Giovedì 3 settembre 2015
In questa settimana di preparazione al XVIII Capitolo Generale dei Missionari Comboniani, che inizierà ufficialmente domenica prossima, i capitolari hanno dedicato due giorni di riflessione all’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, ispiratrice del tema di questo Capitolo “Discepoli Missionari Comboniani chiamati a vivere la gioia del Vangelo nel mondo di oggi”. Le due giornate (martedì-mercoledì) sono state guidate da Mons. Marcello Semeraro [nella foto], vescovo di Albano e segretario del gruppo dei cardinali che Papa Francesco ha scelto come consiglieri più prossimi.
La dimensione sociale della evangelizzazione
Evangelii Gaudium
capitolo 4
Francesco dedica il capitolo IV della sua esortazione apostolica alla dimensione sociale dell’evangelizzazione. Potremmo domandarci: perché papa Francesco inserisce questo capitolo? Ha un rapporto questo tema con quello della evangelizzazione? La risposta è senz’altro no. Sottolineando la dimensione sociale dell’evangelizzazione il Papa vuole anzi approfondire il discorso su di essa e vuol anche dirci che tante volte la nostra opera di evangelizzazione trascura la parte relativa al sociale, inteso in senso ampio, che comprende la politica, la famiglia umana, la famiglia domestica, le relazioni tra i popoli, il diritto internazionale.
Perché, allora, è importante la dimensione sociale? Troviamo la risposta al numero 176: perché se questa dimensione non è debitamente esplicitata e vissuta si corre il rischio di sfigurare la missione evangelizzatrice della Chiesa. Altrimenti detto, chi non si cura dell’evangelizzazione del sociale, rischia di ridurre la missione evangelizzatrice della Chiesa. Chi non porta il Vangelo nell’economia, nella politica, nelle relazioni fra gli Stati, nella finanza, nell’impresa, nella famiglia … ; chi non porta in queste realtà la vita di Cristo, rischia di ridimensionare arbitrariamente la missione evangelizzatrice della Chiesa, cioè rischia di non realizzarla. La vita nuova di Cristo va portata ovunque, va vissuta ovunque, dove si vive, come singoli, come gruppi, come comunità, come famiglia, come organizzazione …
Francesco ci indica una seconda ragione: perché il kerygma, il primo annuncio, l’annuncio essenziale della salvezza, possiede un contenuto che e inevitabilmente sociale. Nel cuore del Vangelo, dice il Papa, ci sono la vita comunitaria e I’impegno con gli altri e per gli altri (cfr EG n. 177). Nel cuore del Vangelo c’è I’impegno per la giustizia. Questo lo richiede il realismo dell’incarnazione. Cosa vuol dire «realismo» dell’incarnazione? Vuol dire che Gesu Cristo si e realmente incarnato, non e rimasto al di fuori dell’esistenza dei singoli, al di fuori della storia e delle società. Non è venuto sulla terra solo per visitarla, rimanendone estraneo. Si è realmente incarnato, cioè si e calato dentro l’umanità, ha assunto ognuno di noi. Sicché noi viviamo in Lui, siamo in Lui, ci muoviamo in Lui. San Paolo arriva a dire che per noi vivere e Cristo. Ecco, il realismo dell’incarnazione.
Muovendo, dunque, dal realismo dell’incarnazione e della fraternità, dall’urgenza dell’opzione preferenziale per gli ultimi, EG viene a proporre il progetto dell’inclusione sociale dei poveri, la prospettiva di una nuova tappa dell’evangelizzazione del sociale. Poiché c’è la dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione, la Chiesa non può dimenticare che occorre sviluppare la evangelizzazione del sociale e una pastorale conseguente, la pastorale sociale.
Come si può vedere dall’indice di EG, il IV capitolo si concentra su due grandi aree dell’evangelizzazione del sociale: l’inclusione sociale dei poveri e il bene comune e la pace sociale, con il connesso dialogo. Per gli altri problemi il Papa rinvia al Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa, che è la sintesi aggiornata di tutto l’insegnamento sociale della Chiesa sino ad oggi (esclusa ovviamente Laudato si’).
L’inclusione sociale dei poveri
Le priorità che Papa Francesco assegna alla evangelizzazione del sociale sono, dunque, l’inclusione sociale dei poveri e la realizzazione del bene comune e del dialogo sociale. Se vogliamo essere protagonisti di una nuova evangelizzazione del sociale non dobbiamo e non possiamo dimenticare queste due questioni.
Oggi è urgente l’inclusione sociale dei poveri. Oggi ci rendiamo sempre più conto che pure in un contesto di globalizzazione (che alcuni ritengono essere dotata di un potere taumaturgico, ossia naturalmente inclusivo del benessere) siamo di fronte ad alti tassi di povertà. La ragione è che la globalizzazione non e stata adeguatamente orientata alla realizzazione del bene comune della famiglia umana. E così sono aumentate le diseguaglianze, oltre che le povertà, anche all’interno dei paesi ricchi, con la quasi sparizione della classe media. Siamo di fronte a un neoliberismo sfrenato e illimitato, che mette in serio pericolo l’esistenza dello Stato di diritto sociale e la democrazia inclusiva e partecipativa. Oggi, dunque, permane il problema dell’inclusione dei poveri: inclusione vuol dire integrare nella società, non tenere la gente ai margini della vita economica, della vita del mercato, della vita politica.
Cosa bisogna fare? Papa Francesco propone alcune soluzioni di tipo generale, che costituiscono dei punti di riferimento per i cattolici che sono impegnati in politica, ma non solo; anche per gli uomini di buona volontà.
Per integrare i poveri, ricorda il Papa, non bastano i piani assistenziali; bisogna superarli sconfiggendo le cause strutturali della povertà (cfr EG n. 202). In sostanza, è come se il Papa ci dicesse: cari credenti non basta essere impegnati nella Caritas diocesana. Questa è sicuramente importante, ma non è tutto. Bisogna soprattutto lottare contro le cause strutturali della povertà.
Che dire delle parole di papa Francesco? Bisogna riconoscere che molti cattolici sono impegnati nell’assistenza, nel volontariato, ma meno nella politica. Anzi, tendono a rifuggire da essa. Si interessano di più del pre-politico. Questo è sbagliato, almeno, secondo gli orientamenti dati da Papa Francesco. Per sconfiggere le cause strutturali della povertà occorre anche entrare nella camera dei bottoni, che è la politica. Si devono superare i piani semplicemente assistenziali, per aggredire le cause strutturali della povertà e dell’esclusione.
Cosa suggerisce, in particolare, Papa Francesco? Suggerisce che occorre pensare:
La Dottrina Sociale della Chiesa, e Papa Francesco, non propone di chiudere i mercati. Domanda che siano più liberi, stabili, trasparenti, funzionali alle famiglie, alle imprese, alle comunità locali, alla famiglia umana in generale. Propone cioè che i mercati siano non dei «mali pubblici», bensì dei «beni pubblici» per tutti e al servizio di tutti.
Una Chiesa povera per i poveri
La conversione pastorale-missionaria richiesta da Francesco, proprio perché chiama i credenti a raggiungere le periferie prive della luce del Vangelo (EG 20), esige che tutti i credenti vivano l’opzione per i poveri.
Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! Francesco fece questa esclamazione durante l’incontro coi rappresentanti dei media, il 16 marzo 2013. È giusto dire che «senza l’esplicitazione della dimensione sociale dell’evangelizzazione, il vero significato della missione evangelizzatrice corre il rischio di essere sfigurato»[1]. Il tutto, considerando Evangelii Gaudium, può riassumersi in tre punti:
Ciò premesso, si potrà dire che rispetto al magistero precedente gli elementi più nuovi e specifici del magistero di Francesco (da leggersi ovviamente nel contesto dell’ecclesiologia presente in Evangelii Gaudium) siano i passaggi presenti al n. 198, dove il Papa spiega il motivo per il quale egli desidera una Chiesa povera per i poveri:
I poveri hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare dai poveri. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.
Nel Discorso dell’8 maggio 2013, alla assemblea plenaria dell’Unione Internazionale Superiore Generali, Francesco aveva detto che «la povertà si impara toccando la carne di Cristo povero, negli umili, nei poveri, negli ammalati, nei bambini». Più ampiamente, nella Veglia di Pentecoste – 18 maggio 2013:
Questo è il problema: la carne di Cristo, toccare la carne di Cristo, prendere su di noi questo dolore per i poveri. La povertà, per noi cristiani, non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua Incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo. Se noi andiamo verso la carne di Cristo, incominciamo a capire qualcosa, a capire che cosa sia questa povertà, la povertà del Signore.
In Evangelii Gaudium 24 tornerà sul tema:
La comunità evangelizzatrice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo.
Da qui la singolare forza di una testimonianza quando giunge da un «povero», la cui esistenza può persino avere una forza salvifica.
I quattro principi chiave
di Papa Francesco
La seconda priorità segnalata da Papa Francesco in vista della evangelizzazione del sociale è realizzare il bene comune e il dialogo sociale. Dobbiamo essere realmente «popolo» e perché ciò possa realizzarsi Papa Francesco suggerisce quattro principi in grado di orientare lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune (cf. EG 221).
Si tratta di questi: il tempo è superiore allo spazio (EG 222-225), l’unità prevale sul conflitto («per sviluppare una comunione nelle differenze», (EG 226-230), la realtà è più importante dell’idea (per «passare dal nominalismo formale all’oggettività armoniosa», (EG 231-233), il tutto è superiore alla parte (per cui azione pastorale e azione politica debbono raccogliere, come in un poliedro, «tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità, (EG 234-237). In tale prospettiva il dialogo sociale è un contributo fondamentale per la pace; un dialogo che impegna anche i cristiani a livello ecumenico e interreligioso.
Tre di questi principi, J. M. Bergoglio li aveva già enunciati nel 1974, inaugurando la XIV Congregazione Provinciale dei gesuiti di Argentina. Si trattava, in quel caso, di principi validi per orientare anche la vita della provincia gesuitica. Bergoglio li affidava ai superiori locali e ai direttori delle opere della Compagnia: l’unità è superiore al conflitto; il tutto è superiore alla parte[2], il tempo è superiore allo spazio[3].
Alcuni di questi principi, benché con enunciazione un po’ differente, torneranno in un successivo studio di Bergoglio, risalente al 1990[4]. Qui il tema è quello della speranza come principio e fondamento della unio animorum. Il riferimento è palesemente ignaziano e difatti Bergoglio fa riferimento alle Costituzioni della Compagnia di Gesù. In tale contesto, richiamando i compiti del Superiore religioso egli ne ricorda la vocazione di armonizar la diversidad plasmando la unidad. È compito difficile, poiché anche il Superiore ha le tentazioni dell’accidia, della pigrizia, dell’incertezza, di salvaguardare la «pace» a qualunque costo[5]. Nella considerazione, dunque, dell’unità di un corpo apostolico Bergoglio sottolinea che
La unidad pasa también por la superación – sin negarlo ni enredarse en él – del conflicto: superación que se realizará en su plano superior, conformada por la esperienza amorosa, el único modo en que la unidad es superior al conflicto[6].
Un’esposizione più completa e organica Bergoglio la offrirà nella Conferenza alla XIII Giornata arcidiocesana di pastorale sociale, il 16 ottobre 2010. Qui la sequenza di enunciazione dei quattro principi è esattamente la stessa che in EG e li si trova esposti in rapporto ad alcune tensioni bipolari: la tensione, anzitutto, fra pienezza e limite al cui interno sono enunciati i principi che il tempo è superiore allo spazio e l’unità è superiore al conflitto; nella tensione fra idea e realtà è inserito il principio che la realtà è superiore all’idea[7]; nella tensione fra globalizzazione e localizzazione c’è, infine, il principio che il tutto è superiore alla parte[8].
Due di questi principi, da ultimo, sono ricordati anche nella lettera enciclica Lumen fidei, interessanti «segnali» del pensiero e della penna di Papa Francesco in un documento, che egli stesso ha riconosciuto assunto in buona parte da Benedetto XVI[9]. Il primo è al n. 55 dell’enciclica:
La fede afferma anche la possibilità del perdono, che necessita molte volte di tempo, di fatica, di pazienza e di impegno; perdono possibile se si scopre che il bene è sempre più originario e più forte del male, che la parola con cui Dio afferma la nostra vita è più profonda di tutte le nostre negazioni. Anche da un punto di vista semplicemente antropologico, d’altronde, l’unità è superiore al conflitto; dobbiamo farci carico anche del conflitto, ma il viverlo deve portarci a risolverlo, a superarlo, trasformandolo in un anello di una catena, in uno sviluppo verso l’unità.
Il secondo richiamo presente in Lumen fidei riguarda al principio che il tempo è superiore allo spazio. Si trova al n. 57 dell’enciclica:
Nell’unità con la fede e la carità, la speranza ci proietta verso un futuro certo, che si colloca in una prospettiva diversa rispetto alle proposte illusorie degli idoli del mondo, ma che dona nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano. Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che «frammentano» il tempo, trasformandolo in spazio. Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza.
Ritengo sia davvero importante sottolineare questo principio, che il tempo è superiore allo spazio! Esso, spiega il Papa, «permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati» (EG 223). Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci.
Questo principio, bene manifestato nella parabola del grano e della zizzania, il Papa stesso in EG 225 lo riferisce all’evangelizzazione,
che richiede di tener presente l’orizzonte, di adottare i processi possibili e la strada lunga. Il Signore stesso nella sua vita terrena fece intendere molte volte ai suoi discepoli che vi erano cose che non potevano ancora comprendere e che era necessario attendere lo Spirito Santo (cf. Gv 16,12-13) .
Alla luce del Messaggio di Papa Francesco per la 48° Giornata Comunicazioni sociali (1 giugno 2014)[10], potremmo riconoscere in questo principio l’elogio della lentezza:
Esistono […] aspetti problematici: la velocità dell’informazione supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta […] dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta.
Tutto questo lo si può anche riferire alla comunicazione della fede e al compito di intendere in chiave missionaria lo stesso modo di comunicare il Vangelo. Infatti,
Nel mondo di oggi, con la velocità delle comunicazioni e la selezione interessata dei contenuti operata dai media, il messaggio che annunciamo corre più che mai il rischio di apparire mutilato e ridotto ad alcuni suoi aspetti secondari (EG 34).
Da qui il pericolo di certe operazioni, che isolano dal loro contesto alcune questioni che fanno parte dell’insegnamento morale della Chiesa, che identificano il messaggio con alcuni suoi aspetti da cui non appare il cuore del Vangelo; il pericolo dell'essere come «ossessionati dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere» (EG 35). Ne deriva il principio:
Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa (EG 35).
È importante, in questa situazione, rifarsi a due criteri, di cui il primo è desunto dal magistero conciliare e il secondo dalla teologia tomista. Si tratta della gerarchia delle verità (cf. EG 36) enunciata da Unitatis Redintegratio 11 per il dialogo ecumenico, ma valido come più ampia criteriologia teologica, e della gerarchia nelle virtù e negli atti che da esse procedono (cf. EG 37)[11].
Il discorso può essere ampliato. Nella pastorale e pure nella vita spirituale e anche nell’evangelizzazione c’è, forse, bisogno di recuperare un certo senso di ordine e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare e accogliere il dono di Dio e ottenere così quella gioia che permette di essere davvero evangelizzatori.
Mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano
[1] F. Badiali, «Evangelii gaudium», come annunciare oggi, in “Bologna Sette” della domenica 6 luglio 2014, p. 2. Sul tema cf. pure Riccardi, La sorpresa di Papa Francesco, 83- 118 («La Chiesa dei poveri»).
[2] Interessante, per la descrizione di questo principio il ricorso al modello del poliedro, che Bergoglio-Francesco compie di frequente. Lo si trova anche in EG 236: «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti».
[3] Bergoglio, Meditaciones para religiosos cit., 49-50 (ed. 2014 48-49).
[4] Ora pubblicato in Bergoglio, Reflexiones en esperanza cit., 199-237 («Esperanza e Istitución»), apparso per la prima volta in CIS, vol. XX, Roma, 63-64, pp. 121-142. Il volume è pure in tr. it. col titolo Non fatevi rubare la speranza. La preghiera, il peccato, la filosofia e la politica pensati alla luce della speranza, Mondadori, Milano 2013 (per lo studio in questione, pp. 141-161).
[5] È un’anticipazione delle tentazioni degli operatori pastorali di cui in EG 76-109.
[6] Reflexiones en esperanza cit., 236 (tr. it. cit., 161).
[7] Secondo A. Spadaro S. J., il fil rouge che anche sotto il profilo culturale attraversa tutti i riferimenti di Bergoglio-Francesco è da rintracciare nel principio della realtà che supera l’idea: «D’altronde nel cinema ama il neo realismo. In letteratura è colpito dal tragico, da Dostoevskij ad esempio. Poi insiste molto su Virgilio: in fondo Enea, il pius per eccellenza, è una figura simile ad Abramo, che va in periferia, e quella periferia diventerà poi il centro del mondo», Spadaro, Come pensa e come opera cit., 49.
[8] Per un confronto con EG si potrà vedere il testo in http://www.arzbaires.org.ar/inicio/homiliasbergoglio.html. Per un commento a questi quattro principi, in Scannone, Papa Francesco e la teologia del popolo, 581-585; l’Autore suggerisce che essi siano tratti dalla lettera di Juan Manuel de Rosas a Facundo Quiroga del 20 dicembre 1834. Per quest’ultimo documento è reperibile anche su http://www.lagazeta.com.ar/hacienda_de_figueroa.htm.
[9] Cf. Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei, 7. Per un altro esempio d’intervento di Francesco sull’enciclica, cf. M. Semeraro, La memoria: per una rilettura della Lumen fidei, in «Rivista di Scienze Religiose», XXVII, 2013/2, 493-503.
[10] Il tema del Messaggio, datato 24 gennaio 2014, è «Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro». Su questa categoria, anch’essa cara a J. M. Bergoglio - Francesco, cf. D. Fares, Papa Francesco e la cultura dell’incontro, ne «La Civiltà Cattolica» 2014, I, 449-460; Idem, Papa Francesco è come un bambù. Alle radici della cultura dell’incontro, Ancora – La Civiltà Cattolica, Milano 2014;
[11] Testo di riferimento è Summa Theologiae, I-II, q. 66, a. 4-6. Cf. R. Del Riccio, voce Gerarchia delle verità, in G. Calabrese, Ph. Goyret, O. Piazza (edd.), «Dizionario di Ecclesiologia», Città Nuova, Roma 2010, 685-691; Fernández, Il progetto di Francesco cit., 46-50.