Sabato 22 gennaio 2022
Alla fine del 2020 papa Francesco pubblica la sua terza Enciclica, Fratelli tutti, sulla fraternità e amicizia sociale. Questa enciclica sociale ci interpella come missionari comboniani e ci stimola a riflettere sul nostro ministero missionario. Questo spazio è dedicato a riflessioni per condividere varie prospettive missionarie a partire da ciascun capitolo dell’enciclica e spunti dal documento nel suo insieme. [Vedi il sito del SGM: combonimission.net]
In ascolto dell’Africa e dei popoli indigeni
L’enciclica Fratelli tutti nota fin dal principio che stiamo tornando indietro rispetto alle conquiste del secondo dopo guerra. I processi attuali di globalizzazione stanno generando delle dinamiche neo-coloniali di invasione culturale, esclusione sociale e sfruttamento economico. Tutto questo comporta una crescente disumanizzazione che ci interpella come missionari comboniani. Al centro del carisma di Daniele Comboni, infatti, sta l’invito alla Rigenerazione, una rinascita alla vita in pienezza, alla piena umanizzazione delle persone e dei popoli. Una rigenerazione che riguarda l’integralità della persona, guardando al mistero della divino-umanità di Gesù, nel quale ci riconosciamo figli di Dio, sorelle e fratelli tutti.
Papa Francesco lamenta la perdita di senso comunitario, del senso della vita umana che non si può confinare nell’individuo sempre più isolato e ridotto a consumatore e spettatore. La società ha bisogno di ritrovare relazioni umane profonde e significative, un senso di mutua appartenenza, di comunione: di ritrovare, cioè, quegli orizzonti in grado di farci convergere in unità. Il dialogo con il patrimonio culturale e spirituale dell’Africa e dei popoli indigeni in generale rappresenta un percorso che promette quella trasformazione di cui oggi il mondo ha bisogno. Lo vediamo anzitutto nell’esperienza di Utu – nella lingua Swahili, Ubuntu in altre lingue dell’Africa australe – che significa essere pienamente umani. È una realtà difficile da rendere nelle lingue occidentali, ma che comunica l’idea di essere in relazione, in connessione: “io sono perché noi siamo”, cioè ognuno deve il proprio essere persona alle altre persone. Utu esprime l’esperienza di comunione, di armonia, dell’essere corretti e premurosi verso gli altri. Si riconosce la realtà di Utu nell’ospitalità, nella generosità, nella compassione, nell’amicizia, nell’empatia, nella gentilezza e nel servizio. Infatti, l’umanità di ciascuno è inestricabilmente legata a quella degli altri. Il recupero di un senso di appartenenza e di comunione umana è fondamentale per una trasformazione sociale nella direzione della fraternità e della sostenibilità ambientale, come ci ricorda anche l’esortazione apostolica Querida Amazonia (QA 20). In particolare, sollecita “un nuovo sistema sociale e culturale che privilegi le relazioni fraterne, in un quadro di riconoscimento e di stima delle diverse culture e degli ecosistemi, capace di opporsi ad ogni forma di discriminazione e di dominazione tra esseri umani” (QA 22).
Come missionari siamo chiamati a creare spazi di ascolto e dialogo con questo patrimonio dei popoli indigeni. Ci sembra essenziale per ripensare gli stili di vita, le relazioni, l’organizzazione delle società e soprattutto il senso dell’esistenza, come ci invita a fare papa Francesco, che sempre in QA (22) chiarisce: “Cristo ha redento l’essere umano intero e vuole ristabilire in ciascuno la capacità di entrare in relazione con gli altri. Il Vangelo propone la carità divina che promana dal Cuore di Cristo e che genera una ricerca di giustizia che è inseparabilmente un canto di fraternità e di solidarietà, uno stimolo per la cultura dell’incontro. La saggezza dello stile di vita dei popoli originari – pur con tutit i limiti che possa avere – ci stimola ad approfondire questa aspirazione”. Rigenerazione, Cuore di Cristo, umanizzazione: il carisma comboniano ci chiama ad un rinnovato impegno missionario.