Venerdì 10 gennaio 2025
All’inizio del nuovo anno, quanto sta avvenendo sul palcoscenico internazionale, impone l’urgenza di evangelizzare la geopolitica a livello planetario, con particolare riferimento a quelle che Papa Francesco ha definito pertinentemente le “periferie del mondo”. Ciò appare necessario ovunque e soprattutto nell’Africa subsahariana, sicuramente la macroregione più esposta ad ogni genere di turbolenze. (...)
Basti pensare alla competizione in atto tra i grandi player internazionali sul controllo delle commodity (materie prime) di cui è straordinariamente ricco il continente africano. Per non parlare dei continui shock economico-finanziari a cui sono sottoposti i singoli Stati africani che penalizzano le politiche monetarie nazionali, acuendo la vexata questio del “debito”.
Per chiarezza, è bene ricordare che il termine “geopolitica”, oggi molto in voga, venne coniato dal geografo e politologo svedese Rudolf Kjellén e apparve per la prima volta in una sua opera del 1916 (Staten som lifsform, in italiano “Lo Stato come forma di vita”). Discepolo di Friedrich Ratzel, fondatore della geografia umana e della antropogeografia, Kjellén definì la geopolitica «scienza degli Stati come organismi viventi, basata su fattori demografici, economici, politici, sociali e geografici». In altre parole, contestò la caratterizzazione esclusivamente giuridica degli Stati, affermando che “Stato” e “società” non sono opposti ma una sintesi dei due elementi o comunque due facce della stessa medaglia. Lo Stato ha una responsabilità per la legge e l’ordine, ma anche per il benessere/progresso sociale e il benessere/progresso economico. I territori statali sono collegati tra loro in «connessione organica come corpi con cuori e polmoni e parti meno nobili».
Come ogni essere vivente, gli Stati devono espandersi o morire. Ciò non è dovuto alla pura attrazione per la conquista, ma alla crescita naturale necessaria per il bene dell’autoconservazione. Il tema è sensibile e dunque non sorprende se queste idee siano state manipolate dal teorico e militare tedesco Karl Haushofer, il quale le utilizzò per giustificare il piano di espansionismo imperialista del Terzo Reich.
D’altronde, nella storia dell’umanità ci sono sempre state competizioni tra le grandi potenze. Queste, per così dire, fanno parte integrante della Storia dell’umanità. È quanto sta avvenendo anche oggi tra Usa, Cina e Russia. Una corsa per affermare la propria leadership a livello planetario nel prossimo futuro. La rivalità tra questi attori internazionali è legata al controllo di quelle aree geostrategiche che regolano i traffici marittimi e terrestri. Emblematico è il caso della Cina che intende ampliare il proprio raggio d’azione attraverso il progetto di espansione commerciale denominato “Nuova via della Seta” che interessa anche l’Africa. Analogo è il posizionamento della Russia che mira al controllo del Mar Nero, guadagnando così l’accesso al Mediterraneo attraverso lo Stretto del Bosforo. Non va poi sottovalutato l’interesse delle autorità di Mosca nei confronti delle rotte che, attraverso l’Artico, collegano la Cina fino all’Europa e agli Usa.
Naturalmente, Washington non sta alla finestra a guardare e sta giocando direttamente o indirettamente la propria partita sul versante mediorientale e su quello del cosiddetto Indo-Pacifico. La posta in gioco è alta, soprattutto in riferimento al business delle materie prime, quelle di cui sopra, fonti energetiche in primis. Dunque, siamo di fronte a un quadro geopolitico complesso all’interno del quale si muovono queste grandi potenze. Un gioco d’azzardo che potrà essere contrastato solo attraverso una seria riforma delle Nazioni Unite, inclusiva e partecipativa per tutti i membri del consesso delle nazioni. Alla luce di queste considerazioni, è possibile appunto ipotizzare una sorta di “geoteologia” che impronti l’azione pastorale e sociale.
In effetti, come ha rilevato in più circostanze il teologo Vito Impellizzeri, una parte consistente del magistero di Papa Francesco può essere configurata all’interno di una riflessione teologica che trova nel Mediterraneo la propria sintesi e dunque la propria icona. D’altronde, il Mare Nostrum, con tutto il suo carico di contraddizioni (basti pensare al fatto che questo grande bacino si è trasformato in un “Mare Monstrum”, un vero e proprio “cimitero liquido” per tanta umanità dolente che, ad esempio, dalla sponda africana, cercava disperatamente una via di fuga), è geograficamente il crocevia tra meridione e settentrione, tra oriente e occidente.
Pertanto, la Chiesa, in quanto «germe», «segno» e «strumento» del Regno di Dio (Redemptoris Missio 18), non può essere considerata estranea alla fenomenologia geopolitica. Il magistero di Francesco sul Regno di Dio risulta illuminante per contribuire a delineare i tratti distintivi del “Sensus Regni” inteso come consapevolezza e capacità attuativa da parte delle comunità cristiane di condividere la Buona Notizia del Regno con tutta l’umanità come risorsa per la Salus Animarum degli uomini e delle donne del nostro tempo. Non a caso nell’Esortazione post-sinodale Evangelii Gaudium, documento programmatico del suo pontificato, e più precisamente nel quarto capitolo dedicato alla dimensione sociale dell’evangelizzazione, il Papa afferma che «evangelizzare è rendere presente nel mondo il Regno di Dio». Infatti, «leggendo le Scritture risulta chiaro che la proposta del Vangelo è il Regno di Dio (Lc 4,43): si tratta di amare Dio che regna nel mondo. Nella misura in cui egli riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti» (E.G.180).
Ecco allora delinearsi i cosiddetti valori del Regno su cui si fonda la società alternativa di cui il Cristo è latore in forza del mistero pasquale, il trionfo della vita e del bene sulla morte e sul peccato. Essi sono la Pace, la Giustizia, la Solidarietà, la Casa Comune e dunque il Rispetto del Creato. Si tratta di quei valori di cui tutti hanno bisogno per realizzare la propria umanità. Possiamo provare ad esprimere sinteticamente quanto detto affermando che tali valori nella geometria del Regno sono aperti a tutti, senza eccezione. L’unico titolo che deve avere un uomo affinché rientri nel perimetro del Regno è quello di essere uomo. Non ci sono steccati né di razza né di religione né di nessun altro genere che devono erigersi come impedimento a questo progetto. Solo così Dio, il Padre di tutti, può effettivamente regnare manifestando quella unica, vera globalizzazione che ci rende tutti fratelli, per usare l’espressione di Papa Francesco «tutti sulla stessa barca» in quanto «nessuno si salva da solo» (discorso del 27 marzo 2020 durante il lockdown).
La posta in gioco è alta e non v’è dubbio che il contesto geopolitico africano chieda ai credenti consapevolezza e scelte coraggiose, non foss’altro perché mai come oggi le vicende politiche, economiche e sociali di questo continente interpellano la comunità internazionale e in particolare le Chiese, a qualsiasi latitudine esse siano. È pertanto auspicabile un confronto tra geopolitica e geoteologia per ricucire lo strappo tra una visione dei fatti che ne descrive l’evoluzione, le cause e i possibili sviluppi affidandosi al “fato degli dei” e quella di chi si professa cristiano perché animato da un sensus fidei e un sensus ecclesiae, note che caratterizzano una fede cristiana responsabilmente vissuta.