In Pace Christi

Celi Celestino

Celi Celestino
Data urodzenia : 01/10/1948
Miejsce urodzenia : Tortoreto TE/I
Śluby tymczasowe : 09/09/1970
Śluby wieczyste : 09/09/1973
Data święceń : 20/04/1974
Data śmierci : 26/03/1988
Miejsce śmierci : Bossangoa/RCA

            I confratelli della Repubblica Centrafricana hanno scritto un opuscoletto di 32 pagine, tratteggiando la figura e la spiritualità di questo missionario stroncato da un grave incidente nel pieno vigore delle sue forze. Con padre Celestino è scomparso un evangelizzatore di tutto rispetto. Basti pensare che, da tre anni, copriva la carica di Vicario generale nella diocesi di Moundou, nel Ciad.

            Leggendo in chiave di fede la morte di questo missionario di 39 anni, c'è da esclamare: "E' perché ha saputo piacere a Dio, che Dio lo ha chiamato a sé". E poi viene spontanea una riflessione che ci riporta all'esperienza del Comboni: la vita viene valutata non per gli anni che noi viviamo, ma per il modo con il quale li viviamo. In poco tempo si può vivere una lunga esistenza.

            Elementi fondamentali della personalità di padre Celestino sono stati: la capacità di dialogo, la disponibilità senza misura, la pazienza, il senso di comunione e collaborazione, la sua dedizione per l'unità e l'armonia tra gli agenti pastorali, le qualità di amministratore prudente... Questi elementi sono l'eredità più bella che il Padre ci lascia.

All'insegna del dolore

            Tortoreto è uno splendido paese, ricco di vestigia antiche, appollaiato sopra un colle di fronte al mare di Giulianuova, tra San Benedetto del Tronto e Pescara.

            Celestino, secondo di due fratelli, nacque un mese dopo la morte del padre, deceduto per le conseguenze della guerra. Per questo ne ereditò il nome. Mamma Adelina Branciaroli, donna di profondissima fede, si caricò il peso della famiglia e lo portò coraggiosamente con l'unico aiuto della Provvidenza. Il parroco di Tortoreto, don Corrado de Antoniis, rilasciando un giudizio sulle condizioni morali della famiglia, prima della partenza di Celestino per il seminario missionario di Sulmona (1960), sottolineò la parola "sanissime".

            Dopo la quinta elementare, Celestino abbracciò la mamma e il fratello Biagio, e partì per Sulmona dove i Comboniani avevano un seminario. Il giudizio degli educatori fu positivo, anche se riscontrarono nel ragazzino tanta timidezza e un certo nervosismo.

            Agli esami di quinta ginnasio (1965), un famigerato quattro in matematica lo rimandò a settembre. In condotta, diligenza e religione, però, spiccavano tre bei dieci. Ciò sta ad indicare che il giovane si era impegnato dando tutto il meglio di sé.

Illeso nella burrasca

            A Carraia (Lucca), tra gli anni 1965-1968, Celestino frequentò il liceo classico coronando sempre la sua pagella con dieci in condotta, in diligenza e in religione. Carraia fu un po' la prova del fuoco per i liceali di quel periodo. Già spirava aria di contestazione, per non dire di rivolta a tutto e a tutti. Furono proprio gli studenti che arrivavano da Carraia, a far chiudere il noviziato di Gozzano (17 maggio 1969). Il fatto indica il grado di ebollizione al quale erano arrivati certi cervelli. La crisi, tuttavia, più che nei giovani, era negli educatori (leggi superiori) che si dimostravano contraddittori nel condurre la formazione dei futuri missionari. (Per avere una "velata" descrizione degli avvenimenti, si può confrontare la piccola biografia di padre Vitti, uscita recentemente).

            Fortunatamente Celestino fu inviato nel noviziato di Firenze dove l'atmosfera, pur surriscaldata, era meno rovente. Vi entrò l'8 ottobre 1968 ed emise i primi Voti il 9 settembre 1970.

            I padri Antonio Colombo e Giovanni Ferracin, suoi maestri, scrissero di lui: "Salute buona. Ragazzo a prima vista anticonformista e ruvido, ma che nasconde un buon fondo di bontà e una sincera ricerca del valore e serietà della vita. E', tuttavia, soggetto alle incoerenze dell'età. Ha molte capacità; è intelligente e ha soprattutto iniziativa. Dà l'impressione di uno che si è dovuto fare da sé e per questo è necessario un colloquio schietto di base. Più contestatore a parole che non nella pratica, mostra lodevole impegno nel cammino di perfezione e nell'attaccamento alla sua vocazione missionaria. Deve approfondire ulteriormente le sue convinzioni di fede e lo spirito di preghiera".

            Da parte sua, Celestino aveva assicurato: "Dichiaro di accettare in pieno la Congregazione così come essa mi viene presentata dai Documenti capitolari".

Verso il sacerdozio

            Al termine del noviziato, Celestino fu inviato a Roma per i corsi teologici che frequentò, per tre anni, presso la Pontificia Università Gregoriana.

            Con la preoccupazione scolastica, il giovane candidato al sacerdozio aveva anche un'altra preoccupazione ben più grande: quella di programmare al meglio la sua vita spirituale. I punti sui quali si proponeva di avanzare, possono essere riassunti in poche parole: approfondimento della vita di fede; identificazione missionaria; vita comunitaria più sentita; maggiore intensità nell'apostolato; costante esercizio per una sempre più perfetta pratica dei Voti.

            Nei tre anni che lo separavano dai Voti perpetui, lavorò intensamente se stesso, tanto che, alla fine, il suo formatore, padre Francesco Pierli, poté scrivere di lui:

            "Si è senz'altro notato il passaggio da un sentire la vita e i fatti non più su di un livello razionalistico, bensì su quello della fede. Ciò ha causato in lui un maggiore senso di serenità e di speranza. Si è pure notata una crescita nella capacità di ascolto della Parola di Dio e nella preghiera. Anche la sua preghiera comunitaria è più convinta e continuativa. La vita di fede e la sua notevole identificazione al Cristo, gli hanno fatto superare brillantemente le sberle della vita, le croci e gli imprevisti.

            I problemi della missione - prosegue padre Pierli - e anche quelli della Congregazione lo hanno interessato e lo interessano sempre di più. Celestino è pienamente convinto che la vita missionaria è la sua vita, anche se non ne parla tanto. Questa specie di pudore di parlare del suo futuro e della sua vita è una caratteristica degli uomini della sua terra: l'Abruzzo.

            Ragazzo fondamentalmente timido e schivo, ha approfondito la capacità di rapporto interpersonale. Ha abbattuto certi steccati diventando più immediato e trasparente. Ha imparato a lavorare in equipe in un modo superiore alla media dei suoi compagni. Per Celestino questo è stato un grosso progresso. Poiché entra in rapporto personale profondo con coloro a cui è unito quotidianamente dallo stesso lavoro, riuscirà bene nella vita comune. Si è impegnato lodevolmente nell'apostolato insegnando catechismo nella parrocchia. Anche se apparentemente sembra mancargli lo sprint, ha una notevole ricchezza interiore.

            Vive la povertà come impegno nel lavoro e mettendo in comune ciò che ha in mano. Quanto a castità è capace di un buon rapporto con qualsiasi tipo di persone, anche con ragazze, senza tuttavia lasciarsi coinvolgere dal punto di vista affettivo-emotivo. Quanto ad obbedienza è capace di attenersi alle indicazioni e orientamenti comunitari e dei superiori. Di lui ci si può fidare.

            La struttura personale di Celestino - conclude padre Pierli - sia dal punto di vista spirituale che umano, gli permetterà di lavorare con serietà per la costruzione del Regno di Dio nel campo missionario, oltre che a crescere ulteriormente nei punti in cui i suoi limiti sono maggiormente accentuati".

Redattore di Nigrizia a Verona

            Per attuare le norme della "Ratio Fundamentalis" che prevedono il curriculum teologico dei candidati al sacerdozio in un triennio più un anno di pastorale, Celestino venne inviato a Verona come aiutante nella redazione di Nigrizia.

            Già nei tre anni di Roma aveva dato buona prova di sé come scrittore curando la redazione di Combonianum, un lavoro che lo aveva appassionato e interessato.

            Giunse nella città scaligera il primo luglio 1973 e vi rimase fino al 31 gennaio 1974. Il ricordo che lasciò di sé in Casa Madre fu quello di un giovane serio, umile, sereno, dall'atteggiamento sdrammatizzante, sempre pronto a un benevolo sorriso. Nei momenti di tensione, accendeva una sigaretta esclamando: "Fumiamoci sopra". Col gruppo redazionale, sia di Nigrizia come del Piccolo Missionario, si trovò bene e fece trovare bene anche gli altri. Era un caro amico, sempre disponibile a dare una mano senza farla pesare e sempre pronto a dire la parola di incoraggiamento.

            Sempre a Verona, il 9 settembre 1973, emise i Voti perpetui nelle mani di padre Olindo Spagnolo, superiore della Casa Madre. E' bella la formula che egli coniò per l'occasione. Eccola:

            "Signore, le mie vie ti sono tutte familiari, e poni la tua mano su di me. Nella tua bontà mi hai rivolto l'invito a seguirti. Eccomi! Oggi, alla presenza di questi fratelli e nelle mani del reverendo padre Olindo Spagnolo, delegato del superiore generale, io, Celestino Celi, consacro la mia vita alle missioni, secondo le Costituzioni e lo spirito della Congregazione dei Figli del Sacro Cuore di Gesù con i Voti perpetui di castità, povertà e obbedienza.

            Signore Gesù, tu che hai accettato la morte di croce per restare fedele al piano del Padre, concedimi il dono della fedeltà, perché possa essere un segno verace del tuo amore nel mondo. Vergine Madre, sii sempre la mia guida".

            Venne ordinato sacerdote a Tortoreto dal Vescovo di Teramo il 20 aprile 1974, in un clima di festa e di intima familiarità. Una scena è rimasta impressa nei fedeli: prima di entrare in chiesa, vescovo e ordinando (quest'ultimo vestito in borghese), sostarono sulla porta a terminare la sigaretta che avevano iniziata (tutti e due) durante l'attraversamento della piazza. Giunti alla cicca, la gettarono a terra, la pestarono col piede, e poi il Vescovo disse: "Ora possiamo andare". Tutta la Redazione di Verona era presente. Padre Lorenzo Gaiga, allora direttore del Piccolo Missionario, girò un filmino super otto della cerimonia, che oggi, sicuramente, sarà tanto gradito alla mamma e al fratello Biagio.

            Col passaggio della Redazione di Nigrizia da Verona a Roma, anche padre Celestino si trasferì nella sede comboniana di San Pancrazio. Vi rimase dal febbraio del 1974 al luglio del 1977. In questo periodo fece alcuni viaggi in Africa come corrispondente e giornalista. Il contatto con la realtà africana lo preparava alla vita missionaria che, tra poco, sarebbe diventata la sua unica passione. Ma quale fu la sua amarezza quando gli arrivò la proposta dal padre generale di andare in Portogallo per prendere in mano la rivista Além-Mar. Fortunatamente il progetto fu insabbiato e padre Celi poté ancora sperare di raggiungere la missione vera e propria.

Missionario in Centrafrica

            L'opzione missionaria di padre Celi era per il Mozambico, se i superiori lo avessero mandato in Africa, o per il Brasile se fosse stato inviato in America Latina. E portava una serie di argomenti per sostenere queste sue preferenze. Al termine della lettera al padre generale, tuttavia, dichiarava la sua piena disponibilità ad andare dove l'obbedienza lo avrebbe destinato.

            Il 12 gennaio 1978 giunse a Bangui, in Centrafrica. Venne assegnato alla comunità di Doba in Ciad, e lavorò per sei anni come curato. Lavorò molto bene perché le persone della sua zona lo hanno sempre ricordato con simpatia e riconoscenza. Sapeva "perdere tempo" con la gente, ascoltarla senza dare segni di impazienza e poi aiutava come poteva.

             Il Ciad fu tormentato dalla guerra e dalla fame. Padre Celestino divenne per i suoi fedeli un punto sicuro di riferimento. Anche se non poteva soddisfare le esigenze della gente, perché la missione era nella povertà più estrema, tutti si allontanavano soddisfatti per le buone parole che avevano ricevuto.

            Sua grande preoccupazione è stata quella di lavorare con la gente e di formare solide comunità cristiane. Per arrivare a questo, ha curato in modo particolare la formazione dei catechisti e dei capi comunità. Credeva molto nella gente del luogo ed era persuaso che, una volta responsabilizzata, avrebbe saputo disimpegnarsi da sola.

            Padre Celestino, con la sua calma e il suo bel modo di fare, è riuscito a creare una buona armonia tra i missionari della zona. Bisogna tener presente che aveva da fare con gruppi piuttosto eterogenei composti da francesi, italiani, canadesi, svizzeri.

            Credeva molto nelle vocazioni locali e nel clero autoctono, del quale aveva grande stima. Durante un'assemblea provinciale di missionari comboniani, egli caldeggiò con massima convinzione la collaborazione tra comboniani e sacerdoti autoctoni. "In questo modo - affermava - i sacerdoti ciadiani e centrafricani possono constatare di persona come il missionario vive la sua testimonianza evangelica e il suo essere al servizio del Vangelo nella vita religiosa. Ciò può essere loro di arricchimento".

Non era la sua ora

            All'inizio del mese di settembre del 1984, mentre si recava da Doba a Bangui per partecipare al consiglio provinciale, padre Celestino è stato preso di mira dai Codos. Il parabrezza dell'auto andò in frantumi, e la pallottola penetrò nella portiera sinistra, passandogli davanti agli occhi.

            Nonostante questo fatto, padre Celestino non diminuì il suo amore alla gente, né gli passò per la mente l'idea di lasciare la missione. Anzi, appunto per questa situazione di pericolosità dovuta alla guerriglia e a tanto odio, sentì con maggior urgenza la necessità della presenza dei missionari in zona. Una sua lettera, scritta poco prima della morte, sottolinea il suo amore al popolo provato da tante sofferenze. Ne riportiamo qualche brano. "Moundou 1 marzo 1988. Questa mia lettera vuole essere un grido d'allarme per chiedere aiuto. Per la nostra gente si preparano mesi difficili. I raccolti agricoli di quest'anno sono scarsissimi: le piogge non sono state regolari e gli insetti hanno completato l'opera. Per i prossimi mesi, quindi, si prevede la fame. Molti dicono: 'Quest'anno moriremo!'. Lo dicono semplicemente, senza angoscia, come un'evidenza ineluttabile. Ma se per la gente la morte è una cosa ineluttabile, per noi missionari, che di certo non moriamo di fame anche se manchiamo di molte cose, il problema è una spina nel cuore: non possiamo accettare di restare senza far niente di fronte a questa tragica situazione. Stiamo spingendo gli Organismi internazionali a intervenire, ma per il momento nulla si muove. E allora? Ci stiamo organizzando alla meno peggio perché i contadini non vendano il loro miglio a commercianti che lo metterebbero da parte per rivenderlo il più caro possibile tra qualche mese. Stiamo organizzando dei 'comitati' che dovrebbero comperare il miglio, metterlo da parte e ridistribuirlo più tardi. E' un'iniziativa che ci costa cara, ma è indispensabile. Ci riuscirò? Non lo so! Io ci provo, anche se so bene che il tutto non è che una goccia d'acqua...".

            Nel 1985 padre Celestino ha partecipato a Roma al Capitolo generale della Congregazione come rappresentante dei confratelli del Centrafrica e del Ciad. Qualcuno dei suoi interventi in favore della sua Provincia è stato determinante per la Provincia stessa.

Vicario generale

            Il 14 novembre dello stesso anno, mons. Balet, vescovo di Moundou, incoraggiato anche dai suoi sacerdoti, lo scelse come suo vicario generale. E non si pentì, perché padre Celestino fu subito definito "il padre della riconciliazione e dell'amicizia". Padre Rustighini dice che questa nomina costò molto a Celestino perché lo toglieva dalla brousse, che tanto amava, e dal contatto con la gente semplice.

            Più che soffermarsi sulle piccole cose che dividevano i missionari dai sacerdoti locali, il novello vicario generale cercava i punti di contatto per sviluppare sempre di più l'unità e la comunione, base di ogni evangelizzazione.

            Padre Celestino era stimato da tutti e costituiva il punto di convergenza delle opposte opinioni. Scrive ancora padre Rustighini: "Prima di pronunciarsi ascoltava attentamente per cogliere il nocciolo delle questioni, sia personali che comunitarie. Esponeva poi il suo punto di vista, frutto di una riflessione precedente e di una valutazione dei vari elementi emersi nel confronto, sottolineando, con calore anche, ciò che lui riteneva utile o necessario. Tutto ciò senza imporre nulla e sforzandosi sempre di giungere a una soluzione equilibrata. Parlava lentamente, quasi a fatica, cercando le parole giuste, misurate, chiare. Ritengo che per queste sue doti abbia sempre goduto la stima e l'ammirazione dei confratelli e dei sacerdoti".

            La vita e l'attività missionaria di padre Celestino camminava su questa strada, quando intervenne il doloroso e inaspettato incidente.

Ha versato tutto il suo sangue

            Il 26 marzo, dopo una settimana trascorsa a Bangui, padre Celestino era in procinto di tornare a Moundou. Lasciò la Casa Comboni verso le ore 13 e 30 insieme a padre Paulino Sánchez. Al mattino padre Celestino era stato in garage per far controllare la vettura che faceva dei rumori strani. Due ammortizzatori, infatti, non erano ben fissati.

            Percorsero la strada asfaltata fino a Bassambelè, poi proseguirono sulla pista con il selciato abbastanza buono. Poco lontano da Bossangoa cominciò a piovere. Una pioggia leggera, ma sufficiente perché la vettura non sollevasse più polvere e non disturbasse, così, la gente che camminava lungo la strada.

            Verso le 17, notando che sulla pista si erano formate larghe e profonde pozzanghere, padre Celestino disse: "Qui è pure piovuto". Furono le sue ultime parole. Prima di attraversare l'ultimo villaggio alla periferia della città, la strada discendeva leggermente, poi risaliva e curvava a destra. La velocità era normale. Tuttavia, fatta la curva, le ruote posteriori sbandarono a sinistra. Padre Celestino cercò di controllare il mezzo lavorando sullo sterzo...

            "Dopo quei due colpi di volante - racconta padre Paulino - sentii un gran rumore e capii che la vettura si ribaltava, perché prendevo colpi da tutte le parti. Fu una cosa di pochi secondi durante i quali chiusi gli occhi e, istintivamente, mi portai le mani alla testa. Quando la vettura si fermò era sulle sue ruote. Aprii gli occhi e, con stupore, non vidi padre Celestino al suo posto, accanto a me. Spalancai la portiera e uscii. Non lo vidi ancora. Allora cominciai a chiamarlo ad alta voce andando dietro la macchina.... Celestino era là, sulla terra, dietro alla ruota sinistra. Mi inginocchiai accanto a lui e lo chiamai più volte. Avevo paura a toccarlo pensando che potesse avere delle vertebre rotte nel qual caso ogni movimento poteva essergli fatale. Il Padre era con la pancia a terra, il braccio sinistro piegato all'ingiù e quello destro all'insù. La gamba destra piegata e quella sinistra allungata. La testa, ripiegata sul lato sinistro, era in un lago di sangue. Mi feci coraggio e lo girai sul dorso. Respirava ancora. Gli sollevai un poco il capo. Fece due respiri profondi, poi...più nulla.

            Ricominciava a piovigginare; la mia confusione aumentava. Gridai soccorso, ma nessuno si avvicinava: la gente del villaggio, presa dalla paura, era fuggita.

            Finalmente arrivarono due uomini. Il più piccolo era il capo del villaggio e mi disse che Bossangoa non era molto lontana, e partì immediatamente verso la città in cerca di soccorsi. Il secondo mi aiutò a mettere padre Celestino al riparo perché minacciava un furioso temporale.

            Gli feci il segno della croce sulla fronte e ricoprii la sua testa con una salvietta. Poi mi sedetti al suo fianco, per terra, e cominciai a pregare il Padre nostro e l'Ave Maria... Forse mezz'ora dopo, arrivò un commerciante. Al mio segnale si fermò e gli chiesi di avvertire la missione cattolica. Mi rispose che avrebbe informato anche la gendarmeria.

            Nel frattempo raccolsi le nostre cose sparse qua e là. Gli occhiali di padre Celestino erano ancora intatti. I miei, invece, erano rotti. Quindi andai a vedere il posto dove la macchina era uscita di strada. Vi era una buca notevole sulla strada. In essa era caduta la ruota anteriore facendo rotolare la macchina. Contai 35 passi da quel punto fino al posto dove si trovava la vettura. Poi tornai vicino a Celestino.

            Intanto arrivarono i gendarmi e due laici del vescovo di Bossangoa. I due laici furono come due angeli custodi. Misero il corpo del Padre in una vettura per condurlo all'ospedale. Ciò era necessario per esplicare le modalità del caso.

            Alle 19,30, approfittando della trasmissione sulle condizioni del tempo, inviai un messaggio a Bangui attraverso la gendarmeria. Il corpo del Padre, intanto, venne portato nel cortile dell'episcopio. Subito, numerosi cristiani cominciarono la veglia di preghiera che si protrasse per tutta la notte. Quanto a me, mi sedetti accanto a lui e tenevo lo sguardo fisso sulle sue mani, una sull'altra, con il rosario che gli avevo messo tra le dita. Non dicevo nulla, non pensavo nulla. Continuavo a guardarlo. Solo ad un certo punto pensai alla sua mamma, a suo fratello, ai suoi cristiani... e pregai per loro, per la Congregazione, per la diocesi di Moundou. E rinnovai la mia consacrazione alle missioni come aveva fatto Comboni di fronte alla salma di padre Oliboni...

            Alle 4,15 arrivarono i padri Michele Russo ed Euro Casale. Attesero che fossero esplicate le formalità e, alle 7,15, potemmo partire per l'ospedale di Bangui. Vi arrivammo alle 11,00.

            L'immagine che mi porto dentro - conclude padre Paulino Sánchez - è questa: Celestino ha coltivato questa parte d'Africa con il suo lavoro missionario. Poi lo ha irrorato con il suo sangue. Ciò è di buon auspicio per la Chiesa, in modo particolare per l'incremento delle vocazioni, sia in Africa come in Europa".

Ritorno a Tortoreto

            I funerali, presso la cattedrale di Moundou, ebbero luogo il 30 marzo, giovedì santo, alle ore 9,00. Tra i concelebranti c'era l'arcivescovo, mons. Joachim N'Dayen; il pro-nunzio, mons. Beniamino Stella; il vescovo di Bossangoa, mons. Sergio Govi, la comunità di Doba, i preti della città di Bangui, suore e fedeli.

            Mons. Balet, che presiedeva la concelebrazione, disse tra l'altro: "Desidero molto ringraziarvi e ringraziare il Signore per averci donato Celestino come fratello e amico. Avevo bisogno di uno dei padri comboniani, e mi hanno dato colui che era il più capace.... Grazie a mons. Govi e alla comunità di Bossangoa che hanno fatto la veglia di preghiera per Celestino... Grazie a tutti voi per essere venuti qui a causa di Celestino, a causa della vostra fede nella risurrezione, della nostra fede nella comunione dei santi... Ringrazio i vescovi qui presenti, l'arcivescovo, il pro nunzio, che era con me quando abbiamo appreso la triste notizia. Vorrei pure trasmettere i ringraziamenti di tutti i  sacerdoti della diocesi di Moundou. Noi avevamo pianificato da tempo un incontro presbiterale per una revisione di vita sulle nostre relazioni tra preti, e tra preti e laici. Celestino arrivava per partecipare a questo incontro. Questo incontro ha avuto luogo, ma invece di fare tanti dibattiti, abbiamo pregato. Penso che questo sia il messaggio che Celestino ci ha lasciato attraverso la sua morte. Celestino ha lavorato tanto per questa unione tra sacerdoti e tra sacerdoti e fedeli. Più che esaminare chi ha torto o chi ha ragione, il suo sangue sparso ci ha fatto mettere tutti in umile disponibilità e in atteggiamento di preghiera e di ascolto davanti al Signore. Io penso che questa sia la grazia più grande che ci ha ottenuto dal cielo".

            Padre Michele, dopo aver sottolineato gli aspetti del ministero sacerdotale e missionario del Confratello - specie per quanto concerne l'unione e la concordia tra i sacerdoti, il dialogo con i fedeli e l'impegno per l'incremento e la formazione del clero indigeno - ha concluso dicendo: "Quando il cammino di un missionario è segnato dalla croce, è un buon segno". Con queste parole il padre provinciale del Centrafrica-Ciad ha voluto sottolineare il prolungamento del carisma del Comboni in questo suo missionario.

            La salma di padre Celestino, per volere della mamma, è stata portata a Tortoreto ed ora riposa accanto a quella del papà.

            La mamma e il fratello ricevettero dall'Africa lettere e testimonianze commoventi da parte di sacerdoti, di suore e di laici che da padre Celestino avevano ricevuto tanto bene.

            L'eredità che padre Celestino ci lascia è un grande amore all'Africa e agli Africani; una grande capacità di dialogo e l'esempio di una vita donata senza restrizioni o mezze misure. Che per sua intercessione il Signore mandi sante vocazioni alla Congregazione e alla Chiesa africana.                P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 161, gennaio 1989, pp.42-50