Martedì 17 dicembre 2024
Kilwiti è il nome della zona pastorale che mi è stata affidata dal Vescovo qualche settimana fa. Non è ancora una parrocchia e nemmeno un vicariato. Lo diventerà nei mesi a venire. Siamo ai primi passi, in una zona molto periferica di N’djamena dove la gente che viene dal sud o che viveva al centro città, si è spostata, ha comperato un pezzo di terreno a prezzi accessibili, ha costruito la casa e vi abita. (...)
Ma non ci sono ancora né strade, né corrente elettrica, né servizi sanitari. Arrivarci è un problema, soprattutto durante la stagione delle piogge, perché tra acquitrini, pozzanghere, buche… il viaggio è piuttosto impegnativo. A causa del terreno sdrucciolevole e argilloso hanno dato a questo luogo il nome di Kilwiti. E una parola araba e significa: “tu scivoli e cadi”: fango durante le piogge, polvere durante la stagione secca. Un nome che è tutto un programma.
Vi sono andato la prima volta domenica 22 settembre, con l’aiuto di un autista esperto. Dopo una quindicina di km di strada asfaltata, abbiamo lasciato l’auto e siamo saliti su due moto che la comunità di Kilwiti aveva inviato per venirci a prendere. E’ stata un’esperienza indimenticabile. Noi non sappiamo cosa significa viaggiare quando non c’è strada. Percorriamo sempre un percorso tracciato, con una direzione definita. Il “nostro eroe” invece è partito e non riusciva a capire che direzione prendeva la strada. Il motociclista faceva il perimetro delle pozzanghere per evitarle, rasentava i muri delle case, passava attraverso i cortili, tornava indietro, scendeva cautamente nelle buche e poi avanti ancora, un po’ avanti e un po’ indietro. Non si vedeva nulla che potesse dare un’indicazione: un grande albero, una costruzione più alta delle altre…. Nulla. Alla fine, dopo scossoni e scivolate, siamo arrivati in uno spiazzo circondato da una siepe e qualche alberello: all’interno una grande folla che ci aspettava e ci ha accolti in quello che viene chiamato “spazio sacro”, perché lì si svolgono le celebrazioni religiose. Nel mezzo, una grande tettoia di lamiera sotto la quale un migliaio di persone si erano riunite.
Oggi, a distanza di due mesi, non ci sono più le pozzanghere e posso dire che sono molto contento del dono che il Signore mi ha fatto affidandomi questa zona pastorale, molto vivace, dove trovo la semplicità della gente dei villaggi e persone professionalmente preparate, impegnate negli uffici e nei ministeri della capitale, che mettono la propria competenza al servizio della comunità.
Domenica scorsa abbiamo accolto ufficialmente i catecumeni che riceveranno il battesimo a Pasqua: 160, tra ragazzi, giovani e adulti. Si stanno preparando frequentando il quarto anno di catechesi che si svolge alla domenica in parte sotto la grande tettoia, in parte all’ombra di tre alberi, in parte nelle aule scolastiche. Sabato hanno avuto una giornata di ritiro e domenica erano tutti puntuali al rendez-vous. Tutto il lavoro di preparazione e di organizzazione è stato fatto dai laici: catechisti, responsabili, animatori di comunità. Poiché il sabato è il giorno del mio servizio al carcere, non ho potuto essere presente per il ritiro spirituale: ci hanno pensato loro e tutto è filato liscio senza il minimo inconveniente.
La zona pastorale è suddivisa in tredici “comunità ecclesiali di base”, ciascuna delle quali ha un luogo in cui si raduna, un responsabile e vari collaboratori per i molteplici servizi. Si ritrovano nei rispettivi quartieri il mercoledì: leggono la Parola di Dio, condividono le difficoltà, affrontano i problemi e cercano le soluzioni. Alla domenica tutti si ritrovano nel grande “spazio sacro” per la messa, la catechesi e gli incontri di valutazione e programmazione dell’attività pastorale. Per cinque domeniche consecutive, dopo la Messa, ho ripreso la formazione sul modello di chiesa che vogliamo realizzare perché gli animatori, i catechisti, i responsabili dei vari gruppi abbiano tutti un obiettivo chiaro sul cammino che tutta la comunità ha scelto di fare.
L’obiettivo è anche quello di coinvolgere più gente e più gruppi possibili in modo che tutti si sentano corresponsabili della vita della comunità: gli incaricati del servizio d’ordine, i chierichetti/e (che hanno un servizio enorme da svolgere: installare ogni domenica il grande crocifisso, il quadro di S. Daniele Comboni, il S. Cuore, rivestire il leggio e l’altare con i drappi dai vari colori liturgici, il turibolo e l’incenso, il pane e il vino per l’offertorio, tenere ferme le pagine del messale in modo che il vento non le scompagini, gestire i microfoni… E poi i lettori, i traduttori, le bambine che danzano e raccolgono le offerte (una quindicina!), i responsabili delle corali (in francese e nelle lingue locali), i suonatori di tam-tam, i catechisti, il responsabile del gruppo elettrogeno, il tecnico per i microfoni e gli altoparlanti (che ogni domenica vengono installati nei quattro punti cardiali e poi rimessi in magazzino, il responsabile degli avvisi a fine Messa… Sono una bella immagine di una chiesa ministeriale e sinodale in cui ognuno offre un servizio diverso per il bene di tutti.
Come dicevo all’inizio, siamo in una zona di estrema periferia, dove mancano i servizi. Ma la gente è sensibile e volonterosa: con la collaborazione di una ONG e la partecipazione di tutta la popolazione (hanno raccolto più di 5.000 € come contributo locale!) sono riusciti a costruire delle aule scolastiche nel terreno adiacente al luogo di preghiera. Hanno creato una scuola privata, frequentata da circa 400 ragazzi, dalla prima elementare alla prima media: ogni ragazzo porta una bella divisa blu, con un’immagine di S. Daniele Comboni poiché la zona pastorale è dedicata al Santo limonese, e paga l’iscrizione in modo da poter retribuire i maestri (50€ al mese!) e far fronte alle spese e ai progetti di sviluppo della scuola. Il desiderio è di avere ogni anno una classe in più fino al liceo…
I Missionari Comboniani in un terreno adiacente stanno costruendo un dispensario dedicato al “Beato P. Giuseppe Ambrosoli”, comboniano, per aiutare soprattutto le mamme e i bambini ad avere un luogo di riferimento ad una distanza raggiungibile. La città con i suoi servizi è lontana! Bisogna prima di tutto ultimare la costruzione e poi darsi da fare per trovare permessi e personale perché il servizio ai malati diventi realtà, senza dimenticare che il primo servizio da rendere è l’evangelizzazione che rende le persone consapevoli della loro dignità di figli di Dio, chiamati ad una vita fraterna e a costruire il Regno di Dio, trasformando le realtà della terra.
Scrivo queste note mentre sulla strada passano decine di giovani in motocicletta, con clacson e fischietti, gridando slogan contro la Francia. Si stanno recando alla manifestazione di sostegno al Presidente, che ha deciso di porre fine alla cooperazione militare francese sul territorio del Ciad. Il tempo dirà l’opportunità di questa scelta. Il Ciad era l’ultimo paese dell’Africa Centrale che aveva ancora una presenza militare francese: ha seguito l’esempio di Niger, Mali, Burkina Faso e Senegal. Riuscirà il nostro paese a mantenersi al di fuori delle pressioni della Russia che nei paesi confinanti sta ingigantendo sempre più la sua presenza e il suo influsso?
Che il Signore Gesù che viene a Natale, sia luce, speranza e gioia per questo popolo e per ciascuna delle vostre famiglie. Nell’attesa della sua venuta rimaniamo uniti nella fede e nella preghiera.
Grazie per il vostro ricordo e il vostro aiuto.
Padre Renzo Piazza, MCCJ
Comboni2000