Domenica 10 ottobre 2021
Vorrei fare due brevi cose, in questa condivisione con voi nel contesto della preparazione alla festa di San Daniele Comboni: 1. Richiamare, a modo d’introduzione, tre parole, tre verbi, essenziali nel nostro avvicinamento alla sua persona; 2. Suggerire degli spunti che attingiamo dal nostro sguardo al Comboni, negli ultimi mesi della sua vita, e che possono ispirare il momento che viviamo.
Le tre parole:
Conoscere: Abbiamo due vie per arrivare ad una conoscenza diretta e personale, del Comboni. – La prima è la lettura, oggi resa possibile per la traduzione dei suoi Scritti nelle varie lingue dell’istituto. Oggi non c’è scusa per non conoscere il Comboni e ogni sua festa è un’occasione per avvicinarsi a lui e approfondire la conoscenza di lui attraverso la lettura personale. -La seconda sono le sue foto, documenti storici che ci fanno contemplare il suo volto, la forza del suo sguardo, scrutare spiritualmente la sua personalità… Questo incrocio di sguardi, che le foto proporzionano, non basta; occorre arrivare a lui e al suo pensiero tramite la lettura.
Ricordare: Non basta conoscere, occorre anche il ricordare, che collega il conoscere alla vita… Non solo nel senso di memorizzare una conoscenza che abbiamo imparato nei libri di storia o altri… Ma nel senso pieno, originale, del ricordare che è quello di imprimere nel cuore, di portare impresso nel cuore e nella mente il ricordo della persona che conosciamo, il suo pensiero e il suo volto.
Celebrare: È la parola centrale, il punto di arrivo del conoscere e del ricordare. Celebrare Daniele Comboni è evocare, cioè, rendere presente nell’oggi, nella liturgia e nella vita concreta, il mistero della sua persona, la forza del suo pensiero, la bellezza della sua vita; è rendere presente, nella nostra vita e nel nostro oggi, il mistero di grazia divina che ha illuminato la sua vita e il suo tempo. Celebrare è sperimentare un incontro con colui che conosciamo e ricordiamo; è sperimentare che Lui sta vivo e che la sua vita (il suo pensiero e la sua testimonianza) illuminano la nostra, conferendoli forza, direzione, senso.
Il celebrare suppone il conoscere e il ricordare, ma va molto oltre: richiede la fede e l’amore, i segni dell’apertura della propria vita al mistero della vita di un altro, nel nostro caso di San Daniele Comboni.
Il conoscere ha a che vedere con la ragione, il ricordare con la memoria, il celebrare con la fede e l’amore, l’apertura alla grazia, al dono che ci è concesso in San Daniele: l’augurio che ci facciamo è che nella celebrazione di quest’anno apriamo la nostra vita al mistero della grazia a lui donata e destinata ad essere anche nostra, a illuminare la nostra vita come ha ispirato la sua.
Lo sguardo su Comboni: gli spunti che possono illuminarci:
1. Non temere il contesto. Quando leggiamo le lettere degli ultimi mesi ci impressiona il contesto umano e sociale in cui Comboni si viene a trovare e che descrive nelle lettere: difficoltà economiche, secca e carestia, fame e denutrizione, malattie e morti dei missionari, della gente… Eppure, nelle lettere non emerge nessun sentimento di dubbio o paura: lui vive con un forte senso di fiducia nella Divina Providenza. Lui non vive nell’incertezza, ma ancorato nelle certezze della fede e nel senso di fedeltà alla sua vocazione missionaria. Non fugge, ma resta al suo posto, accettando le difficoltà come segno della presenza divina, come parte del disegno divino e garanzia di fecondità apostolica e di futuro per la missione.
* Viviamo anche noi in un contesto particolare, certamente difficile perché, in seguito alla pandemia, tutto è ancora sospeso e incerto. Ma sicuramente niente che si possa comparare, per la difficoltà, a quello che Comboni ha dovuto affrontare. Abbiamo sperimentato paura, e ceduto all’incertezza e allo scoraggiamento. Guardando a Lui, abbiamo un chiaro invito a non temere il contesto in cui, per grazia e Providenza di Dio, ci tocca vivere; a scongiurare la paura e l’incertezza e a riprendere il cammino con fiducia, adesso che il futuro si apre alla speranza; a non fuggire dal contesto in cui Dio ci ha collocato e rinnovare il nostro impegno di fedeltà.
2. Non smettere di progettare, di continuare a sognare. Nel contesto difficile in cui si è trovato, Comboni non ha smesso di realizzare i suoi progetti, di sognare e di cercare pienezza e fecondità alla sua vocazione e missione. Tra e progetti degli ultimi mesi emerge la spedizione ai Monti Nuba, che ha due scopi: primo, quello di cercare un luogo per aprire una presenza missionaria stabile tra quelle popolazioni; secondo, quello di dare un colpo mortale al commercio di schiavi, fiorente in quella regione; Comboni aveva ricevuto un incarico dal governatore del Sudan di andare a vedere lo stato delle cose e di suggerire delle misure. In mezzo alle difficoltà (mancanza di mezzi e persone, salute personale precaria, Comboni aspetta il tempo necessario, ma non rinuncia e compie questa spedizione con soddisfazione e frutto.
* Durante la pandemia abbiamo vissuto un tempo in cui abbiamo lasciato addormentare la nostra capacità di sognare e progettare: tutto è stato rimandato e la pandemia ha azzerato ogni attesa, ridotto al minino ogni ritmo della nostra vita; le cose sono ancora incerte; desideriamo una ripresa ma stiamo guardinghi, abbiamo coscienza che nel futuro le cose non saranno come prima; siamo, perciò, un po’ persi per quello che riguarda il progettare, l’aprire cammini per vivere con pienezza di senso la nostra vocazione missionaria. Da Daniele Comboni ci viene questo invito a ricuperare la capacità di progettare, di re-inventare il nostro futuro come comunità missionaria, a non smettere di sognare.
3. Prendersi cura degli altri. Nel contesto in cui vive, la sofferenza maggiore sperimentata dal Comboni, è quella degli altri, della gente e dei missionari e missionarie; in particolare, le malattie e la morte dei missionari. L’immagine di Daniele Comboni, che emerge nelle ultime lettere, è quella di un missionario radicato in un forte senso di comunione coi suoi collaboratori. Lui porta nel cuore il peso della sofferenza degli altri; cerca la guarigione dei missionari e li manda a luoghi più sani per aiutarli a ricuperare la salute mentre lui resta a Khartoum; pensa agli altri (missionari e missionarie) e alle sue necessità (salute, mangiare), prima di pensare a sé stesso.
Nelle lettere a Propaganda Fide e al rettore degli Istituti a Verona appare questa coscienza di missione condivisa coi suoi collaboratori, missionari e missionarie, laici: troviamo un lungo rosario di nomi con parole di riconoscenza, descrizioni di ruoli e apprezzamenti di personalità: alcuni scritti con un senso di umore critico, ma tutti con espressioni di amore e rispetto, apprezzamento, capace di vedere i doni personali oltre le pieghe del carattere.
* Ci apprestiamo a lasciare un tempo in cui ci siamo un po’ racchiusi in noi stessi, abbiamo preso distanze dagli altri e ci siamo racchiusi nelle nostre rutine individuali. L’invito che ci viene da Daniele è quello di prendersi cura gli uni degli altri, perché solo assieme possiamo uscire dalle difficoltà che troviamo in quest’ora di ripresa, in cui dobbiamo re-disegnare il nostro futuro; abbiamo qui un richiamo forte, dal Comboni, a scongiurare l’individualismo e la autoreferenzialità (con la fuga nel digitale e nel virtuale) che la pandemia ha rischiato di rafforzare in mezzo a noi, per ricuperare il senso della fraternità per la missione, della presenza concreta dell’altro, del suo volto e della sua individualità ferita, da curare, con i suoi doni da apprezzare.
4. Ritornare ai punti fermi. Nelle lettere dell’ultimo anno impressiona la spontaneità con cui Daniele Comboni, in mezzo alle difficoltà e sofferenze, ritorna ai punti fermi della sua vita e spiritualità; la fiducia nella Providenza divina e il senso della Presenza amorevole di Dio; la certezza della sua vocazione e missione, dell’ora dell’Africa; l’amore alla Chiesa e agli Istituti che ha fondato; la fiducia nella persone; l’abbraccio alla Croce e l’accettazione delle difficoltà; la contemplazione del Cuore trafitto di Cristo e l’affidamento ai mezzi divini messi a fondamento dell’evangelizzazione.
* Celebriamo la festa del nostro fondatore in un contesto di ripresa delle attività, di ripresa del cammino di preparazione del prossimo Capitolo Generale, che ci chiede la verifica delle dimensioni della nostra vita e missione alla luce del carisma fondazionale, cioè della grazia concessa a San Daniele. Cogliamo, allora, questo suo invito a riprendere il cammino, con speranza per il presente e soprattutto per ‘avvenire; con questa capacità di ripartire dai punti fermi che lui ci ha lasciato e scongiurare ogni eventuale sbandamento e abbandono.
P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj