L’episodio evangelico di questa domenica (Mc 6,1-6) si svolge a Nazaret, la patria di Gesù. Si tratta di un insuccesso che Gesù stesso commenta con un proverbio popolare. Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria. I suoi compaesani sentono Gesù insegnare nella loro sinagoga, restano stupiti della sua dottrina, perché conoscono le sue origini (famiglia insignificante) e la sua formazione (carpentiere). [...]

Dio tra le pentole:
Gesù falegname, figlio, fratello, vicino

Commentario a Mc 6, 1-6

Marco ci mostra a Gesù come un maestro ambulante che, dopo di aver predicato nei villaggi e città attorno al Lago di Galilea, ritorna a Nazareth, il paese dove era cresciuto a dove i suoi vicini lo rifiutano perché è troppo simile a loro. Marco lo spiega con una frase che è diventata famosa: “Nessun profeta è ben accolto nel suo paese e nella sua casa”; e finisce dicendo che Gesù rimase stupito della loro incredulità. A me sembra che l’esperienza di rifiuto che ha fatto Gesù è abbastanza comune ed è fondata su due errori che tutti noi facciamo frequentemente:

1) Immaginiamo Dio come qualcuno lontano dalla nostra vita quotidiana

Capita in tutte le tappe della storia e in tutte le religioni. Molti pensano che Dio si lo trovi in qualcosa di straordinario: un luogo meraviglioso, una grande cattedrale, un santuario speciale, un personaggio molto importante, sopra le nuvole… Come se Dio non avessi niente a che fare con quello che siamo e viviamo nella nostra quotidianità. Invece, Gesù ci insegna esattamente il contrario: Che Dio si fa uno di noi (Emmanuele); nasce come un migrante, lavora da falegname, va in sinagoga il sabato; mangia, beve, suda, fa degli amici… E in tutto questo si rivela come il Figlio amato dal Padre.

Un modo per spiegare questa esperienza del Dio vicino è la famosa sentenza di Santa Teresa d’Ávila: “Dio c’è anche tra le pentole”. Proprio così: Non dobbiamo cercare Dio nelle cose straordinarie ma nella vita ordinaria di ogni giorno: nel lavoro, nelle relazioni di famiglia, nelle amicizie, nella lotta sincera per i diritti dei poveri, nella ricerca della giustizia e la pace… e anche nella preghiera semplice e sincera (lontana da parole eccessive a gesti esagerati)… Appunto: “Tra le pentole”.

2) Diventare scettici e duri di cuore

Dice un vecchio proverbio che non c’è persona meno rispettosa del tempio che il sacrestano: muovendosi continuamente nel luogo sacro, finisce per perdere il senso del sacro. Questo può capitare anche noi con le persone a noi vicine: membri della famiglia o della comunità, compagni di lavoro, catechisti della mia parrocchia, parroco… Convivendo da vicino con queste persone, corriamo il rischio di vedere soltanto i suoi limiti e difetti, ignorando tutto il bene che fanno. Invece di approfittare della vicinanza per imparare ad amarli e capirli meglio, finiamo per rimanere intrappolati in un atteggiamento di critica amara e dura che ci impedisce di scoprire il messaggio che sicuramente Dio ci vuole trasmettere attraverso queste persone, non ostante i loro difetti e limiti. Certo, Dio non si presenterà a noi nella veste di una persona “perfetta”, ma nella realtà delle persone concrete che abbiamo attorno a noi.

Meditando questo vangelo di oggi, prego al Signore per me e per tutti di darmi quell’umiltà che ci fa capaci di riconoscere Gesù nell’umile profeta di Nazareth e in tante persone che vivono con me e mi aiutano a percepire la presenza divina nella concreta realtà che sto vivendo, con le sue opportunità e problemi, i successi e i fallimenti.

Signore, non permettere che io diventi arrogante o cinico, come gli abitanti di Nazareth. Fa che il mio cuore rimanga sempre aperto a riconoscere la tua umile presenza attorno a me, non ostante i miei limiti e quelli degli altri.
P. Antonio Villarino, comboniano
Bogotà

La famiglia di Gesù
Lo scandalo di avere una modesta parentela

Ez 2,2-5; Salmo 122; 2Cor 12,7-10; Mc 6,1-6

L’episodio evangelico di questa domenica si svolge a Nazaret, la patria di Gesù. Si tratta di un insuccesso che Gesù stesso commenta con un proverbio popolare. Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria. I suoi compaesani sentono Gesù insegnare nella loro sinagoga, restano stupiti della sua dottrina, perché conoscono le sue origini (famiglia insignificante) e la sua formazione (carpentiere). Capiscono la spiegazione giusta e si domandano da dove vengono a costui queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è data? Però non sono capaci di trarne le conseguenze. Pongono la domanda giusta, ma danno una risposta sbagliata. (Venne tra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto (Gv 1,11).

Se si fossero affidati a questo interrogativo pertinente, se si fossero posti alla ricerca del dove, sicuramente sarebbero andati lontano. Essi trovano invece una risposta prematura nell’ "incasellamento" di Gesù in cose conosciute, in quello che si sa già. È l’equivoco che minaccia tutti noi: la facoltà di chiudere i problemi fastidiosi con quello che abbiamo a portata di mano, invece di tenerli aperti in un atteggiamento di ricerca profonda e di sofferta attesa verso ciò che c’è di nuovo e non si conosce. Questa maniera di liquidare i problemi (invece di risolverli) è una crisi di rigetto che è alla base delle nostre esigenze personali, e non della verità. Spesso preferiamo rinunciare a Dio piuttosto che alle nostre esigenze e all’immagine che ci siamo fatti di Dio. L’incredulità dei compaesani di Gesù riguarda quindi anche noi. Questo rifiuto, infatti, è simbolo e preludio di un rifiuto assai vasto... però non dobbiamo considerarlo normale. Gesù, con le sue parole sapienti e potenti non può essere pietra di inciampo sul cammino di fede.

Gesù percorre la strada del profeta che nella tradizione biblica, e in modo particolare nella prima lettura di questa domenica, viene contestato e rifiutato da quelli ai quali è inviato. In ogni caso la vita del profeta non dipende dal successo della sua missione: la sua presenza è un segno che interpella ineluttabilmente i destinatari, ascoltino o non ascoltino. La missione di Gesù a Nazaret si conclude con un bilancio un po’ triste: perché non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Questo poi è una delle affermazioni più difficili nel vangelo, proprio perché ricorda qualcosa che Gesù non riuscì a fare. Il limite non è quindi, suo, ma quello dell’incredulità e della diffidenza dei suoi concittadini. Però i pochi miracoli di Nazaret sono i più importanti del vangelo (sembra là il punto focale di questa pericope), perché poche di queste persone sono andate a controcorrente dell’ostilità, della sfiducia dell’indisponibilità e dell’incredulità generali.

Gesù lascia Nazaret (incredula) per seguire il suo destino di profeta, e va ad insegnare negli altri villaggi all’ interno. Questo atteggiamento è specchio dello stile e dell’agire di Dio: nonostante la sapienza della sua parola e la potenza dei suoi gesti, Egli è impotente davanti alla resistenza e al rifiuto degli uomini. Cioè nessun gesto o nessuna parola pur provenienti da Dio hanno un qualche effetto in ordine alla salvezza   se non incontrano una disposizione previa di fiduciosa accoglienza, di cordiale adesione da parte di tutte le persone che ne sono le beneficiarie. In poche parole: la fede è la porta che ci apre all’azione salvifica di Dio.
Don Joseph Ndoum

Lo scandalo vincente del Profeta

Ezechiele 2,2-5; Salmo 122; 2Corinzi 12,7-10; Marco 6,1-6

Riflessioni
“Io ti mando a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me… sono figli testardi e dal cuore indurito… sono una genìa di ribelli” (Ez 2,3-5). Con un linguaggio che oggi sarebbe considerato esagerato e offensivo, il Signore ha inviato il giovane Ezechiele (I lettura) a essere profeta tra gli Israeliti (VI sec. av. C.) deportati in schiavitù a Babilonia. Il linguaggio duro indica la difficile missione di essere profeta. Era difficile allora; lo è stato per Gesù (Vangelo) e per Paolo (II lettura). Essere profeta di Dio, portatore del Vangelo di Gesù, è stata sempre una missione ardua in ogni epoca e latitudine. Senza il prurito di cercarsi aureole di eroismo, la storia offre prove copiose di tali difficoltà. Le tre letture di questa domenica invitano a riflettere sullo ‘scandalo del profeta’, presentandone la vocazione e la missione.

Il profeta autentico non è mai un auto-candidato, ma un chiamato da Dio, che lo manda. Spesso la chiamata di Dio avviene a tappe, che aiutano a comprendere il senso e la portata di una vocazione. Così è avvenuto per Abramo, Mosè, Gesù stesso, i Dodici apostoli, Paolo e tanti altri. Per Ezechiele la chiamata ha almeno tre momenti: in primo luogo, la visione del “carro del Signore” in una scenografia ricca d’immagini di non facile comprensione (Ez 1). Segue la chiamata vera e propria, espressa in termini diretti (I lettura): è Dio che interviene e abita nel profeta (v. 2); questi si alza in piedi, ascolta la voce di Dio che lo manda (v. 3.4) a quei “figli testardi e dal cuore indurito” (v. 4). Ma il profeta - è il terzo momento della vocazione - non deve aver paura, non deve lasciarsi impressionare dalle facce di quella genìa di ribelli, che sono come cardi, spine, scorpioni… (v. 6-7). Egli si presenta a loro, forte della Parola che ha mangiato: il rotolo della Parola diventa per la sua bocca dolce come il miele. Il profeta avrà una “faccia tosta”: non dirà parole sue, ma solo quelle che avrà ascoltate dal Signore e che avrà accolte nel suo cuore. In questo modo egli sarà sentinella fedele e coraggiosa nel trasmettere i messaggi di Dio. Ascoltino o non ascoltino. (Ez 3).

San Paolo è un modello di profeta, scelto dal Signore per una missione di primo annuncio del Vangelo ai pagani. Una missione che egli ha realizzato con determinazione, generosità, ampiezza di orizzonti geografici e culturali, in mezzo a prove di ogni genere, come racconta nei testi che precedono il brano di oggi (II lettura). È stata una missione coraggiosa, vissuta al tempo stesso nell’umiltà e nella debolezza, con una spina nella carne (v. 7). Ha pregato insistentemente per esserne liberato, ma alla fine ha compreso che la grazia del Signore era in lui (v. 8-9). E ancor più, Paolo scopre che la missione è più forte e più vera quando si realizza nella debolezza: negli oltraggi, difficoltà, persecuzioni, angosce sofferte per Cristo (v. 10). Perché in tal modo appare chiaramente che vocazione e missione sono opera di Dio e non invenzioni umane. L’esperienza storica dei missionari e delle Chiese da loro fondate e sostenute danno prova di questo paradosso, sul quale solo il mistero di Cristo getta un po’ di luce. (*)

Sembrerebbe logico che almeno la missione profetica del Figlio di Dio in carne umana fosse chiara per tutti, accettata senza rifiuti né contestazioni. Invece, proprio nella sua patria, tra i suoi, Gesù fu incompreso (Vangelo) e più tardi, nella città santa di Gerusalemme fu eliminato in un complotto ordito dai suoi avversari religiosi e politici. A Nazaret la gente, stupita (v. 2), oscilla da un pregiudizio all’altro, tra varie interpretazioni: si pone ben cinque domande circa l’identità di Gesù (v. 2-3), passando dalla sorpresa allo scandalo, alla gelosia, fino al rifiuto di quel concittadino che appare troppo divino (sapienza, prodigi…), ma al tempo stesso troppo umano (falegname, uno come loro, di famiglia ben conosciuta…). Data l’incredulità di molti, Gesù, a malincuore, è obbligato a limitarsi: compie solo poche guarigioni (v. 5).

Nonostante la chiusura e l’incomprensione di quegli abitanti, Gesù risponde con un duplice segno: 1. percorre i villaggi d’intorno, si commuove al vedere la gente, insegna loro molte cose (v. 6 e 34); 2. chiama i Dodici e li manda a due a due tra la gente, dando anche a loro “potere sugli spiriti immondi” (v. 7). Anche i Dodici, venuto il tempo della loro missione piena sulle strade del mondo, vivranno le stesse esperienze del loro Maestro: incontreranno riconoscimenti e accettazioni, ma più spesso incomprensioni e persecuzioni, sospetti e disprezzo, assieme a malattie, fragilità e difetti personali.

Sono le alterne vicende della vita di ogni missionario, chiamato a seguire i passi di Gesù, che aveva predetto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola…” (Gv 15,20). E sempre con la certezza di Paolo: la potenza di Cristo e del suo piano di salvezza “si manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9). Attraverso la fragilità degli strumenti umani, appare più chiaramente che la forza della missione e per la missione viene da Dio. È questo lo scandalo del profeta; è lo scandalo vincente della croce.

Parola del Papa

(*) «La missione percorre la stessa via (di Cristo) e ha il suo punto di arrivo ai piedi della croce. Al missionario è chiesto “di rinunziare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a farsi tutto a tutti”: nella povertà che lo rende libero per il Vangelo, nel distacco da persone e beni del proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è mandato, onde portare ad essi il Cristo salvatore».
San Giovanni Paolo II
Enciclica Redemptoris Missio (1990) n. 88

Sui passi dei Missionari

4     S. Elisabetta di Portogallo (1271-1336), figlia del re di Spagna Pietro III, a 12 anni fu data in sposa a Dionigi, re del Portogallo, con il quale ebbe due figli. Rimasta vedova, donò i suoi averi a poveri e monasteri e divenne terziaria francescana. Fece opera di pacificazione e riconciliazione nella sua famiglia e, come consigliera del marito, tra Portogallo e Spagna.

·     Ricordo di François Xavier Gautrelet (1807-1886), gesuita francese, che nel 1844 fondò l’Apostolato della Preghiera (dal 2018 si chiama: “Rete mondiale di preghiera del Papa”), per offrire ogni giorno azioni e preghiere al Cuore di Cristo per la salvezza del mondo intero, in riparazione dei peccati e per le intenzioni del Papa. Nel 1944, Pio XII definì questo apostolato «uno dei mezzi più efficaci per la salvezza delle anime». Nel dicembre 2020 Papa Francesco ha eretto questa “Rete mondiale…” in Fondazione vaticana con personalità giuridica canonica. Oggi gli iscritti sono più di 40 milioni.

5     S. Antonio Maria Zaccaria (1502-1539), medico e poi sacerdote di Cremona, diffuse tra il popolo la pratica del ricordo della Passione di Cristo ogni venerdì alle 3:00 pomeridiane, e la pratica delle ‘40 Ore’ di adorazione al Santissimo Sacramento. È il fondatore dei Chierici Regolari di san Paolo (detti poi Barnabiti).

6     B. Maria Teresa Ledóchowska (1863-1922), polacca, lavorò per la liberazione degli schiavi africani e fondò le Missionarie di S. Pietro Claver, che offrono molteplici aiuti alle missioni, specialmente per la stampa di Bibbie, catechismi e altri sussidi religiosi.

·     S. Nazaria Ignazia March Mesa (1889-1943), spagnola, emigrò in Messico, da dove partì come missionaria in Bolivia e Argentina. Fondò le Missionarie Crociate della Chiesa per estendere il Regno di Cristo, per l’unità della Chiesa, e per la promozione sociale e lavorativa delle donne.

·     Ricordo di Léopold Michel Cadière (1869-1955), sacerdote francese della società delle Missioni Estere di Parigi (Mep). Lavorò 63 anni a Hué (Vietnam), come missionario in parrocchia, professore in seminario, studioso di storia, linguistica, costumi ed etnologia religiosa. È autore di circa 250 ricerche scientifiche.

·     Compleanno di Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama del Tibet (n. 1935), in carica dal 1950 come guida spirituale della tradizione buddista tibetana. Ricevette il Premio Nobel della Pace nel 1989, per la sua avversione all’uso della violenza per la liberazione del Tibet, preferendo soluzioni pacifiche.

7     B. Peter To Rot (1912-1945), martire, originario dell’isola di Nuova Britannia, in Melanesia. Padre di famiglia, catechista zelante, fu ucciso dai giapponesi con una iniezione di veleno alla fine della II Guerra mondiale, nel campo di concentramento di Rakunai (Papua Nuova Guinea).

·     B. Maria Romero Meneses (1902-1977), salesiana del Nicaragua, inviata in Costa Rica, dove per 46 anni si dedicò a opere sociali e spirituali a favore dei più poveri.

·     Ricordo di Atenagora I (1886-1972), patriarca ecumenico di Costantinopoli dal 1948. Promosse nuove relazioni ecumeniche nel Consiglio mondiale delle Chiese, in particolare il Papa di Roma. Storico il suo incontro, nel 1964, a Gerusalemme, con Paolo VI, che incontrò pure in seguito a Istanbul e Roma.

8     Ricordo del 1° viaggio di Papa Francesco fuori di Roma, a Lampedusa (2013), per fare memoria delle migliaia di migranti e di rifugiati naufragati nel Mediterraneo. In quel viaggio emblematico all’inizio del pontificato, il Papa lanciò al mondo le domande che Dio rivolse ad Adamo e a Caino dopo il loro peccato: «Adamo, dove sei?... Caino, dov’è tuo fratello?».

9     Ss. Agostino Zhao Rong (c. 1746-1815), sacerdote cinese, e 119 compagni martiri in Cina (missionari stranieri, sacerdoti e laici cinesi). In luoghi e tempi diversi (tra 1648 e 1930), resero testimonianza al Vangelo di Cristo con la parola e la vita. Furono canonizzati a Roma il 1° ottobre 2000.

·     S. Paolina del Cuore agonizzante di Gesù (Amabile Wisintainer, 1865-1942), italiana emigrata in Brasile. Fondò la Congregazione delle Piccole Suore dell’Immacolata Concezione. Si prese cura cura degli emigrati, dei malati e dei poveri.

·     Ven. Agostino Tolton (1854-1897), primo prete cattolico nero degli Stati Uniti. Primeggiava per rendimento scolastico, ma la sua pelle nera gli meritò sospetti, invidie, minacce. Fu respinto da tutti i seminari. Accolto a Roma nel Collegio di Propaganda Fide, divenne sacerdote con il desiderio di recarsi missionario in Africa, ma fu destinato al ghetto di Chicago, dove svolse un fruttuoso apostolato.

·     Ricordo di Mons. Pietro Salvatore Colombo (1922-1989), francescano milanese, missionario in Somalia per 42 anni (14 come vescovo di Mogadiscio). Durante la guerra dell’Ogaden procurò molti aiuti per salvare decine di migliaia di persone. Costruì scuole, aprì pozzi, fondò la Caritas, si adoperò per la pace e la giustizia. Godeva della stima di cattolici e di musulmani. Fu ucciso di sera, accanto alla sua cattedrale con un colpo di pistola al cuore da un assassino rimasto sconosciuto; quindi un delitto su commissione, di chi?...

10   Bb. 11 Martiri di Damasco (Siria, † 1860): erano 8 francescani (6 sacerdoti e 2 fratelli coadiutori) e 3 laici maroniti, fratelli di sangue. Il superiore della comunità, P. Emmanuele Ruiz, spagnolo, rispose con fermezza alle minacce e torture dicendo: “Sono cristiano e voglio morire da cristiano”. Gli altri dieci, a loro volta, risposero con parole simili; tutti furono assassinati da musulmani turchi dentro il convento.

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A cura di: P. Romeo Ballan – Missionari Comboniani (Verona)

Sito Web:   www.comboni.org    “Parola per la Missione”

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Inguaribile meraviglia.
Il profeta e il villaggio

«Si stupiva della loro incredulità» (Mc 6, 6). Inguaribile sorpresa di Dio. Non è per caso che nella narrazione di Marco non si racconta il nascere di Gesù. L’impatto con il villaggio dell’infanzia, per Gesù avviene soltanto molto dopo che egli è uscito da Nazaret verso il Giordano (Mc 1, 9). Dopo che è sconfinato in terra pagana, ha guarito le infermità di molti, dei maledetti, degli intoccabili: allora torna in patria. Tra i compaesani, Gesù non ha dimora, viene (cfr. anche Gv 1, 11) seguito dai discepoli, divenuti per lui fratello, sorella, madre (Mc 3, 35). Viene e incontra i concittadini; non in casa, in sinagoga: là dove si ascolta la Parola di Dio per fare la sua volontà, per intendersi verso un nuovo linguaggio, altro dal chiacchiericcio nativo. Potrà darsi, o no, il riconoscimento? L’ascolto passa per la trasformazione dei legami. Per ascoltare è necessario convertirsi. «Stupore di un amore», sintetizzava frère Roger.

Viene Gesù tra i suoi: è un inizio. Qui (l’unica volta) si qualifica profeta. Colui che dà carne alla Parola di Dio non ha un linguaggio astruso: radica la Parola nell’umano, nei suoi legami nativi. Ma la Parola è “altra” dalle dicerie: apre futuro. Infrange luoghi comuni. La profezia spalanca gli spazi domestici, innova narrazioni. «Ascoltino o non ascoltino, sapranno che c’è, in mezzo a loro, un profeta». È una presenza che accade, sempre viene, irrompe, sorprende — e corregge ogni affetto rapace, ogni legame che pretende di possedere. Il profeta dà carne alla Voce che chiama “fuori”, ad un’alleanza radicata sul Regno che viene, spinge fuori — piuttosto che su una “patria” che rinserra, censisce e difende i confini.

I concittadini sono esterrefatti, come accadrà più volte alle folle, e anche ai discepoli. Un eccesso è il parlare del Profeta, un impossibile che rovescia i paradigmi assodati. Eppure, Gesù ha appreso tra loro, dai legami nativi, a parlare. Lo scandalo dei suoi vicini di casa — intessuto di luoghi comuni e dicerie — si concentra in una domanda dura e chiusa (Gv 7, 27; 9, 29): “da dove?”. Domanda di chi è sicuro, sulle difese del proprio territorio; non cerca risposta, ma insinua il sospetto sull’origine. Come la prima “diabolica” domanda giunta ad orecchio umano (Gn 3, 1). La domanda, menzognera alla radice, che impietrisce la profezia, ne esautora la passione di verità: «Lì non poté compiere nessun prodigio».

Eppure, Dio resiste nello stupore presago: la profezia è passione di appartenenza. Primi destinatari del profeta sono proprio i compaesani: «… è cresciuto come un virgulto in mezzo a noi. E noi, disprezzatolo, non ne avevamo alcuna stima» (Is 53, 2.3). Il profeta viene tra i suoi, appartiene, è fedele ai legami da cui ha attinto il linguaggio dell’umano. È per eccellenza prossimo; seppure viene lasciato solo, trattato come straniero. «Guardai: nessuno» (Is 63, 5). Il Profeta introduce, così, nel filo degli eventi, nelle saghe di famiglia, nelle narrazioni patriottiche, un fattore di irriducibile alterità. La profezia fa straniero colui che la incarna, ancor prima ch’egli pronunci parola. Ma è accolta dai poveri — da chi si converte da tutti i legami rapaci e dalle certezze petulanti. Per intendere la profezia, per portarne lo stigma nella carne, è necessario farsi stranieri e pellegrini.

Eppure, e proprio così, la parola che esce dalla bocca di Gesù è una buona notizia, sempre, anche e soprattutto nell’ora in cui la profezia si rivela parola ferita e parola che ferisce. Parola generativa di nuovo legame: fratellanza nuova — capovolge e rigenera il villaggio, ha in sé la mirabile forza di ridisegnare il mondo degli umani. Quei legami ricevono potenza di ritessere la trama della storia, sciogliere l’enigma dei tempi, posarvi lo sguardo di chi patisce Dio, mangia la sua Parola. Annuncia l’aurora.

Quelli a cui ti mando, testardi — dice Dio al suo profeta (Ez 2, 4) —, sono tuttavia “figli”. Tu, fatto straniero in mezzo ai tuoi, stordito, cinto di catene, attraverso paralisi e afasia, schiuderai nella valle desolata l’orizzonte della nuova, inaudita alleanza. E Dio, stupito, a guardare.

Maria Ignazia Angelini
Abbazia di Viboldone
(L'Osservatore Romano)