote missionario.

Nell'aprile del 1906 la morte era venuta a battere alla porta di quella casa piena solo di bocche da sfama­re. Il papà, al ritorno dal campo, ac­cusò i brividi della febbre. Si mise a letto e, poco dopo, morì stroncato dalla polmonite.

Fu un colpo durissimo. Mamma Rosa, benché poverissima, non si perse d'animo. Animata da una fede viva nella Provvidenza, si caricò tutto il peso da sola e portò avanti la fami­glia. Lavorava di giorno e di notte e faceva pregare i suoi bambini ricor­dando loro gli episodi evangelici de­gli uccelli del cielo che vengono nu­triti da Dio, e dei gigli del campo che sono vestiti dal Signore. Nessuno dei suoi figli perse un giorno di asilo o di scuola.., e ogni giorno, grazie anche alla carità della gente, riuscì a dar lo­ro il cibo necessario.

La vocazione

Il primo ricordo della mia vocazio­ne - scrisse p. Vitti - risale all'età di 10 anni. La mamma era andata a Trento a trovare mons. Antonio Tait, presso il quale aveva lavorato come domestica fino al matrimonio. Dopo sposata, andava di tanto in tanto per consigli e per portargli le primizie del campo.

Quel giorno dunque, appena rien­trata in casa, le fummo tutti attorno per vedere che cosa ci avesse portato di buono.

Aprì il cestello e tirò fuori qualche regaluccio. Cose da poco, perché po­veri. Poi, con nostra sorpresa, ci mo­strò tre corone del rosario regalatele dal Monsignore proprio per i tre ra­gazzi più grandi...".

Mons. Tait si era intrattenuto a lungo con mamma Rosa e le aveva chiesto che cosa intendesse fare dei suoi cinque figli.

"Non vorrai che restino tutti conta­dini! Uno o l'altro potrebbero imparare qualche arte o mestiere. Meglio ancora: non saresti contenta se alme­no uno si consacrasse al Signore co­me sacerdote o missionario?”

"Altro se sarei contenta, anche tutti e cinque!"

"Allora porta a casa queste corone e regalale ai più grandi. La Madonna farà il resto".

Quando la mamma raccontò il fat­to e chiese chi di loro voleva farsi missionario, tutti alzarono la mano dicendo: "Io, io!". Ella fissò gli occhi su Uberto e disse: "Tu!" Gli conse­gnò la corona e gli disse di pregare tanto e di pensarci su.

Come tutti i ragazzi, Uberto era molto vivace e amante del gioco. Prediligeva quello con le palline, di cui era esperto. E di palline aveva sempre piene le tasche tanto che la mamma gli diceva: 'Te me roti tute le scarsele (mi rompi tutte le tasche)'. A scuola otteneva sempre i più bei voti perché era molto diligente e stu­dioso. Quando il maestro diceva alla mamma che il suo bambino era il più bravo di tutti, lei sorrideva di soddi­sfazione e si divertiva a guardarlo mentre studiava e scriveva. Alla sera era ancora Uberto a ricordare ai fratellini che era il momento di comin­ciare il rosario".

In base a queste testimonianze pos­siamo vedere l'origine della grande devozione alla Madonna, che è stata la caratteristica fondamentale della vita sacerdotale di p. Vitti. Egli tra­sferì nella Madre di Dio l'amore fat­to di sacrificio, la dedizione senza ri­sparmio, la costante preoccupazione della sua mamma per i cinque orfani. Ella trasmetteva tutti i giorni ai figli la convinzione che "la Madonna è la più assidua, la più attenta, la più amorosa delle mamme".

La scuola del dolore che segnò l'in­fanzia di p. Uberto e determinò il suo cammino spirituale, gli insegnò che ogni sofferenza è resa sopporta­bile dalla presenza della mamma, a sua volta specchio e segno dell'altra Mamma.

Nel seminario comboniano di Brescia

A Brescia, Uberto fu particolar­mente fortunato.

Il superiore, p. Angelo Abbà, era un milanese giovanissimo che amava veramente i ragazzi e sapeva ottene­re la disciplina senza farla pesare. Scrive p. Vitti: "Ci teneva conferenze di mezz'ora più volte alla settimana; ci insegnava a pregare e come com­portarci a scuola, con i superiori e con i compagni. Le sue lezioni di ga­lateo erano perfette. La messa era quotidiana; la comunione, però, fa­coltativa. Ogni mattina ci dava il pensiero del giorno che chiamavamo meditazione. Ogni settimana veniva un sacerdote dalla città e tutti si an­dava a 'fare bucato' con una buona confessione.

Il superiore sapeva anche tenerci allegri. Giocava con noi, come uno di noi. Era il nostro amico. D'inverno, alla sera, qualche volta ci portava a teatro presso il Collegio Arici dove andavamo a scuola, ovvero dagli Ar­tigianelli; oppure ci faceva i buratti­ni. Ognuno poteva andare libera­mente a trovarlo in stanza e a dirgli tutto ciò che voleva. Egli ascoltava e dialogava proprio come un fratello maggiore".

Il lungo silenzio

Durante i cinque anni di ginnasio i seminaristi comboniani non andava­no mai a casa per le vacanze. Queste si facevano nella casa di Solato (Brescia) tutti insieme, e duravano dai primi di luglio a metà settembre. Poi tornavano a Brescia per prepararsi alla scuola. Solo dopo la quinta gin­nasio i giovani andavano a trascorre­re tutte le vacanze in famiglia. Era una gioia attesa da tanto tempo, ma anche una prova. Infatti, chi era de­ciso a proseguire doveva fare do­manda per essere ammesso al novi­ziato. C'era sempre qualcuno che dalle vacanze non tornava più.

Per p. Uberto questo piano andò a vuoto. Nel 1915 era scoppiata la guerra tra l'Italia e l'Austria. Il Tren­tino era territorio dell'impero Au­stro-Ungarico e le comunicazioni con l'Italia vennero interrotte. Salta­rono quindi le vacanze e anche le co­municazioni epistolari. Fu un mo­mento difficile. Solo nel 1917, attra­verso la Croce Rossa svizzera che aveva fatto delle ricerche, i familiari vennero a sapere che Uberto si tro­vava nel noviziato dei Comboniani a Savona. Era in buona salute e conti­nuava regolarmente gli studi.

Novizio

Il 16 settembre 1916 Uberto era partito con alcuni compagni alla vol­ta del noviziato che, a causa della guerra, da Verona era stato trasferito a Savona, di fronte ai mare, in una località chiamata Lavagnola.

Oltre che della bella vista e dell'a­ria pulita, i novizi potevano usufruire di un vasto appezzamento di terra che una buona signora aveva gratui­tamente dato loro in uso .

P. Giuseppe Bernabé, maestro dei novizi, registrò il cammino nella via della perfezione che il giovane face­va di mese in mese. "Mostra un desi­derio sempre più intenso e continuo di migliorarsi. È un giovane vera­mente serio che cerca di dare il mas­simo in tutto. Non trova grandi diffi­coltà nella vita religiosa".

Il 25 marzo 1917, festa dell'Annun­ciazione, Uberto si consacrò alla Madonna con la formula di san Luigi Grignon de Montfort, divenendo 'schiavo d'amore'.

Ad alcuni quella parola 'schiavo' non andava, in quanto la Madonna è una mamma e non una padrona. Vit­ti dirà: "Se avessi creduto di più al Montfort e mi fossi impegnato più generosamente, avrei fatto voli d'a­quila e non da gallina nella vita spiri­tuale".

Il primo novembre 1918 emise i Voti di povertà, castità e obbedienza che lo consacrarono missionario nel­la Congregazione dei Missionari del Cuore di Gesù.

Il 4 novembre la guerra finì. Tutte le campane di Savona squillarono a festa, e le sirene del porto fecero sentire il loro urlo che, questa volta, era di gioia.

Ma già la terribile 'spagnola' mie­teva tante vittime. E questo costitui­va un triste contrasto con la voglia di vivere portata dalla pace.

Pochi giorni dopo Uberto partiva per Verona munito di passaporto, perché si era ancora in zona di guer­ra. Da Verona proseguì per Trento, ormai italiana, e salì a Cortesano ad abbracciare i suoi, dopo tanti anni di ansiosa attesa.

Si recò quindi a Verona, per fre­quentare nel seminario di quella cit­tà la seconda e terza liceo e la prima teologia. Poi, nel settembre del 1921, fu trasferito nel seminario comboniano di Brescia come assistente dei ra­gazzi che, come lui tanti anni prima, avevano lasciato la famiglia attratti dall'ideale missionario.

Il 14 giugno venne ordinato sacer­dote nel Duomo di Brescia da mons. Giacinto Gaggia.

Nel segno della malattia

Dopo le vacanze, tornò a Brescia. Qui una nuova e grandissima croce lo aspettava. Egli stesso scrisse: "Il 30 giugno 1924, durante la predica a chiusura del mese del Sacro Cuore, tenuta da p. Federici, ho avuto uno sbocco di sangue. Finita la predica mi sedetti all’harmonium per il Te Deum e la benedizione. Poi a letto. Il medico, prontamente chiamato, dia­gnosticò che si trattava di tubercolo­si. Dopo una settimana mi portarono a Verona, dove mi sottoposero alle cure del caso.

La febbre era persistente e mi in­deboliva ogni giorno di più. Arrivam­mo intanto alla novena della Madon­na Assunta. La pregai con fervore, e con me pregava molto anche la mamma che diceva: 'Non è possibile, Madonna santa, che tu abbia chiamato mio figlio a studiare tanto e a diventare missionario per poi farlo morire così giovane e senza aver compiuto la sua missione'.

Le preghiere della mamma furono efficaci e, proprio la mattina della fe­sta dell'Assunta, mi accorsi che la febbre era completamente scompar­sa.

I medici attribuirono la guarigione alle cure (anche se allora la TBC era chiamata il male che non perdona), ma io, invece, sapevo bene da dove era venuta.

Dopo qualche settimana anche le forze cominciarono a tornare. P. Meroni, che era superiore generale, mi disse: 'Visto che ti sei ripreso, ma sei sempre piuttosto gracile, ti mando in Egitto. Il clima mite ti rimetterà in forma molto bene. In seguito potrai proseguire il viaggio nelle missioni tra gli Scilluk, nel cuore dell'Africa'. Insieme ad altri confratelli, il 31 otto­bre 1924 mi imbarcai per il Cairo".

P. Vitti non era fatto per l'Africa. Dopo un anno e mezzo la malattia si risvegliò, per cui dovette tornare d'urgenza in Italia. Era l’8 aprile 1926. Dopo un anno di permanenza a Trento, la salute era rifiorita.

"Vedi mamma - diceva quando an­dava a Cortesano - la Madonna mi vuole guarito, ma non mi vuole in Africa. Mi pare che questa sia una grazia a metà, perché io sono missio­nario".

"Per me è una grazia giusta - ri­spondeva la mamma -. Ci sono anche qui tante anime che hanno bisogno del sacerdote... Basta che tu sia un sacerdote santo".

Dopo un anno di permanenza a Trento (1927-1928), i superiori de­stinarono p. Vitti a Venegono Supe­riore con l'incarico di vice padre maestro dei novizi e confessore. Vi rimarrà fino al 1936. Generazioni di novizi attingeranno da lui l'amore al­la Madonna e vedranno in quel con­fratello, sempre sereno e sorridente, l'esempio di un uomo che ha capito come l'abbandono totale alla volontà del Signore sia la medicina più sicura per superare gli inevitabili guai della vita.

Mente e cuore

La devozione alla Madonna, abbia­mo detto, è stata l'asse portante della spiritualità di p. Vitti. Ma che tipo di devozione era? Esaminandola - nella misura in cui è possibile intravedere dall'esterno il mistero di Dio in ogni singola anima - ci accorgiamo che es­sa costituiva il limite e la grandezza di p. Vitti.

Egli vedeva la Madonna dapper­tutto. Credeva ciecamente alle appa­rizioni senza il minimo spirito critico. Ciò che riguardava la Madonna era tutto e sempre vero... e via di seguito. Qualche teologo, a sentire p. Vitti, avrebbe potuto sentirsi rizzare i ca­pelli.

Eppure i concetti teologici del pa­dre sulla Madonna erano perfetti: nessun errore, nessuna eresia. Tra lui e il teologo c'era una semplice differenza: quest'ultimo ragionava con la mente, p. Vitti con il cuore.

Si potrebbe dire che vedeva la Ma­donna in modo umano, affettivo, proprio come si rapporta un figlio con la propria mamma. E quando c'è questo rapporto tra due persone, si accettano e si scusano tante cose.

P. Vitti partiva dal dato di fatto che la Madonna è presente nella storia dell'uomo e nella storia della Chiesa, che è madre e mediatrice, che è av­vocata e ausiliatrice, che è sempre pronta a soccorrere e che è onnipo­tente per grazia, che è il vertice mas­simo, per una creatura, di tutte le virtù, che è l'Immacolata e la Madre di Dio... Cose tutte vere e proclama­te solennemente anche nell'ultima Enciclica di Giovanni Paolo II, 'Ma­dre del Redentore'. Di qui la sua conclusione: se la Madonna è pre­sente, perché non può farsi anche ve­dere? Perché non può parlare? Per­ché non può mandare i suoi messag­gi per dare una mano a questi suoi fi­gli molto spesso discoli o scapestra­ti? E se può farlo, perché non do­vrebbe farlo? Perciò lo fa, come fa­rebbe la più affettuosa delle mamme con un figlio che è nel bisogno. Dopo una breve esperienza a Padova (1937-38) come padre spirituale dei ragaz­zi, venne invialo a Venegono Supe­riore come confessore (1938-41), per passare a Thiene come padre spiri­tuale ('41 - '45).

Superiore... fallito

Quando i superiori tentarono di mettere il padre come vice-superiore a Verona (1945-46), fu un disastro. P. Vitti aveva ormai conformato il suo cuore a quello della mamma. Per fare il vice superiore occorre averlo anche da... papà.

P. Longino Urbani racconta un episodio abbastanza ameno a questo proposito. "Nel primo anno che gli studenti di liceo andarono a Segonzano per le vacanze, p. Vitti fu inca­ricato come superiore 'ad interim', cioè per quei tre mesi. Non ha mai esercitato il suo incarico. Erano al­cuni studenti che determinavano l'o­rario, le gite, i lavori... e, senza alcu­na esperienza e buon senso, le va­canze divennero una confusione tre­menda che provocò l'esaurimento in più d'uno. Sì, tutti comandavano, ec­cetto lui!... P. Vitti è sempre stato un ottimo esempio di obbedienza, non di comando".

"Nel 1946 mi fecero superiore an­che a Verona al posto di p. Capovilla che era andato in visita alle missioni - scrisse il padre - ma lo fui per mo­do di dire. In pratica facevano tutto gli altri".

La lunga giornata di Gozzano

II 29 luglio 1948 la sede del novizia­to comboniano fu trasferito da Venegono Superiore a Gozzano, in pro­vincia di Novara. P. Vitti vi era già arrivato da qualche mese, giusto in tempo per assistere al passaggio del­la Madonna Pellegrina (11 -12 - 13 -14 luglio) e per raccomandare alla Madre di Dio la nuova opera che stava per avere il suo inizio.

Non immaginava, il padre, che la sua giornata gozzanese si sarebbe protratta ininterrottamente per 30 lunghissimi anni. Anni fruttuosi e in­tensi.

Non vi è casa a Gozzano e nei pae­si vicini nella quale il padre non sia entrato per asciugare lacrime, per confortare, per dire a coloro che stavano per lasciare questo mondo che lassù, tra poco, si sarebbero incon­trati con la Mamma e avrebbero vi­sto lo splendore del volto di Dio.

Dice il parroco di Gozzano, don Carlo Grossini: "P. Vitti è una nuova gloria che si aggiunge alle glorie del­la tradizione di questa terra. In tutti c'è una grande ammirazione per quest'uomo che ha dedicato molti anni della sua vita alla comunità gozzanese. È ricordato principalmente come l'uomo buono, l'uomo spiritua­le e di preghiera. In p. Vitti colpiva il costante sorriso e stupiva la capacità di riportare ogni discorso ai temi re­ligiosi. Resta memoria della sua grande capacità di far pregare persino una grande assemblea popolare come quella che, nel 1978, si è riuni­ta in sala consiliare quando le autori­tà comunali gli hanno conferito il ti­tolo di gozzanese benemerito. Non ha voluto, in quella circostanza, tenere grandi discorsi, ma ha invitato a recitare insieme un'Ave Maria tra la sorpresa e l'imbarazzo di qualcuno che gli era quasi al fianco e forse non ricordava neppure quella preghiera".

II carisma di saper ascoltare

P. Vitti era un uomo attento alle persone, alla singola persona. Posse­deva questo dono in modo eminente e lo usava in particolare con le per­sone sofferenti. Entrava nelle case dei malati, si sedeva e ascoltava sen­za mai mostrare di avere fretta. Per lui quella persona era tutto, in quel momento, e non c'era altro al mon­do. Alla fine, parlava lui. Parole so­brie, semplici, dette sottovoce e piene di amore verso Dio e verso quella persona oggetto dell'amore di Dio.

P. Zagotto, che è stato superiore e padre maestro a Gozzano dal 1963 al 1969, dice: "P. Vitti si è lasciato spre­mere dalla gente. Era sempre pronto di giorno e di notte, con la pioggia, con la neve e il ghiaccio. Più di una volta è caduto andando a piedi o in bicicletta. Ad un certo punto gli si procurò un motoscooter perché po­tesse muoversi meglio, ma dopo un'ennesima caduta, lo facevo ac­compagnare da un novizio con l'au­to. Temeva di disturbare; d'altra par­te desiderava andare, e subito, do­v'era chiamato. Molte volte era cer­cato più per un capriccio che per ve­ra necessità, eppure non si è mai ti­rato indietro, anche se certe uscite gli costavano molto quanto a fatica. Sì, alla gente di Gozzano e dei paesi vicini p. Vitti ha dato tutto se stesso senza risparmio e senza distinzioni".

Don Carlo Grossini aggiunge: "P. Vitti ha fatto migliaia di visite nelle case dove c'erano dolore, sofferenza e morte. Egli ha seguito le tappe del­la vita di coloro che si sono affidati al suo ministero sacerdotale".

La sua attività si estendeva ovunque ci fosse un'anima bisognosa. Il diario annota: "Primo aprile 1960. C'è la prima comunione di un solda­to, assistito in presbiterio da p. Vitti che lo ha preparato a quel solenne momento".

L'attenzione alle persone si esten­deva anche ai ragazzi. Scrive p. Pri­mo Biolo: "Un pomeriggio, sotto la finestra della mia stanza, c'erano al­cuni ragazzini che giocavano rumo­rosamente al pallone. Mi davano un po' di fastidio. All'improvviso ci fu un silenzio assoluto. Andai a vedere. Trovai p. Vitti seduto con attorno tutti quei ragazzi che ascoltavano le sue parole con molta attenzione. Certamente parlava loro della Ma­donna".

Il padre si interessò anche per tro­vare lavoro ai disoccupati che si rac­comandavano a lui. Anche in questo si lasciava guidare dal cuore e dalla compassione, per cui prese dei grossi abbagli. Molti dei suoi raccomandati non avevano trovato lavoro perché... non avevano voglia di lavorare. I da­tori di lavoro, per l'amore che porta­vano al padre, ricevevano anche quei 'disoccupati' ma, dopo un po', erano costretti a licenziarli. P. Vitti, quan­do veniva a conoscenza del fatto, si limitava a dire: "Poverini, poverini!" Non si accorse mai che al mondo ci sono anche degli imbroglioni. Altret­tanto dicasi per i poveri che venivano a battere alla porta. Non seppe mai distinguere i veri bisognosi dai soliti furbi. Egli, che era stato povero sul serio, non riusciva ad immaginare che qualcuno lo potesse fare per me­stiere.

Le sue frequenti uscite, con ogni tempo e in ogni stagione, gli procu­ravano frequenti tossi, influenze e bronchiti (anche qualche polmoni­te). Non per questo si risparmiava. 'Le anime - diceva - valgono ben qualche colpo di tosse, dato che a Cristo son costate il sangue!' E se qualcuno gli diceva che in quel modo si accorciava la vita, rispondeva che 'Gesù non ci chiede di vivere a lungo ad ogni costo, ma di amare il prossi­mo finché abbiamo tempo e vita'. Il Signore gli concesse anche una vita lunga".

Addio a Gozzano

Ad un certo punto la sua salute co­minciò a dar segni preoccupanti: tos­se insistente, influenze a catena, di­sturbi circolatori... I missionari di Gozzano si domandavano se era pru­dente tenere un confratello di una certa età, e di salute così precaria, in una casa che diventava sempre più fatiscente e mancante delle minime comodità.

Ormai il padre faceva fatica a cam­minare e aveva dovuto rinunciare al­le sue uscite da casa, anche perché non si trovava chi potesse portarlo con la macchina, essendo i Padri spesso fuori per ministero.

Il passo appariva doloroso, ma or­mai indispensabile e inderogabile. Così p. Vitti venne trasferito nella casa comboniana di Venegono Supe­riore, dove avrebbe ancora potuto esercitare il ministero delle confes­sioni ed essere di esempio ai novizi. In data 25 settembre 1978 il diario registra: "Da oggi p. Vitti fa parte della comunità di Venegono. Ci la­scia dopo trent'anni di apostolato in favore, particolarmente, della gente di Gozzano alla quale si è donato senza risparmio".

Vivere la vecchiaia

È interessante vedere come ha af­frontato la vecchiaia p. Vitti. Una vecchiaia segnata dalla malattia. È un esempio per coloro che stanno entrando in questa fase che Cicerone, nel 'De Senectute', chiama la più bella della vita. Il maestro di elo­quenza latina porta le sue brave ra­gioni. Vitti aveva altre ragioni ancor più convincenti.

In una lettera del 1983 a p. Felice Centis, commenta un articolo appar­so sul Bollettino della Congregazio­ne, scritto dai padri Longino Urbani e Giorgio Canestrari.

Dice: "Sì, la vecchiaia per un vero comboniano deve essere tempo di preghiera e di contemplazione. Tem­po in cui uno, nella serena consape­volezza del prossimo incontro col Si­gnore, intensifica il suo affinamento spirituale; tempo in cui ci si deve staccare sempre più dalle cose della terra per concentrare tutta l'atten­zione verso quelle vere del cielo; tempo di gioia, dunque, tempo di al­legrezza spirituale.

E questa allegrezza deve espander­si anche nella comunità, deve conta­giare coloro che accostano l'anziano, deve creare un clima di primavera tutto intorno".

Il pensiero della morte che poteva capitare da un momento all'altro non lo angustiava, anzi gli era motivo di gioia.

"Riguardo alla mia morte devo dir­le che già dal noviziato ho detto a Dio che l'accetto come piace a lui, compresa l'agonia. Ho rinnovato questo proposito più volte, ma non ci penso e non mi dà preoccupazioni. Mi affido alla Madonna completa­mente".

Al novizio che lo assisteva disse: "Ricordati che chi è devoto della Madonna è già predestinato al para­diso".

Quattro amori

Se volessimo riassumere in poche parole la vita di p. Vitti, dovremmo dire che essa è caratterizzata da quattro grandi amori.

Il primo è stato l'amore all'Istituto, ai confratelli e alla Chiesa. Tutti co­loro che l'hanno conosciuto sono concordi nel testimoniare che non fu mai udito criticare la Congregazione o la Chiesa. Per p. Vitti la carità era superiore a tutto, perfino alla verità. Oggi invece si tende a pensare e dire il contrario; per questo viviamo in un clima di tensioni più acute. P. Vitti soleva dire: "Non c'è verità senza amore".

Il secondo amore fu per i sofferen­ti. Era portato verso di loro dalla sua natura mite, delicata, sensibile. Egli però ha perfezionato questa inclina­zione naturale con tanta preghiera e spirito di sacrificio.

Egli solo, per esempio, riusciva a dare la comunione al confratello p. Luigi Sacco che da 18 anni vive pra­ticamente senza rendersi conto di es­sere al mondo, causa un incidente stradale che gli ha tolto l'uso dell'in­telletto e perciò ha reazioni impreve­dibili.

A Gozzano la gente gli ha scaricato addosso montagne di miserie e di sofferenze ed egli si è fatto carico di ogni cosa, sempre col sorriso. Aveva un particolare atteggiamento di umiltà che gli consentiva di accoglie­re e di convincere gli indisposti, gli irritati... insomma, aveva il cuore mi­sericordioso.

Il terzo amore è stato quello verso la Madonna, del quale già abbiamo parlato.

Il quarto è stato un grande amore a Gesù Eucaristia e alla Santissima Trinità. Se esaminiamo la nostra vita o quella della maggioranza dei buoni cristiani, ci accorgiamo che siamo continuamente immersi nelle faccen­de umane, nei problemi terreni. Ma siccome ogni tanto ci ricordiamo di essere cristiani, ecco che allora tiria­mo dentro Dio in questo guazzabu­glio di cose.

Per p. Vitti era esattamente il con­trario. Egli viveva costantemente im­merso in Dio e, di tanto in tanto, metteva dentro gli affari terreni, dato che la vita è fatta anche di questi. Pe­rò li vedeva e li affrontava alla luce di Dio.

Questa convivenza col Signore gli era fonte di serenità e di pace per cui riusciva anche a dire: "Ti ringrazio Dio, perché le cose non vanno a mo­do mio".

Sempre grazie a questa familiarità, passava molte e molte ore davanti al tabernacolo senza stancarsi, anzi con un gaudio immenso.

In una delle sue ingenue poesie cercò di concentrare il suo amore a Cristo e l'effetto di questo amore che, secondo san Paolo, dovrebbe portarci a dire: 'Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me'. La riportiamo: "Per aver la carità/ vorrei dir la verità/ Vitti Liberto non c'è più/ al suo posto c'è Gesù./ E in chiunque incontrerò/ solo il Cristo io vedrò./ È il comando del Signore/ è la vetta dell'amore./ Mamma cara abbi pietà/ del tuo figlio in povertà/ e se tempo non ho più/ in Te spero e in Gesù". Il suo amore alla Ss. Trinità merita un paragrafo a parte.

Il segno della santità

La vera santità è quella che porta alla Trinità. Maria, Cristo stesso, so­no vie che portano al cuore della Tri­nità. Nelle ultime lettere p. Vitti par­la sempre più frequentemente dello Spirito Santo e diffonde libretti e preghiere che ne propagano la cono­scenza e il culto.

Tutti coloro che andavano a trovar­lo dovevano uscire dalla stanza con una manciata di libretti sullo Spirito Santo da distribuire, da far conosce­re . In una lettera al fratello Giacinto dice: "Oggi, festa del Battesimo di Gesù, vediamo il Padre e lo Spirito Santo che danno testimonianza al Fi­glio Gesù. La Santissima Trinità è il vero paradiso, è il fine ultimo al qua­le tutti tendiamo, è il riposo definiti­vo di ogni cuore".

"L'Eucaristia ci introduce nel mi­stero Trinitario. Se si vedesse Gesù in persona nel fare la comunione, che cosa non faremmo per piacergli? Non si vede niente, non si sente nien­te, eppure la realtà supera ogni im­maginazione" (31 marzo 1985).

Sempre più spesso, specie negli ul­timi tempi, dopo l'immancabile Ave Maria alla Madonna c'era il Gloria alla Ss. Trinità. Anche per questo 'mistero principale della nostra fede' non si avventurava in spiegazioni teologiche; lo meditava, lo contem­plava e diceva che avrebbe costituito il vero paradiso.

Si va a casa

Sabato 10 ottobre 1987 il padre vie­ne ricoverato d'urgenza all'ospedale di Tradate per occlusione intestinale. Sono le ore 22. I medici sono molto perplessi, considerate le condizioni generali del malato. È un tentativo in extremis. L'operazione riesce e il padre si riprende abbastanza bene.

Lunedì 12 ottobre 1987, p. Lorenzo Gaiga, che dal primo dicembre 1986 è il nuovo superiore (l'undicesimo) della comunità di Gozzano, va con p. Simonelli a far visita all'ammalato. Questi è lucido, sereno, senza feb­bre. Parla con facilità e disinvoltura. Cosa dice? Cita a memoria brani di vangelo che si riferiscono alla missio­ne degli apostoli 'Andate in tutto il mondo...'; richiama le sofferenze di Cristo iniziando dalla grotta di Betlemme fino al Calvario; nomina una ad una le Beatitudini e invita i pre­senti a metterle in pratica... Poi parla della vocazione missionaria e del suo anelito perché la Congregazione possa progredire in santità e i suoi membri siano autentici evangelizzatori... Tutti percepiscono che colui che parla è un autentico missionario anche se la sua missione si è realizza­ta tra i cristiani.

Richiesto finalmente della sua sa­lute, risponde: "In paradiso andrà certamente meglio. Lo aspetto, lo aspetto e spero che sia vicino... Già troppo mi ha fatto attendere il Si­gnore... Sì, sì, ormai sono stanco di stare su questa terra... Vedere il Si­gnore faccia a faccia!... La prima che incontrerò sarà la Madonna... Oh! spero proprio che manchi ancora poco...".

Il padre si riprende tanto da poter lasciare l'ospedale e ritornare a Venegono. Ma poi inizia il crollo. I medici dicono che sarebbe inutile un ul­teriore ricovero.

È spirato alle ore 16 e un quarto del 3 novembre 1987.

Ritorno a Gozzano

In un baleno tutta Gozzano seppe che p. Vitti era morto e che sarebbe stato sepolto nel locale cimitero, se­condo il suo desiderio. Il parroco, don Carlo Grossini, disse che doveva essere messo nella tomba dei sacer­doti "perché è uno di noi".

Alla mattina seguente i Comboniani, la parrocchia e l'Amministrazione comunale dettarono alla tipografia i testi dei tre manifesti che, tuttavia, vennero esposti solo il giorno dopo verso mezzogiorno, vigilia dei fune­rali che avrebbero avuto luogo giove­dì 5 a Venegono e nello stesso giorno alle ore 16 a Gozzano.

I Comboniani organizzarono un pullman per portare la gente da Gozzano a Venegono e per accom­pagnare poi la salma nella Basilica di Gozzano, dove sarebbe stata esposta per qualche ora prima dei funerali. Questo particolare era scritto, con l'orario di partenza, sui manifesti murali. Alla sera di mercoledì 4 nella cappella dei Comboniani ci fu il ro­sario in suffragio del defunto al qua­le parteciparono una quindicina di persone.

Al mattino dopo, alle ore 8, il pul­lman era pronto in piazza del Croci­fisso per la partenza. Stranamente c'erano solo nove persone, compreso il signor Rocco Fornara, in rappre­sentanza dell’Amministrazione co­munale e mons. Giuliano Ruga, che rappresentava gli altri sacerdoti im­possibilitati a lasciare il paese. La ditta Godi, allora, cambiò mezzo prendendone uno più piccolo.

Don Carlo, arrivato al momento della partenza del torpedone, rimase sorpreso nel vedere così poca gente e disse: "Ma è questo l'amore di Gozzano per p. Vitti?”

A Venegono i funerali furono mol­to solenni per la partecipazione del popolo e dei sacerdoti. Nei nove an­ni di permanenza in quella sede il padre si era fatto amare.

Alle ore 13 il carro funebre e il pul­lman entrarono nella piazza della Basilica di Gozzano. Ad attendere c'era solo don Carlo. Gli autisti del carro funebre e del pullman, il si­gnor Fornara Rocco, il parroco e i missionari trasportarono la bara in chiesa.

Alle ore 16 seguirono i funerali. Nella Basilica, tra i gozzanesi, si no­tava anche la presenza di una qua­rantina di persone (parenti e amici) arrivati da Cortesano. Durante la messa parlarono p. Gaiga e don Car­lo. Questi, dopo aver ricordato quan­to il padre aveva fatto per Gozzano, disse: "II bene compiuto dai sacerdo­ti è facilmente dimenticato".

Si giunse al cimitero che era quasi buio. Qui il Sindaco disse belle paro­le atte ad illustrare la figura di que­sto 'cittadino onorario' che aveva di­stribuito per trent'anni speranza, fi­ducia e pace in tante famiglie, e si rallegrava che avesse scelto proprio questo paese per il suo riposo eter­no.

Il suo grazie era il grazie di tutto il popolo che anche se non immediato nel manifestare i propri sentimenti, li coltiva tuttavia nel profondo.

Essendo la tomba dei sacerdoti in fase di ristrutturazione, la salma fu deposta provvisoriamente accanto al signor Giuseppe Sottini che gli fu in vita grande amico e benefattore.

Il Sindaco aveva ragione: davanti al loculo di p. Vitti ci sono sempre fiori freschi e si vedono persone che pregano. Vanno ancora a chiedere buo­ni consigli e favori. Ora, che certa­mente si trova vicino alla Madonna, potrà fare molto di più di quanto ha fatto durante la sua esistenza terre­na.

Ai suoi confratelli comboniani il padre lascia l'esempio di un uomo di pietà, di zelo per le anime, di pre­ghiera, di amore profondo alla Ma­donna e di come si possa essere au­tentici missionari anche quando la salute impedisce di partire per la ter­ra dei propri desideri.                         P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 158, luglio 1988, pp. 43-54