Venerdì 19 marzo 2021
Non è più “la stessa persona che è partita” nel 2017, Simone Parimbelli, 38 anni, Laico Missionario Comboniano della diocesi di Bergamo, rientrato nel settembre 2020 da Mongoumba in Repubblica Centrafricana. Perché, come dice lui con la luce negli occhi, “la missione apre il cuore e l’orizzonte e l’essere in uscita ti cambia: dalla concezione dello stile missionario al rapporto con il tempo e lo spazio, con sé stessi e con Dio”.
Non è più “la stessa persona che è partita” nel 2017, Simone Parimbelli, 38 anni, Laico Missionario Comboniano della diocesi di Bergamo, rientrato nel settembre 2020 da Mongoumba in Repubblica Centrafricana. Perché, come dice lui con la luce negli occhi, “la missione apre il cuore e l’orizzonte e l’essere in uscita ti cambia: dalla concezione dello stile missionario al rapporto con il tempo e lo spazio, con sé stessi e con Dio”. Succede quando sei “a stretto contatto con le sofferenze e le gioie dell’altro” e vivi per tre anni e mezzo nel cuore della foresta tropicale, nella diocesi di Mbaiki, a Mongoumba, dove i padri Comboniani lavorano con i pigmei AKA da più di 30 anni.
“Sembra assurdo, ma questo popolo non è riconosciuto dalle altre etnie e non ha accesso né all’istruzione né alla sanità; schiavizzati dai padroni Bantù e senza un certificato di nascita, sono dei fantasmi in carne e ossa”, racconta Simone, denunciando un Paese che, nonostante tante ricchezze, vive in una condizione di colonialismo e miseria.
“Stando accanto a loro, si diventa una porta a cui bussare”, continua Simone che, da laico, a volte è “riuscito ad entrare nella vita concreta delle persone molto più dei sacerdoti, divisi tra l’amministrazione della parrocchia e le celebrazioni eucaristiche su un territorio vastissimo”. Arrivato a Mongoumba, ha proposto diverse attività di animazione, trasformando per esempio la scuola di Ndobo, vicina agli accampamenti pigmei, in un oratorio, come quello della sua parrocchia di Osio Sopra, dove crescendo, a un certo punto, si è chiesto “a che serve la mia fede?”.
Dalla domanda sulla vocazione alla risposta a una chiamata, il passo è, si fa per dire, breve: sono 7.500 chilometri insieme a tutto il resto. Ma “quando forse hai intuito ciò che puoi essere nel mondo e per il mondo, bisogna provarlo”. Così, la diocesi di Bergamo, il vescovo mons. Francesco Beschi, il Centro missionario e il movimento internazionale dei Laici Missionari Comboniani gli danno “la possibilità e la grazia di vivere questa esperienza: 1.300 giorni di fragilità e di fratellanza” in una Chiesa giovane “che sa generare figli nella fede e dove la gioia prevale”. Inviato e accolto: in un ciclo continuo che, in futuro, forse, lo spingerà altrove, dove soffia lo Spirito Santo, che, in sango, la lingua della Repubblica Centrafricana, si dice Yingo-Gbya.
(Di Loredana Brigante, rivista POPOLI e MISSIONE. Febbraio 2021)
[LMC]