P. Mario Negrini era nato a Caspoggio (Sondrio) il 24 maggio 1932. La sua vocazione missionaria ebbe un inizio occasionale: “Una specie di sfida con mio cugino Dino – ci racconta lui stesso – che voleva andare in seminario, e allora io dicevo ‘perché lui sì e io no?’. Il 15 ottobre 1944, a dodici anni, dopo un lungo viaggio di due giorni, a piedi fino a Sondrio accompagnato dalla mamma, poi in treno e battello fino a Como, e infine con il camioncino del superiore, fino a Crema, iniziò la mia vita in seminario; un inizio duro, dovuto anche al periodo di guerra”. Così cominciano le pagine nelle quali P. Mario Negrini ha voluto “raccontarsi” nel gennaio 2015, mentre si trovava a Como, e dalle quali attingiamo per questo necrologio.
La formazione e i primi anni di sacerdozio
Mario rimase tre anni a Crema, dove vigeva una “ferrea disciplina”. Poi passò a Brescia, dove rimase fino al 1950 e al noviziato di Firenze, dove emise la prima professione il 9 settembre 1952. Da quell’anno fino al 1956 fece gli studi di filosofia a Verona. In quel periodo dovette interrompere gli studi per una malattia polmonare e fu ricoverato nella casa comboniana di Arco (Trento).
Guarito, completò gli studi di teologia a Venegono Superiore (Varese), dove fece la professione perpetua il 9 settembre 1958. Il 2 aprile 1960 ricevette l’ordinazione sacerdotale dalle mani del Card. Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI). Celebrò la Prima Messa a Caspoggio, la sera del 28 giugno 1960, assieme a P. Pietro Bracelli, suo compaesano, che era appena arrivato da Como, dove era stato ordinato il 26 giugno.
La prima destinazione di P. Mario fu Brescia, dove andò come incaricato dell’animazione missionaria nelle parrocchie e come insegnante di scienze nelle scuole del ginnasio comboniano, fino al 1963. Successivamente fu destinato alla Spagna, a San Sebastián, nella redazione della rivista “Piccolo Missionario”, edizione spagnola. Nel frattempo studiava la lingua. In quel periodo ebbe una ricaduta della malattia e fu ricoverato nuovamente ad Arco. Dopo le cure, nel 1968 ritornò a Brescia come insegnante.
In missione
Finalmente nel 1970 poté realizzare il sogno di andare in missione: fu mandato in Messico, nella Bassa California messicana e precisamente nella capitale La Paz.
Il primo anno lavorò in seminario come economo. Poi passò alla parrocchia di S. Rosalia, poi nuovamente a La Paz, come coadiutore nella parrocchia di Nostra Signora. “Nel frattempo era deceduta mia mamma (1971). Non ebbi la possibilità di rientrare in Italia per i funerali, perché la notizia della sua morte era arrivata giorni dopo. Finalmente nel 1975 venni in Italia per vacanza e per un corso di aggiornamento a Roma. Così ho potuto ritrovare i familiari e pregare sulla tomba della mamma”.
Al termine del corso, P. Mario tornò in Messico e fu incaricato dell’amministrazione economica di tutte le comunità comboniane in Messico: per cinque anni la sua residenza fu nella capitale, Città del Messico; poi, nei quattro anni successivi, svolse il suo ministero tra le parrocchie della periferia della grande città. Nel 1985 ritornò in Bassa California come parroco a Ciudad Constitución, dove rimase per undici anni. In quel periodo costruì e ristrutturò varie chiese e centri di catechismo.
Nel 1996, dopo anni di pastorale, d’accordo con i superiori, riprese il lavoro di animatore missionario e formatore dei seminaristi comboniani. Per questi incarichi ritornò a Città del Messico e vi rimase fino al 2000.
Tornò in Italia per tre anni, come superiore nel seminario di Thiene e, per altri due, nella casa di Rebbio. Ma nel 2005 fece ritorno in Bassa California, alla periferia di La Paz, nella parrocchia della Sacra Famiglia.
Alcune riflessioni sulla missione messicana
“Il mio primo impatto con il Messico e la Bassa California è stato, oltre che con il deserto geografico, soprattutto con il deserto spirituale, cioè di una fede che andava morendo. Primo, perché i missionari gesuiti, giunti decenni prima, erano stati espulsi dal governo, contrario alla Chiesa. Questo lasciò i fedeli senza guida. Secondo, per la mancanza di comunità cristiane formate. C’erano cristiani battezzati, però isolati, senza comunità. Cristiani di nome, non di fatto, senza aver ricevuto la Cresima, senza Eucaristia e matrimoni senza sacramento. Noi Comboniani abbiamo rievangelizzato secondo nuovi criteri. Più che preoccuparci dei battesimi, ci siamo preoccupati di far rivivere la fede nelle persone, formando nuove comunità. Le mie parrocchie erano costituite da parecchi paesi, con la chiesa, distanti tra loro anche 100 o 200 km., ed erano collegate con strade sterrate, difficili da percorrere. Il clima d’estate era caldissimo, mentre d’inverno era mite e gradevole, seppure con sbalzi di temperatura.
La mia esperienza missionaria è stata positiva, nonostante l’indifferenza e la mancanza di aiuti da parte delle autorità civili. Il clima ostile si è rivelato subito mediante un fatto molto triste, l’uccisione di un missionario comboniano da parte di un gruppo massonico che aveva poi presentato l’accaduto come una disgrazia, un annegamento, mentre c’erano segni visibili di strangolamento. Un’esperienza positiva è stata quella di aver potuto constatare nella Bassa California un progresso chiaro, non solo civile, ma soprattutto nella fede, al punto che ora possiamo consegnare le parrocchie gestite da noi comboniani alla Chiesa locale”.
Ritorno in Italia
Per il suo 50° anniversario di ordinazione sacerdotale, P. Mario chiese di poter tornare in Italia. Così poté festeggiare l’importante anniversario a Caspoggio, il 4 luglio, con P. Pietro Bracelli, con il parroco, diversi sacerdoti, parenti, amici e con tutta la comunità. Purtroppo, scriveva, “in tutte queste ultime occasioni ho vissuto senza la presenza dei miei fratelli e sorelle, tutti deceduti senza che io avessi potuto essere presente al funerale. Però dalla missione ho saputo offrire questo sacrificio al Signore e condividere il dolore con tutte le famiglie”.
Dopo il 2010, P. Mario era ancora disponibile a ritornare in missione ma i superiori lo destinarono a Rebbio per svolgere il lavoro di animazione missionaria e per le giornate missionarie nelle parrocchie.
“Ora, nel 2015, continuo il mio ruolo di missionario comboniano a Rebbio, in compagnia di altri confratelli e del mio compaesano P. Pietro. Qui posso alternare il lavoro con il riposo e la preghiera. Ogni tanto presto servizio nelle parrocchie vicine e qualche volta faccio una capatina a Caspoggio per ricordare la parrocchia dove ho celebrato la Prima Messa e pregare sulla tomba dei miei genitori, fratelli e sorelle”.
All’inizio del 2017 fu trasferito per cure a Milano, dove è deceduto il 27 giugno 2018.
Dal Messico ricordano
Il ricordo che P. Mario ci ha lasciato in tutti questi anni di servizio alla missione comboniana in Messico è di un uomo semplice e dedito al suo lavoro, austero nello stile di vita, sobrio e attento alle persone.
Di poche parole, sereno, ha saputo creare un clima di fraternità nelle comunità in cui ha vissuto. Anche se non era uno che amava le feste, sapeva approfittare delle occasioni per stare assieme ai confratelli e alle persone della comunità.
Nel suo lavoro pastorale ha cercato di aiutare e seguire i laici e nelle parrocchie dove prestava servizio si è sempre impegnato per la formazione di responsabili e catechisti. Era interessato ai movimenti e, soprattutto in Bassa California, è stato uno dei missionari che ha seguito con simpatia e dedizione i membri dei Cursillos, della Legione di Maria e del Rinnovamento carismatico. Come pastore è sempre stato vicino alle persone che gli venivano affidate con dedizione e conquistando il cuore di tutti i suoi fedeli.
Testimonianza
P. Pietro Bracelli, che ha anche passato con lui gli ultimi anni a Rebbio, scrive: “Per due volte si era ammalato ai polmoni e per due volte ha superato la crisi… Con i suoi 83 anni, dimostra uno stato di salute superiore al normale. Di questo, lo sento sempre ringraziare il Signore, quasi fosse stato, a suo dire, un miracolo. P. Mario è sempre stato un missionario pieno di allegria e disponibilità, sensibile e capace di essere amico con tutti, quindi ben accetto in ogni comunità e dai singoli confratelli. La salute spirituale e anche quella fisica sono state due sostegni forti nella sua vita. Anch’io, con lui, ringrazio il Signore per tutto quello che ci ha dato, chiamandoci alla vita missionaria”.
Da Mccj Bulletin n. 278 Suppl. In Memoriam, gennaio 2019, pp.63-67.