Giovedì 30 aprile 2020
“In quanto cristiani, raggiunti e trasformati dalla vita nuova che scaturisce da Gesù Risorto, abbiamo una responsabilità ancora più grande: vivere e fare Pasqua oggi, domani e ogni giorno, in attesa della vittoria e della Pasqua finale. Per questo, di cuore, AUGURI!” (P. Giuseppe Franzelli, Vescovo emerito di Lira/Uganda).
Buona Pasqua di Risurrezione!
Carissimi
Buona Pasqua di Risurrezione! Lo so: in Uganda e in tutto il mondo quella di quest’anno si presenta come una Pasqua diversa, in sordina, senza celebrazioni pubbliche. Una Pasqua segnata dalla morte di migliaia di persone intorno a noi e in tutto il mondo. La Buona Notizia che il Signore è risorto sembra sovrastata e soffocata dal martellamento delle cifre che annunciano ogni giorno il numero di malati e morti per contagio. Quella che tanti, rinchiusi in casa, provano sulla propria pelle è un’esperienza di morte che dilaga, semina paura, crea vuoti con la perdita di persone care, amici e conoscenti. Molti si chiedono: “Cosa c’è di bello e di buono in una Pasqua così? Che senso ha augurare Buona Pasqua in tempo di corona virus?”
Ascoltando di giorno in giorno le numerose e spesso contrastanti risposte di politici, esperti e scienziati che stanno cercando di gestire la crisi e di trovare il vaccino capace di arrestare il covid 19, rischiamo di perdere di vista e dimenticare ciò che più ci può davvero aiutare a vivere positivamente questa tragedia: la fede. Fede nel Dio della vita, il Padre che ci ha inviato suo Figlio, Gesù, diventato nostro fratello, il quale ha abbracciato in pieno la nostra condizione umana fino al punto di soffrire e morire come noi e per noi, per offrirci e condividere con noi la vita nuova della sua risurrezione.
“Io sono la risurrezione e la vita”, ha detto un giorno a Marta, addolorata per la morte del fratello Lazzaro. “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. E poi le ha chiesto: “Credi tu questo?” (Giovanni 11, 25-26). Lo chiede oggi a me e a ciascuno di voi: “Ci credi davvero?” Non si tratta solo di credere nella “risurrezione dei morti”, come ripetiamo ogni domenica recitando il Credo, ma che Dio non ci ha abbandonato, che Cristo è con noi oggi, anche nel mezzo di questa tragica pandemia. L’energia trasformante della sua risurrezione, che ci riunirà alla fine dei tempi ai nostri cari che ci hanno lasciato, è già attiva ed operante oggi nella nostra vita. È la forza che ci rende capaci di accettare e portare con Cristo la nostra croce, la paura e la sofferenza, di attraversare con lui il tunnel oscuro, la porta stretta della morte sostenuti dalla certezza del suo amore che, oltre la morte, ci regala la pienezza della sua vita. La nostra risurrezione, l’esperienza iniziale di una vita nuova, diversa, è già in atto. Fa parte dei “lavori in corso”, del progetto di amore di Dio per tutti i suoi figli. Ma bisogna crederci, affidarci, e camminare giorno per giorno, tenendo viva nel buio che ci circonda la fiammella spesso tremolante della nostra speranza. E chiedendo a Lui di guidarci e tenerci per mano, ripetendo con umiltà: “Credo, Signore, ma tu aiutami nella mia incredulità” (Marco 9, 22-23).
A questo punto qualcuno di voi penserà che anche stavolta vi ho fatto la predica. No, davvero! È semplicemente la condivisione di ciò che provo di fronte ad una tragedia che in modo diverso ci ha toccato e tocca tutti. Assieme alla mia preghiera per tutti voi in questo momento difficile, queste riflessioni, che valgono innanzitutto per me, vogliono essere un modo di esservi vicino, non solo come missionario e vescovo ma come amico e fratello nella fede.
Il fatto che questa pandemia abbia colpito duramente l’Italia e particolarmente la Lombardia, mi ha ricordato una famosa frase dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Dopo la peste, a Renzo che, tornato al paese lo saluta, Tonio non fa che ripetere una frase: “A chi la tocca, la tocca!” Sì, purtroppo anche in questa nostra società tecnologica e sicura di sé, stavolta “è toccata” a tanti, parenti, amici, conoscenti…. e migliaia di persone che ora non sono più tra noi. “A chi la tocca, la tocca” è la constatazione banale ma oggettiva di una realtà che non guarda in faccia a nessuno. A voi, in Italia ed Europa, è toccata in modo pesante. Ora sembra la volta degli Stati Uniti….
Toccherà anche a noi in Uganda? Temo di sì. Mentre scrivo, i casi di contagio ufficialmente confermati sono poco più di 50, la maggior parte ugandesi di ritorno dall’estero. Nessun morto, finora. Ovviamente nessuno sa con sicurezza quanti altri, non controllati, sono stati infettati e possono a loro volta diffondere il contagio. È una bomba ad orologeria, che potrebbe scoppiare in ogni momento. Il grosso problema è che da noi i mezzi per identificare e verificare le condizioni dei malati sono molto limitati. Pensate che i tests vengono mandati tutti ad un solo centro, ad Entebbe! Purtroppo, anche le infrastrutture per prendersi cura dei pazienti sono molto poche e carenti. Se aggiungete la tendenza culturale della nostra gente ad aggregarsi e socializzare molto più che in Europa, potete immaginare che, se la cosa si diffonde, qui da noi rischia di essere un’autentica catastrofe. Speriamo e preghiamo!
Intanto il governo ha imposto misure preventive: chiusura di scuole e istituzioni, sospensione e proibizione di incontri, celebrazioni religiose pubbliche in chiese, moschee ed altri luoghi di culto, funerali, matrimoni. Vietato il trasporto pubblico delle persone. Ammessa inizialmente la circolazione di mezzi privati con un massimo di tre persone, compreso l’autista. Ora anche questo è proibito. Avevo pensato di andare in città a piedi, per seguire gli ultimi lavori della cattedrale. Ma Ngetta dista circa 8 km da Lira. Tra andata e ritorno fanno 16 km: non proprio una passeggiata per un giovanotto della mia età (oggi compio i 78) e con la schiena che mi ritrovo! La gente è confinata in casa e non può spostarsi per andare in una località diversa da dove risiede. A completare il quadro, ora c’è anche il coprifuoco dalle 7.00 di sera alle 6.00 della mattina…
Io sto bene, confinato a casa mia. Evitando la strada principale e approfittando del fatto che finora nessuna persona estranea è arrivata o uscita dal convento, mi reco però a piedi ogni giorno dalle Suore Missionarie di Maria Madre della Chiesa e posso quindi celebrare con loro, senza pericolo di contagio, la Messa e il Triduo Pasquale.
La gente ha paura, e riaffiorano pratiche tradizionali e religiose non cristiane. Qualche notte fa, nel buio, ho sentito un rumore crescente, accompagnato da grida, che si diffondeva nel villaggio vicino a casa mia, passando di capanna in capanna. Era la gente che, percuotendo taniche di plastica, scatole di cartone, padelle e quant’altro, cercava di “ryemo ikede”, scacciare il male, la malattia del corona virus lontano dalle loro case. Credenze superstiziose a parte, molta gente che al mattino partiva in cerca di qualche lavoro per guadagnare un po’ di soldi e dar da mangiare alla famiglia la sera, ora non sa più come fare per tirare avanti. Se questo dura a lungo, prima ancora del virus saranno la povertà e la fame ad uccidere le persone…
È questa la situazione di emergenza che - io qui e voi a casa vostra - siamo chiamati a vivere. Chissà perché, la frase “A chi la tocca, la tocca”, mi torna in mente ora sotto una luce diversa. Non come espressione rassegnata di fronte ad un destino cieco e fatale che non fa distinzioni fra povero o ricco, credente o meno. Ma come espressione di una chiamata, un lavoro da fare, una missione da compiere. Sì, è toccato e tocca a noi vivere oggi in modo diverso e costruttivo questo momento difficile, animati dalla speranza, guidati dalla fede nel Dio della Vita e dell’Amore. E toccherà ancora a noi – a me e a ciascuno di voi – vivere la sfida ancora più lunga e complessa che sarà il “dopo corona virus”. Con problemi nuovi, sfide inedite, da affrontare con pazienza, speranza e coraggio, per vivere e continuare a ‘fare Pasqua’.
Dicono infatti che anche “dopo”, con il ritorno alla normalità, tutto non sarà più come prima. Come sarà? Ci rinchiuderemo ancora di più ciascuno nel proprio guscio a cercare e difendere interessi personali, ignorando gli altri, oppure l’esperienza fatta di essere tutti sulla stessa barca ci aprirà il cuore e la mente ad una convivenza più umana e fraterna? Dipenderà da tutti noi, dalle nostre scelte di ogni giorno. Nella vita personale, in famiglia, nella società, in economia e in politica. Toccherà, anzi “tocca” a tutti ed ognuno di noi. In quanto cristiani, raggiunti e trasformati dalla vita nuova che scaturisce da Gesù Risorto, abbiamo una responsabilità ancora più grande: vivere e fare Pasqua oggi, domani e ogni giorno, in attesa della vittoria e della Pasqua finale.
Per questo, di cuore, AUGURI!
P. Giuseppe Franzelli
Vescovo emerito di Lira (Uganda)