Venerdì 24 giugno 2022
I partecipanti al XIX Capitolo Generale dei Missionari Comboniani, in corso a Roma dal 1 al 30 giugno, sono stati ricevuto dal Papa Francesco lo scorso 18 giugno, in Vaticano. Dopo l’udienza del Papa ai capitolari dell’Istituto, P. Kibira Anthony Kimbowa, missionario comboniano ugandese, si racconta al giornale del Vaticano “L’Osservatore Romano”. Padre Anthony è parroco della Parrocchia di Nostra Signora d’Africa Mbuya e vice provinciale dei comboniani in Uganda. [L’Osservatore Romano]
In una parrocchia ugandese
dove ogni giorno è Pasqua
«Noi possiamo fare tante cose: iniziative, programmi, campagne... tante cose; ma se non siamo in Lui, e se il suo Spirito non passa attraverso di noi, tutto quello che facciamo è nulla ai suoi occhi, cioè non vale nulla per il Regno di Dio. Invece, se siamo come tralci ben attaccati alla vite, la linfa dello Spirito passa da Cristo in noi e qualsiasi cosa facciamo porta frutto, perché non è opera nostra, ma è l’amore di Cristo che agisce attraverso di noi. Questo è il segreto della vita cristiana, e in particolare della missione, dovunque, in Europa come in Africa e negli altri continenti». Sentendo le parole che il Papa ha rivolto ai partecipanti al capitolo generale dei miei confratelli missionari comboniani durante l’udienza di sabato 18 giugno, mi è ritornata alla memoria la mia esperienza umana, religiosa e sacerdotale al servizio della missione. E sono felice di condividerla.
Sono originario dell’Uganda ma ho compiuto gli studi teologici presso la facoltà di Teologia dei gesuiti Karl Rahner dell’università di Innsbruck, in Austria. Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 2005, sono stato assegnato alla provincia di lingua tedesca per il mio primo impegno missionario. Mi è stata data la possibilità di lavorare nell’apostolato giovanile e nella promozione vocazionale. È stata una sfida molto bella, una vera esperienza di movimento e di avvicinamento ai giovani nel loro mondo. Avere i ragazzi e le ragazze per una celebrazione liturgica non è stato facile, ma insieme alla mia “squadra” ho imparato che i contatti personali contano molto. Naturalmente abbiamo rivolto l’invito ai singoli giovani, che a loro volta hanno invitato i loro amici.
Anche se alcune esperienze sono state scoraggianti, ricordo i molti incontri con giovani che si sono fidati di me e hanno condiviso le loro storie di vita, caratterizzate soprattutto dalla ricerca di un senso. Sono orgoglioso di aver accompagnato almeno tre candidati al sacerdozio nella diocesi.
Dopo il soggiorno in Europa, ho trascorso un periodo a Roma, dove mi sono preparato per la formazione dei religiosi e dei sacerdoti presso la Pontificia università Gregoriana. Questo periodo mi ha dato la possibilità di acquisire strumenti per il discernimento vocazionale e l’accompagnamento. Poi ho iniziato la missione di formazione nel nostro postulato di Jinja, in Uganda.
L’accompagnamento dei fratelli più giovani è stato molto arricchente. È stato bello condividere le storie vocazionali dei miei confratelli e aiutare a chiarire varie questioni. Mi è stato chiesto di introdurre gli studenti alle sacre Scritture. È stata un’avventura molto interessante, perché ho potuto dare ai futuri missionari un primo assaggio della Parola di Dio. Posso dire che mi è piaciuta molto questa esperienza di formatore. Tuttavia, è durata solo quattro anni. Mi è stato affidato l’incarico di redattore della nostra rivista missionaria, «Leadership Magazine».
Non ero affatto preparato per questo compito. Certo, mi piace scrivere. E oltretutto ho conosciuto i missionari comboniani proprio attraverso questa pubblicazione. Era il 1991 e frequentavo il seminario minore diocesano. Dopo 27 anni, avrei assunto la direzione di una rivista che era stata molto importante per la mia vocazione missionaria. Portavo dentro di me il desiderio che qualche giovane si ispirasse alle esperienze missionarie pubblicate. Attraverso di esse, infatti, è possibile avvicinare la gente non solo alla missione dei comboniani, ma anche a quella della Chiesa universale. La nostra rivista crea consapevolezza su eventi nel Paese e nel mondo che altrimenti verrebbero dimenticati. Per noi è importante che le questioni relative ai diritti umani e alla giustizia siano presentate in modo obiettivo e critico. Stavo ancora lavorando alla rivista quando, nel marzo 2019, la provincia ugandese mi ha assegnato un altro compito, quello di essere parroco di Nostra Signora d’Africa Mbuya.
Anche se questo incarico significava un maggiore impegno per me, ero felice di avere l’opportunità di partecipare alla vita concreta della gente. La parrocchia di Mbuya esiste da 50 anni. Nel 2019 abbiamo celebrato il giubileo d’oro. Questa è stata la mia prima sfida, perché ho dovuto preparare questo giubileo. La comunità parrocchiale conta circa 20.000 membri. Abbiamo una popolazione mista: la comunità parrocchiale si può giustamente chiamare “Nazioni Unite”, perché sono rappresentati quasi tutti i gruppi linguistici. La gente si divide in tre classi sociali: ci sono alcuni che sono molto ricchi, altri che potrebbero essere descritti come “classe operaia” e poi, in fondo, ci sono gli abitanti delle baraccopoli. Il nostro compito è quello di essere pastoralmente accessibili a tutti. Naturalmente, siamo più attenti ai più poveri degli slum.
La nostra parrocchia è all’avanguardia nell’accompagnamento delle persone affette da Hiv/Aids. Questa iniziativa (“Reach out Mbuya”) è stata avviata nel 2001. Ogni anno raggiungiamo oltre ottomila persone colpite da questa malattia. La clinica dispone di quattro centri di trattamento. Stiamo per aprirne altri due fuori Kampala. L’assistenza olistica ha dato speranza a molte persone. Oltre alle cure mediche, stiamo anche cercando di provvedere agli orfani pagando le loro rette scolastiche. I risultati sono già tangibili. E siamo grati a tutti per il continuo sostegno che ci permette di andare avanti in questo servizio.
La pandemia da Covid-19 è stato un momento molto forte nel mio ministero parrocchiale. Attraverso vari media digitali abbiamo mantenuto un contatto vivo con i nostri parrocchiani e con molte altre persone. Oltre all’accompagnamento spirituale e pastorale dei nostri parrocchiani “confinati”, abbiamo deciso di fornire cibo alle persone più colpite. Questa attività ci ha dato molta gioia. Abbiamo mobilitato i parrocchiani più abbienti per aiutare le persone svantaggiate. Grazie a questo sostegno, siamo riusciti ad avviare un “banco alimentare” con il quale abbiamo potuto distribuire oltre diecimila pacchi alimentari.
Con la riapertura delle chiese si sente il bisogno di celebrare una nuova vita: è come se si dovesse celebrare ogni giorno la Pasqua! È tempo di andare avanti. La nostra solidarietà come comunità parrocchiale è diventata più forte e con l’ispirazione di Papa Francesco siamo pronti a camminare insieme.
di Anthony Kimbowa Kibira
Missionario comboniano ugandese