Lunedì 23 dicembre 2024
La Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione” si è conclusa a Roma il 27 ottobre del 2024, senza nessun sconvolgimento degno di nota, tanto nella Chiesa in generale come nell’Istituto missionario comboniano.
Certamente adesso ci troviamo impegnati nella lettura e approfondimento del Documento Finale, che richiederà tempo, mentre rafforziamo la speranza che i principi e la dottrina proposti nel documento si traducano in cambiamenti e riforme significative nella vita della Chiesa e nella sua missione: speranza legittima dopo ormai anni di riflessione, di ascolto reciproco e di conversazione nello Spirito.
Nella misura in cui mi addentravo nella lettura del Documento Finale, cresceva in me il desiderio di rileggere la nostra Regola di Vita alla luce di questo documento, per verificare gli elementi della sinodalità presenti nel nostro testo. Da questo primo confronto e rilettura nasce questa condivisione, che si offre come aperitivo per un esercizio da promuovere tra noi nel futuro immediato.
Sinodalità e Carisma Fondazionale
Il primo punto da registrare è evidenziare la presenza di una visione sinodale già nella formulazione del carisma fondazionale comboniano, nella Sezione Prima della RV.
Il testo sinodale vuole essere una «chiamata alla gioia e al rinnovamento della Chiesa» (3), partendo dalla «comune identità battesimale» (4) di tutti i cristiani: un invito che vuole fare di ogni cristiano un «protagonista della missione poiché tutti siamo discepoli missionari» (4). Il testo della RV afferma che «il missionario comboniano… promuove lo sviluppo di comunità cristiane locali autosufficienti e responsabili della diffusione del Vangelo» (7.1). E in seguito, definisce il comboniano come «fermento di unità tra i vari agenti dell’evangelizzazione» … che «non risparmia sforzi per far crescere la coscienza e l’impegno missionario della Chiesa» (8.1 e 8.2). Daniele Comboni, nelle Regole del 1871, aveva indicato come “scopo” di questo Istituto… «l’adempimento dell’ingiunzione fatta da Cristo ai suoi discepoli di predicare il Vangelo a tutte le genti» (Capitolo I, Natura e Scopo dell’Istituto).
Ma è leggendo la Parte Terza della RV, “Il Servizio Missionario dell’Istituto”, particolarmente i numeri 64 (Ministeri), 68 (Comunità apostoliche) e 70 (Comunità evangelizzatrice), che più risuona questo documento sinodale, soprattutto la sua parte prima “Il Cuore della Sinodalità” (numeri 13-48). Nella RV l’evangelizzazione è fatta risalire alla Trinità, alla missio Dei, e decorre da un incontro con Cristo (56 e 57) e si esprime prima di tutto nella testimonianza personale e comunitaria (58). Il testo sinodale afferma che «la Chiesa esiste per testimoniare l’evento della risurrezione di Gesù» (14) e che la vita cristiana e la missione hanno sorgente e orizzonte «nel mistero della Trinità» (15).
Una visione attuale
La nostra Regola di Vita declina in un modo che possiamo definire profetico e attuale le varie dimensioni/momenti dell’Evangelizzazione: la Testimonianza personale e comunitaria (58) che dà senso alla presenza e al dialogo della vita con le persone e le loro culture; l’Annuncio (59) del mistero di Gesù di Nazaret, in una varietà di forme e metodi che hanno in comune «l’incontro degli individui con la comunità cristiana» e la «condivisione con loro dell’esperienza di fede» (59, 5); la Solidarietà e la Liberazione integrale (60 e 61).
Il processo dell’Evangelizzazione sfocia in tre momenti determinanti: primo, la Nascita della comunità cristiana (62) fondata sull’ascolto della Parola di Dio e che testimonia Cristo nell’ambiente sociale (62.2), rafforzando la dignità di ogni membro e sviluppando la corresponsabilità (62.3). Secondo, l’inizio del cammino d’iniziazione cristiana (63) nel quale il missionario accompagna coloro che hanno accolto la Parola fino al vertice della vita cristiana che «edifica l’unità e apre al servizio della carità». Terzo, la promozione dei Ministeri (64) che è di primaria importanza per la crescita della comunità cristiana.
Tutto il processo dell’Evangelizzazione si sviluppa in Collaborazione con la Chiesa locale (65), in un contesto di Dialogo ecumenico (67) che esclude il proselitismo e cerca la comunione e l’unità, in un impegno per l’Inculturazione del messaggio cristiano (69), in modo che possa «esprimersi secondo il proprio linguaggio, la cultura e le forme religiose proprie». La meta del processo di evangelizzazione è l’affermarsi di una Comunità evangelizzatrice (70), meta che si raggiunge «quando la comunità cristiana diventa autosufficiente, cioè, possiede i suoi ministeri, provvede alle sue necessità e prende parte alla diffusione del Vangelo».
Un richiamo insistente
Il Documento Finale del Sinodo tocca tutte le dimensioni dell’Evangelizzazione presenti nella nostra Regola di Vita, offrendo uno sviluppo naturalmente molto più approfondito e allargato, poiché si tratta di un documento di portata teologica, che vuole offrire una Ecclesiologia aggiornata e arricchita dalla sinodalità.
C’è un richiamo che ritorna di continuo nel testo del Documento Finale: la chiamata alla «comunione, partecipazione e comune missione» alla comune dignità e responsabilità nella vita e missione della Chiesa. In linea con l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II, dignità e responsabilità vengono radicate nel Battesimo (nº 15 e 16) e nei Sacramenti dell’Iniziazione cristiana (21-27) e giustificano una visione sinodale della Chiesa.
Il «radunarsi insieme per dialogare, discernere e decidere» scandisce il ritmo di vita della Chiesa e della Missione. La sinodalità viene definita come «il camminare insieme dei Cristiani… che comporta il riunirsi in assemblea, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi del consenso… e l’assunzione di una decisione, in una corresponsabilità differenziata» (28). Il testo afferma che «si può dire che la sinodalità è un cammino di rinnovamento spirituale e di riforma strutturale per rendere la Chiesa più partecipativa e missionaria».
Questa visione di Chiesa sinodale e missionaria assume la pluralità dei carismi e ministeri e «consente al Popolo di Dio di annunciare il Vangelo agli uomini e donne di ogni luogo e tempo, facendosi “sacramento visibile” della fraternità e dell’unità in Cristo… Sinodalità e Missione sono intimamente congiunte: la missione illumina la sinodalità e la sinodalità spinge alla missione» (32).
Questa visione di Chiesa sinodale e ministeriale richiede una conversione delle relazioni (Parte II, dal nº 49 al 52) e dei rapporti in una ricchezza e varietà di carismi e doni che assicura la crescita e salvaguarda la sua unità, sotto la guida dello Spirito Santo, il maestro dell’armonia ecclesiale (38 e 42). Implica, ugualmente, la valorizzazione dei contesti (53-56), nella varietà dei contesti culturali e religiosi in cui la Chiesa vive e realizza la sua missione. La pluralità di carismi, vocazioni e ministeri per la missione viene, poi, approfondita (nº 57-67) dal punto di vista teologico e spirituale, offrendoci una visione d’insieme e aggiornata su ministeri e ministerialità.
Infine, nella Parte III, il documento presenta la conversione dei processi (79-80) con insistenza sulla necessità di assumere «processi decisionali imperniati sul discernimento ecclesiale»; e «una cultura della trasparenza e del rendiconto» in modo da «rendere conto del proprio operato e valutare l’esito delle decisioni assunte». Questa parte del documento offre una metodologia attualizzata per un discernimento ecclesiale per la missione (numeri 81-94), e si conclude (95-102) con un approfondimento su trasparenza, rendiconto e valutazione.
Soddisfazione e Sorpresa
Questo confronto della nostra Regola di Vita con il Documento Sinodale ci provoca una reazione ambivalente.
Da una parte, un sentimento di soddisfazione per il carattere anticipatorio e profetico del testo della RV comboniana, in piena sintonia con l’ecclesiologia e la missionologia uscite dai documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965), assunti con entusiasmo comboniano nei capitoli generali del 1979 e 1975 e poi passati nella Regola di Vita. Dall’altra, un sentimento di sorpresa nel constatare come, nello sviluppo storico successivo, queste prospettive innovatrici siano state taciute e, in buona parte, abbandonate.
Infatti, se guardiamo a noi stessi con uno sguardo esigente, ci scopriamo all’apposto della visione sinodale già presente nella Regola di Vita. Per fare un esempio, questo vale per ciò che riguarda il numero 68 della Regola di Vita sulle Comunità apostoliche dove, nel testo costituzionale, si afferma che «Per rendere più completa ed efficace l’attività evangelizzatrice, il missionario favorisce il sorgere e lo sviluppo di comunità apostoliche di preghiera e di lavoro fra tutte le forze che si dedicano all’evangelizzazione nello stesso luogo». E, nel testo direttoriale, la RV aggiunge che questo «richiede incontri di riflessione e preghiera, corresponsabilità nella programmazione, esecuzione e revisione del lavoro, una certa comunione di beni, mutua fiducia e una chiara identificazione da parte dell’individuo con la propria vocazione e con l’Istituto».
Il numero 68 della nostra Regola di Vita è, senz’altro, il testo dove risuona con più chiarezza, quasi con le stesse parole, il testo sinodale. Non è scopo di questo confronto dei testi approfondire e trovare le ragioni di questo nostro allontanamento successivo e del perché ci troviamo dove ci troviamo, riguardo alla collaborazione con le Suore Missionarie Comboniane e/o con i Laici, per esempio. Il confronto dei testi ci aiuta, però, a capire dove ci troviamo e a individuare alcune situazioni che richiedono la nostra attenzione davanti allo sviluppo di questa ecclesiologia che mette l’accento sulla sinodalità.
Alcune domande, come conclusione
Il confronto dei testi ci lascia degli interrogativi, che proponiamo al lettore, come conclusione (certi che il lettore ne avrà di suoi). Come mai non siamo stati capaci, partendo dal testo della RV, di dare corpo ad una metodologia di evangelizzazione con cui identificarci e caratterizzare il nostro agire individuale e collettivo (come hanno fatto le nuove comunità e i movimenti ecclesiali sorti nell’immediato post-concilio)? Come mai, passato l’entusiasmo conciliare degli anni 1970, è prevalso, nella cultura comboniana, il sentimento del protagonismo individuale e dell’attivismo (materiale, dando priorità all’azione e alle opere)?! Come mai il modello di missione che abbiamo sviluppato ha incorporato un così alto livello di clericalismo (dipendenza dal ministero ordinato, nelle parole di Papa Francesco) e di dipendenza esterna (materiale e ministeriale) e ha un grande passivo di autonomia e corresponsabilità? Come mai abbiamo permesso che la collaborazione si svuotasse fino a diventare una mera informazione sul che cosa si fa, riducendo a pura formalità la «corresponsabilità nella programmazione, esecuzione e revisione del lavoro» (nel testo della nostra RV al nº 68) e dimenticando che «il camminare insieme dei Cristiani… comporta il radunarsi in assemblea, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi del consenso… e l’assunzione di una decisione, in una corresponsabilità differenziata» (secondo il testo sinodale, al nº 28)?!
A qualcuno queste domande potranno sembrare provocatorie, ma più provocatorie sono le parole della nostra Regola di Vita e del Documento Finale del Sinodo dei Vescovi con la proposta ecclesiologica e missionologica che esse offrono. Ci auguriamo che le prospettive aperte dal documento sinodale, in rapporto alla Chiesa, non abbiano lo stesso destino che in buona parte hanno avuto le prospettive aperte dalla RV in rapporto ai missionari comboniani.
P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj