“Adesso, più che mai in passato, mi trovo nelle mani di Dio, ciò che ho voluto sempre sin dalla mia giovinezza. È ciò che voglio ancora adesso. Ma ora c’è qualcosa di completamente diverso: l’iniziativa è tutta e soltanto di Dio. Queste parole di P. Pedro Arrupe, a me care, danno voce ai miei 93 anni”. Così si legge sul biglietto che P. Pietro Chiocchetta ha voluto scrivere per il suo compleanno (l’ultimo), il 18 novembre 2013.
Notizie biografiche
Pietro era nato nel 1920, da Lamberto ed Ester Montuldo, a Verona, dove frequentò il liceo classico. Il 20 giugno 1944 entrò nel Noviziato comboniano, mentre la guerra volgeva al termine. Dopo l’anno canonico, frequentò la Teologia prima a Venegono e poi a Roma, presso la Pontificia Università Urbaniana. Il 16 aprile 1949 fu ordinato sacerdote e due mesi dopo si laureò in Lettere e Filosofia presso l’Università di Padova.
Superato l’esame di Teologia (28 giugno 1949), venne chiamato dal Superiore Generale all’insegnamento di Storia della Chiesa e Patrologia nello Scolasticato Teologico di Venegono Superiore, divenendo Prefetto degli Studi negli anni 1951-1953. Nel frattempo seguiva corsi di specializzazione alla Pontificia Facoltà Teologica di Milano ed era chiamato a tenere lezioni nella Libera Scuola di Scienze Storiche “L.A. Muratori” di Verona e all’Ambrosiana di Milano.
Nel 1954, dopo essersi laureato in teologia con la tesi Significato della Storia e senso storico nella luce del mistero di Cristo, fu mandato in Libano per prepararsi alla missione in Sudan. Ma subito arrivò la richiesta del Card. Fumasoni-Biondi, che si faceva portavoce del Consiglio di Facoltà dell’Università Urbaniana, per averlo come insegnante: vi entrò come Incaricato di Storia e Teologia del Protestantesimo. Nel 1955 assunse la cattedra di Storia della Chiesa, diventandone docente “ordinario” nel 1962. Nel 1967 diventò anche Incaricato del corso di Metodologia scientifica generale per tutte le facoltà dell’Urbaniana, oltre che membro del Consiglio di facoltà.
Pur avendo dedicato più di 35 anni all’insegnamento, ebbe diversi altri incarichi: Presidente di Studium Combonianum (1965-1991), Rettore della Pontificia Università Urbaniana (1971-1974 e 1983-1986); Consultore del Segretariato per i non Cristiani, della Congregazione per le Cause dei Santi (1971-2013), della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (dal 1979) e della Commissione Teologica. È stato anche Postulatore Generale per l’Istituto dal 1986 al 1996. Tutte queste presenze nei vari dicasteri e nel servizio dell’Istituto indicano la vastità delle sue conoscenze e la fiducia che si era acquistato con i suoi “rapporti scritti”.
Qualche cenno sulla sua personalità
“La prima volta lo incontrai nell’ottobre 1962 – scrive P. Francesco Pierli nella sua testimonianza – quando era professore di Storia della Chiesa all’Urbaniana. Le sue lezioni erano altamente apprezzate da tutti noi studenti per due ragioni: la brillantezza e vivacità del discorso e della presentazione e poi il contenuto. Era una storia della Chiesa da un punto di vista missionario! Era l’incontro del Vangelo con culture e sistemi sociali, politici ed economici ancora ‘alieni’ al Vangelo. Ricordo in modo particolare le sue riflessioni sul valore e significato delle persecuzioni che sempre accadono quando il Vangelo irrompe e sfida mondi ancora inesplorati: prima evangelizzazione. P. Pietro ci trasmetteva una grande carica missionaria.
Conosceva bene il tedesco quindi, a cominciare da Roma, dove c’erano due scolasticati, faceva da tramite fra i due, iniettando in tutti noi scolastici del tempo la voglia e il desiderio ardente della riunificazione. Fra di noi, allora giovani, eravamo già una congregazione unica, anche prima del 1979. Ne era simbolo il fatto che avevamo un’unica squadra di calcio – I comboniani – che ci permetteva di non sfigurare di fronte ai grandi collegi romani con più di 100 studenti. Noi, in tutto, eravamo 15 o 16. Se san Daniele Comboni è riuscito a riunirci, P. Pietro ha svolto in questo un ruolo non secondario”.
Alcune righe dopo, riguardo al carattere, P. Pierli aggiunge: “Ha parlato e scritto infinite volte della croce nella vita del Comboni. Anche lui, P. Pietro, ha sofferto molto nella vita. Con le parole di Paolo potremmo dire che ha avuto la sua spina nella carne, da cui forse avrebbe voluto essere liberato ma senza riuscirvi: un insieme di timidezza, di aggressività e di inclinazione a vedere più tenebre che luce nel comportamento degli altri nei suoi confronti. Aveva un’infinita sete di amore e di attenzione mai soddisfatta. Questo lo rendeva a volte amaro e scontroso”.
La rimozione dei due Reponatur
“Tutti sappiamo – è sempre P. Pierli che parla – che il cammino della causa di canonizzazione del Comboni è stato burrascoso; due Papi come Pio XII nel 1953 e Giovanni XXIII nel 1959 avevano espresso parere negativo sul proseguimento della stessa. Nella prassi vaticana, dopo il secondo Reponatur, si mette una pietra sepolcrale sulla causa. P. Pietro, assieme a P. Aldo Gilli, in occasione del primo centenario della morte del Comboni, nel 1981, riuscì a farla sbloccare, con l’aiuto dello Spirito Santo, contando sulle competenze che avevano acquisito sulla storia del Comboni e investendo sull’amicizia con il Cardinale Pietro Palazzini, amico e sostenitore di tanti comboniani marchigiani e, allora, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Un evento, questo, che ha fatto storia nella stessa congregazione, come riconoscerà anche un uomo di grande competenza, lo storico e collega di P. Pietro, il gesuita Giacomo Martina”.
Il ricordo del Postulatore Generale
Riportiamo una parte della lunga testimonianza di P. Arnaldo Baritussio, in occasione del funerale: “Sono qui come suo ‘indegno’ successore – scrive rivolgendosi direttamente a P. Chiocchetta – nell’incarico di Postulatore, ma soprattutto per un preciso sentimento di gratitudine, sorprendente e convinto, perché il passaggio di consegne, a suo tempo, non è stato indolore. Lei è stato una figura di rilievo per capacità intellettuali e incarichi svolti, quindi l’avvicendamento è stato interpretato in varie maniere: quasi un attentato di lesa maestà, un’ingratitudine e mancanza di riconoscenza per chi tanto si era speso, una scelta azzardata, ecc. (dall’alto riderà con noi!). Poi tutto si è appianato perché mai sono mancati nei suoi confronti, almeno da parte mia, la considerazione, il rispetto, la deferenza, il colloquio amico e sereno.
Infatti, dopo la Beatificazione del Comboni, di cui lei, P. Aldo Gilli e P. Luciano Franceschini siete stati gli indiscussi e riconosciuti fautori, si sono succedute la Beatificazione dei martiri di Paimol, la Canonizzazione del Comboni, l’inizio delle cause di P. Sartori e P. Ambrosoli, la ripresa della Causa di Mons. Roveggio e, forse non molto appoggiate, le cause di Fr. Giosuè dei Cas e di P. Ezechiele Ramin. Conservo ancora le sue lettere per l’avvenuta Canonizzazione del Comboni e la sua soddisfazione per il contenuto del Proprio liturgico del Fondatore. Le parole che mi ha inviato, le custodisco gelosamente, perché sono la testimonianza più lucida di chi ha colto in pieno la rilevanza e l’impatto ecclesiale della figura del Fondatore; sono l’espressione del suo smisurato e quotidiano amore per Comboni e traducono la sincera commozione – che ho colto nei suoi occhi – e vorrei dire l’entusiasmo, per aver potuto pregare sui nuovi testi liturgici propri del Comboni che, a suo dire, riflettono la grandezza e la freschezza del carisma missionario comboniano.
Allora oggi le devo un duplice ringraziamento. Anzitutto per il grande ricordo che ha lasciato nella Congregazione delle Cause dei Santi, soprattutto per la competenza del lavoro svolto. La sua memoria, sempre viva e dal tocco decisamente comboniano, mi ha aiutato non poco ad aprire porte chiuse e a far considerare passabili certe imprecisioni giuridiche che non tenevano conto delle turbolenze della vita missionaria. Lei è stato ricordato con ammirazione in Dicastero, in particolare da alcuni suoi alunni che in quel Dicastero hanno svolto ruoli di rilievo. Ci tengo a precisare che è stato ricordato come uno che ha amato l’Istituto e la missione, che è rimasto affascinato dalla luce che ci viene dai nostri grandi, in primis san Daniele Comboni.
In secondo luogo, le devo un sentito grazie anche per l’incoraggiamento con cui sempre mi ha spinto a continuare, nonostante tutto, l’oscuro lavoro di scavo in archivi e biblioteche per non lasciar cadere la memoria di alcuni nostri eccellenti confratelli, testimoni della missione. Con questo, ci ha dato un insegnamento fondamentale: ‘Ogni comunità è chiamata a trasmettere i suoi modelli credibili pena la sua stessa sopravvivenza, pena il suo divenire – come qualcuno ha detto – comunità di uomini e donne di sabbia’”.
“Tra il Benaco e il Nilo”
Numerose sono le pubblicazioni, gli scritti, i saggi e gli scambi di corrispondenza con varie persone e confratelli. Vogliamo segnalare in particolare il libro “Tra il Benaco e il Nilo”, curato da P. Chiocchetta e pubblicato nel 2000. È interessante, in proposito, leggere la lettera che l’autore indirizzò a Bruno Forte per chiedergli di scrivere la presentazione del libro: “Mi permetto di chiederle cordialmente se avrà la condiscendenza di fare la presentazione al mio libro testamentario. ‘Tra il Benaco e il Nilo’ si svolge l’intera vicenda umana e spirituale di Comboni e dei suoi resti mortali, ma con un intermezzo, l’illuminazione in San Pietro. È qui quel ‘frammento’ che ricapitola un passato e riesce principio ermeneutico d’una storia nella sua coerente unità e semplicità. Tale frammento ha deciso, una volta compreso, l’intera articolazione del mio lavoro… Ho scritto per me ‘nella memoria del Fondatore’ ma pensando ai confratelli e consorelle che nel fervore e turbinio dell’aggiornamento e del farsi ‘internazionale’ dell’Istituto, hanno bisogno di un punto fermo di ispirazione e di confronto”.
Le parole del Superiore Generale, P. Enrique Sánchez G.
Con la morte di P. Pietro l’Istituto perde non soltanto un missionario, ma un confratello che ci ha aiutato durante tutta la sua vita a vivere il nostro carisma, la nostra vocazione missionaria e comboniana in particolare. È stato una delle figure che ci ha permesso di avvicinarci, di conoscere e di amare il nostro Fondatore. Con il suo lavoro e la sua passione per lo studio, ci ha dato la possibilità di capire meglio il dono che il Signore ci ha fatto attraverso il carisma, la persona e la spiritualità di san Daniele.
Non potremo mai dimenticare il lavoro fatto da P. Pietro per seguire e rendere possibile tutto il processo che ha permesso di riconoscere il dono della santità di Comboni a tutta la Chiesa.
Tutti sappiamo con quanta passione si è consacrato al servizio affidatogli nel mondo universitario, dove ha saputo seminare le sue conoscenze e la sua passione per la missione. Come insegnante, ricercatore, rettore, ma soprattutto come missionario ha lasciato una bella impronta nel cuore di migliaia di studenti di tutto il mondo che lo ricordano come un grande uomo.
Per noi è stato un confratello che ha saputo mettere a disposizione dell’Istituto e della missione le sue qualità e la sua professionalità. Lo ricordiamo come un esperto di Storia della Chiesa e più ancora come un appassionato della spiritualità missionaria, che sapeva trasmettere non solo nelle lezioni all’università, ma in qualsiasi occasione in cui era chiamato a condividere la sua esperienza e le sue conoscenze.
Le parole del Rettore dell’Urbaniana
Il 21 ottobre 2014, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, P. Alberto Trevisiol, IMC, ha voluto ricordare con un lungo discorso P. Chiocchetta. Ne riportiamo alcuni passaggi. “Vorrei utilizzare questi minuti che mi sono concessi per fare memoria di una persona cui tutti noi dobbiamo molto, P. Pietro Chiocchetta. Come sappiamo, ci ha lasciato quest’estate, il 24 agosto 2014, concludendo una vicenda umana e spirituale intensa e feconda che lo ha visto impegnato nella nostra Università per ben 35 anni.
Un uomo dunque dai numerosi incarichi, e, posso affermarlo per la mia esperienza personale di suo discepolo, presi tutti molto “sul serio”. Un uomo esigente e scrupoloso, con sé e con quelli con i quali si trovava ad esercitare un ruolo di formatore: era divenuto proverbiale un modo di dire secondo il quale uno studente del Prof. Chiocchetta doveva essere all’altezza di questo privilegio e non poteva accontentarsi di risultati mediocri.
Un uomo di grande cultura, e lo testimonia la sua sterminata bibliografia, ma per il quale la cultura era un servizio e una responsabilità nei confronti degli altri, come chi ha un tesoro che deve far fruttare e spendere per il bene di tutti.
Durante il suo primo rettorato, organizzò la celebrazione del 350° anniversario della fondazione della Congregazione de Propaganda Fide e 10° dell’erezione a Università dell’Ateneo Urbaniano. A questo scopo, P. Chiocchetta dedicò la sua perizia di storico della Chiesa. Il suo primo mandato si concluse, nell’ottobre 1974, con l’evento straordinario della visita del Papa Paolo VI con tutti i padri del IV Sinodo dei Vescovi.
Durante il suo secondo mandato invece, negli anni ’80, seguì da vicino la promulgazione dei nuovi Statuti e la nascita delle due Facoltà di Diritto Canonico e Missiologia, ufficialmente avvenuta appena dopo la fine del suo mandato. Due fatti che marcarono in modo decisivo il futuro sviluppo dell’Urbaniana.
Accanto alla sua attività accademica, quello che colpiva di P. Pietro era il suo senso filiale di appartenenza a una famiglia religiosa che ha fatto della missione lo scopo della sua vita. Lo si capiva dalla venerazione affettuosa per san Daniele Comboni, del quale ha studiato la vita e gli scritti non solo col rigore storico di un professore, ma con lo sguardo di affetto sincero che solo un figlio può avere per il proprio padre”.
Alcune testimonianze
“Adesso, più che mai in passato, mi trovo nelle mani di Dio, ciò che ho voluto sempre sin dalla mia giovinezza. È ciò che voglio ancora adesso. Ma ora c’è qualcosa di completamente diverso: l’iniziativa è tutta e soltanto di Dio. Queste parole di P. Pedro Arrupe, a me care, danno voce ai miei 93 anni”. Così si legge sul biglietto che P. Pietro Chiocchetta ha voluto scrivere per il suo compleanno (l’ultimo), il 18 novembre 2013.
Notizie biografiche
Pietro era nato nel 1920, da Lamberto ed Ester Montuldo, a Verona, dove frequentò il liceo classico. Il 20 giugno 1944 entrò nel Noviziato comboniano, mentre la guerra volgeva al termine. Dopo l’anno canonico, frequentò la Teologia prima a Venegono e poi a Roma, presso la Pontificia Università Urbaniana. Il 16 aprile 1949 fu ordinato sacerdote e due mesi dopo si laureò in Lettere e Filosofia presso l’Università di Padova.
Superato l’esame di Teologia (28 giugno 1949), venne chiamato dal Superiore Generale all’insegnamento di Storia della Chiesa e Patrologia nello Scolasticato Teologico di Venegono Superiore, divenendo Prefetto degli Studi negli anni 1951-1953. Nel frattempo seguiva corsi di specializzazione alla Pontificia Facoltà Teologica di Milano ed era chiamato a tenere lezioni nella Libera Scuola di Scienze Storiche “L.A. Muratori” di Verona e all’Ambrosiana di Milano.
Nel 1954, dopo essersi laureato in teologia con la tesi Significato della Storia e senso storico nella luce del mistero di Cristo, fu mandato in Libano per prepararsi alla missione in Sudan. Ma subito arrivò la richiesta del Card. Fumasoni-Biondi, che si faceva portavoce del Consiglio di Facoltà dell’Università Urbaniana, per averlo come insegnante: vi entrò come Incaricato di Storia e Teologia del Protestantesimo. Nel 1955 assunse la cattedra di Storia della Chiesa, diventandone docente “ordinario” nel 1962. Nel 1967 diventò anche Incaricato del corso di Metodologia scientifica generale per tutte le facoltà dell’Urbaniana, oltre che membro del Consiglio di facoltà.
Pur avendo dedicato più di 35 anni all’insegnamento, ebbe diversi altri incarichi: Presidente di Studium Combonianum (1965-1991), Rettore della Pontificia Università Urbaniana (1971-1974 e 1983-1986); Consultore del Segretariato per i non Cristiani, della Congregazione per le Cause dei Santi (1971-2013), della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (dal 1979) e della Commissione Teologica. È stato anche Postulatore Generale per l’Istituto dal 1986 al 1996. Tutte queste presenze nei vari dicasteri e nel servizio dell’Istituto indicano la vastità delle sue conoscenze e la fiducia che si era acquistato con i suoi “rapporti scritti”.
Qualche cenno sulla sua personalità
“La prima volta lo incontrai nell’ottobre 1962 – scrive P. Francesco Pierli nella sua testimonianza – quando era professore di Storia della Chiesa all’Urbaniana. Le sue lezioni erano altamente apprezzate da tutti noi studenti per due ragioni: la brillantezza e vivacità del discorso e della presentazione e poi il contenuto. Era una storia della Chiesa da un punto di vista missionario! Era l’incontro del Vangelo con culture e sistemi sociali, politici ed economici ancora ‘alieni’ al Vangelo. Ricordo in modo particolare le sue riflessioni sul valore e significato delle persecuzioni che sempre accadono quando il Vangelo irrompe e sfida mondi ancora inesplorati: prima evangelizzazione. P. Pietro ci trasmetteva una grande carica missionaria.
Conosceva bene il tedesco quindi, a cominciare da Roma, dove c’erano due scolasticati, faceva da tramite fra i due, iniettando in tutti noi scolastici del tempo la voglia e il desiderio ardente della riunificazione. Fra di noi, allora giovani, eravamo già una congregazione unica, anche prima del 1979. Ne era simbolo il fatto che avevamo un’unica squadra di calcio – I comboniani – che ci permetteva di non sfigurare di fronte ai grandi collegi romani con più di 100 studenti. Noi, in tutto, eravamo 15 o 16. Se san Daniele Comboni è riuscito a riunirci, P. Pietro ha svolto in questo un ruolo non secondario”.
Alcune righe dopo, riguardo al carattere, P. Pierli aggiunge: “Ha parlato e scritto infinite volte della croce nella vita del Comboni. Anche lui, P. Pietro, ha sofferto molto nella vita. Con le parole di Paolo potremmo dire che ha avuto la sua spina nella carne, da cui forse avrebbe voluto essere liberato ma senza riuscirvi: un insieme di timidezza, di aggressività e di inclinazione a vedere più tenebre che luce nel comportamento degli altri nei suoi confronti. Aveva un’infinita sete di amore e di attenzione mai soddisfatta. Questo lo rendeva a volte amaro e scontroso”.
La rimozione dei due Reponatur
“Tutti sappiamo – è sempre P. Pierli che parla – che il cammino della causa di canonizzazione del Comboni è stato burrascoso; due Papi come Pio XII nel 1953 e Giovanni XXIII nel 1959 avevano espresso parere negativo sul proseguimento della stessa. Nella prassi vaticana, dopo il secondo Reponatur, si mette una pietra sepolcrale sulla causa. P. Pietro, assieme a P. Aldo Gilli, in occasione del primo centenario della morte del Comboni, nel 1981, riuscì a farla sbloccare, con l’aiuto dello Spirito Santo, contando sulle competenze che avevano acquisito sulla storia del Comboni e investendo sull’amicizia con il Cardinale Pietro Palazzini, amico e sostenitore di tanti comboniani marchigiani e, allora, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi. Un evento, questo, che ha fatto storia nella stessa congregazione, come riconoscerà anche un uomo di grande competenza, lo storico e collega di P. Pietro, il gesuita Giacomo Martina”.
Il ricordo del Postulatore Generale
Riportiamo una parte della lunga testimonianza di P. Arnaldo Baritussio, in occasione del funerale: “Sono qui come suo ‘indegno’ successore – scrive rivolgendosi direttamente a P. Chiocchetta – nell’incarico di Postulatore, ma soprattutto per un preciso sentimento di gratitudine, sorprendente e convinto, perché il passaggio di consegne, a suo tempo, non è stato indolore. Lei è stato una figura di rilievo per capacità intellettuali e incarichi svolti, quindi l’avvicendamento è stato interpretato in varie maniere: quasi un attentato di lesa maestà, un’ingratitudine e mancanza di riconoscenza per chi tanto si era speso, una scelta azzardata, ecc. (dall’alto riderà con noi!). Poi tutto si è appianato perché mai sono mancati nei suoi confronti, almeno da parte mia, la considerazione, il rispetto, la deferenza, il colloquio amico e sereno.
Infatti, dopo la Beatificazione del Comboni, di cui lei, P. Aldo Gilli e P. Luciano Franceschini siete stati gli indiscussi e riconosciuti fautori, si sono succedute la Beatificazione dei martiri di Paimol, la Canonizzazione del Comboni, l’inizio delle cause di P. Sartori e P. Ambrosoli, la ripresa della Causa di Mons. Roveggio e, forse non molto appoggiate, le cause di Fr. Giosuè dei Cas e di P. Ezechiele Ramin. Conservo ancora le sue lettere per l’avvenuta Canonizzazione del Comboni e la sua soddisfazione per il contenuto del Proprio liturgico del Fondatore. Le parole che mi ha inviato, le custodisco gelosamente, perché sono la testimonianza più lucida di chi ha colto in pieno la rilevanza e l’impatto ecclesiale della figura del Fondatore; sono l’espressione del suo smisurato e quotidiano amore per Comboni e traducono la sincera commozione – che ho colto nei suoi occhi – e vorrei dire l’entusiasmo, per aver potuto pregare sui nuovi testi liturgici propri del Comboni che, a suo dire, riflettono la grandezza e la freschezza del carisma missionario comboniano.
Allora oggi le devo un duplice ringraziamento. Anzitutto per il grande ricordo che ha lasciato nella Congregazione delle Cause dei Santi, soprattutto per la competenza del lavoro svolto. La sua memoria, sempre viva e dal tocco decisamente comboniano, mi ha aiutato non poco ad aprire porte chiuse e a far considerare passabili certe imprecisioni giuridiche che non tenevano conto delle turbolenze della vita missionaria. Lei è stato ricordato con ammirazione in Dicastero, in particolare da alcuni suoi alunni che in quel Dicastero hanno svolto ruoli di rilievo. Ci tengo a precisare che è stato ricordato come uno che ha amato l’Istituto e la missione, che è rimasto affascinato dalla luce che ci viene dai nostri grandi, in primis san Daniele Comboni.
In secondo luogo, le devo un sentito grazie anche per l’incoraggiamento con cui sempre mi ha spinto a continuare, nonostante tutto, l’oscuro lavoro di scavo in archivi e biblioteche per non lasciar cadere la memoria di alcuni nostri eccellenti confratelli, testimoni della missione. Con questo, ci ha dato un insegnamento fondamentale: ‘Ogni comunità è chiamata a trasmettere i suoi modelli credibili pena la sua stessa sopravvivenza, pena il suo divenire – come qualcuno ha detto – comunità di uomini e donne di sabbia’”.
“Tra il Benaco e il Nilo”
Numerose sono le pubblicazioni, gli scritti, i saggi e gli scambi di corrispondenza con varie persone e confratelli. Vogliamo segnalare in particolare il libro “Tra il Benaco e il Nilo”, curato da P. Chiocchetta e pubblicato nel 2000. È interessante, in proposito, leggere la lettera che l’autore indirizzò a Bruno Forte per chiedergli di scrivere la presentazione del libro: “Mi permetto di chiederle cordialmente se avrà la condiscendenza di fare la presentazione al mio libro testamentario. ‘Tra il Benaco e il Nilo’ si svolge l’intera vicenda umana e spirituale di Comboni e dei suoi resti mortali, ma con un intermezzo, l’illuminazione in San Pietro. È qui quel ‘frammento’ che ricapitola un passato e riesce principio ermeneutico d’una storia nella sua coerente unità e semplicità. Tale frammento ha deciso, una volta compreso, l’intera articolazione del mio lavoro… Ho scritto per me ‘nella memoria del Fondatore’ ma pensando ai confratelli e consorelle che nel fervore e turbinio dell’aggiornamento e del farsi ‘internazionale’ dell’Istituto, hanno bisogno di un punto fermo di ispirazione e di confronto”.
Le parole del Superiore Generale, P. Enrique Sánchez G.
Con la morte di P. Pietro l’Istituto perde non soltanto un missionario, ma un confratello che ci ha aiutato durante tutta la sua vita a vivere il nostro carisma, la nostra vocazione missionaria e comboniana in particolare. È stato una delle figure che ci ha permesso di avvicinarci, di conoscere e di amare il nostro Fondatore. Con il suo lavoro e la sua passione per lo studio, ci ha dato la possibilità di capire meglio il dono che il Signore ci ha fatto attraverso il carisma, la persona e la spiritualità di san Daniele.
Non potremo mai dimenticare il lavoro fatto da P. Pietro per seguire e rendere possibile tutto il processo che ha permesso di riconoscere il dono della santità di Comboni a tutta la Chiesa.
Tutti sappiamo con quanta passione si è consacrato al servizio affidatogli nel mondo universitario, dove ha saputo seminare le sue conoscenze e la sua passione per la missione. Come insegnante, ricercatore, rettore, ma soprattutto come missionario ha lasciato una bella impronta nel cuore di migliaia di studenti di tutto il mondo che lo ricordano come un grande uomo.
Per noi è stato un confratello che ha saputo mettere a disposizione dell’Istituto e della missione le sue qualità e la sua professionalità. Lo ricordiamo come un esperto di Storia della Chiesa e più ancora come un appassionato della spiritualità missionaria, che sapeva trasmettere non solo nelle lezioni all’università, ma in qualsiasi occasione in cui era chiamato a condividere la sua esperienza e le sue conoscenze.
Le parole del Rettore dell’Urbaniana
Il 21 ottobre 2014, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, P. Alberto Trevisiol, IMC, ha voluto ricordare con un lungo discorso P. Chiocchetta. Ne riportiamo alcuni passaggi. “Vorrei utilizzare questi minuti che mi sono concessi per fare memoria di una persona cui tutti noi dobbiamo molto, P. Pietro Chiocchetta. Come sappiamo, ci ha lasciato quest’estate, il 24 agosto 2014, concludendo una vicenda umana e spirituale intensa e feconda che lo ha visto impegnato nella nostra Università per ben 35 anni.
Un uomo dunque dai numerosi incarichi, e, posso affermarlo per la mia esperienza personale di suo discepolo, presi tutti molto “sul serio”. Un uomo esigente e scrupoloso, con sé e con quelli con i quali si trovava ad esercitare un ruolo di formatore: era divenuto proverbiale un modo di dire secondo il quale uno studente del Prof. Chiocchetta doveva essere all’altezza di questo privilegio e non poteva accontentarsi di risultati mediocri.
Un uomo di grande cultura, e lo testimonia la sua sterminata bibliografia, ma per il quale la cultura era un servizio e una responsabilità nei confronti degli altri, come chi ha un tesoro che deve far fruttare e spendere per il bene di tutti.
Durante il suo primo rettorato, organizzò la celebrazione del 350° anniversario della fondazione della Congregazione de Propaganda Fide e 10° dell’erezione a Università dell’Ateneo Urbaniano. A questo scopo, P. Chiocchetta dedicò la sua perizia di storico della Chiesa. Il suo primo mandato si concluse, nell’ottobre 1974, con l’evento straordinario della visita del Papa Paolo VI con tutti i padri del IV Sinodo dei Vescovi.
Durante il suo secondo mandato invece, negli anni ’80, seguì da vicino la promulgazione dei nuovi Statuti e la nascita delle due Facoltà di Diritto Canonico e Missiologia, ufficialmente avvenuta appena dopo la fine del suo mandato. Due fatti che marcarono in modo decisivo il futuro sviluppo dell’Urbaniana.
Accanto alla sua attività accademica, quello che colpiva di P. Pietro era il suo senso filiale di appartenenza a una famiglia religiosa che ha fatto della missione lo scopo della sua vita. Lo si capiva dalla venerazione affettuosa per san Daniele Comboni, del quale ha studiato la vita e gli scritti non solo col rigore storico di un professore, ma con lo sguardo di affetto sincero che solo un figlio può avere per il proprio padre”.
Alcune testimonianze
Mons. Daniel Adwok, vescovo ausiliare di Khartoum, ha inviato un messaggio dal quale estraiamo alcune frasi: “Il Signore lo ricompensi per la testimonianza che ha dato attraverso i suoi scritti e le riflessioni sulla missione della Chiesa, in modo speciale come testimoniata da san Daniele Comboni. Era il mio professore di Storia della Chiesa presso l’Urbaniana. P. Chiocchetta ha contribuito alla costruzione del Regno di Dio qui sulla terra attraverso i suoi scritti e le riflessioni e, in modo speciale, attraverso la missione di san Daniele Comboni, da cui tutti siamo nati”.
Gianpaolo Romanato, biografo di Comboni, ha scritto: “È stato all’origine del mio interessamento per Comboni e da lui, oltre che dai PP. Gilli e Picotti, ho avuto ogni incoraggiamento a condurre a termine la mia ricerca, sempre con un esemplare rispetto per la libertà del mio lavoro.
Ne conservo uno splendido ricordo, col solo rammarico di non averlo più incontrato negli ultimi tempi, a causa del suo indebolimento. La comunità comboniana perde con lui un ottimo studioso e un sacerdote esemplare, il cui ricordo spero serva di esempio e di stimolo a giovani e meno giovani”.
Don Roberto Cherubini, dell’Università Urbaniana, nel suo telegramma di condoglianze inviato all’Istituto, scrive tra l’altro: “Il suo servizio alla missione della Chiesa svolto presso la nostra Università è stato un contributo significativo. Negli anni della sua docenza e del suo rettorato ha saputo imprimere un impulso decisivo, anche attraverso le numerose pubblicazioni prodotte”.
Card. Angelo Amato, della Congregazione delle Cause dei Santi, scrive nel suo messaggio: “Lo ricordiamo nella preghiera con sentimenti di stima e gratitudine per la sua competente e qualificata collaborazione con questo Dicastero come consultore”.
Una laica comboniana, volontaria in Africa, ci ha scritto: “Era un missionario del Vangelo che attraverso libri e documenti viveva la sua vocazione missionaria. Dai nostri pochi incontri ma carichi di spirito di missione, quello che sempre mi ha più colpito è stato il vedere come un uomo, un po’ burbero all’apparenza, potesse amare profondamente l’umanità, la gente, la missione, spinto dal suo spirito missionario seppure seduto al tavolo della sua stanza di Roma o Verona. Un missionario capace di mantenere sempre aperto il cuore e la mente alla continua evoluzione innovatrice del Vangelo” (Ale Astuti).
Testimonianza del suo ‘vecchio discepolo e amico’, P. Pietro Ravasio
Ho incontrato per la prima volta P. Chiocchetta a Roma, nell’ottobre del 1953, quando fui mandato da Verona a frequentare l’Università Urbaniana. Ciò che rimane più vivo nella memoria sono le sue lezioni di storia. Rendeva viva la singola vicenda che spiegava, usando anche delle espressioni sue perché noi alunni potessimo capire meglio. Ricordo che in quegli anni erano nostri “compagni di classe” Francis Arinze, divenuto poi cardinale, e Joseph Gasi, futuro vescovo di Tombura (Sudan). Oltre ad apprezzare l’insegnamento di P. Chiocchetta, avevamo quotidiani contatti con lui che viveva nella comunità di S. Pancrazio con noi dodici scolastici.
La nostra amicizia, iniziata negli anni 1953-1958 e maturata poi nel periodo 1973-1979, quando eravamo entrambi di nuovo a Roma, in Curia, si è man mano consolidata ed è durata fino alla fine dei suoi giorni, anche per la passione comune per la storia e la tradizione. Ci incontravamo periodicamente e avevamo uno scambio di lettere in particolare sui temi, a lui cari, della storia e della spiritualità comboniana. Il 18 giugno 2014, due mesi prima di morire, mi aveva inviato alcuni “inediti” sull’Eucaristia e sul mistero della morte del Signore: scritti che per me, suo vecchio discepolo, riecheggiano i temi dei suoi autori più amati e concludono la sua esistenza nella contemplazione dei più profondi misteri della sua e nostra fede”.
Mons. Daniel Adwok, vescovo ausiliare di Khartoum, ha inviato un messaggio dal quale estraiamo alcune frasi: “Il Signore lo ricompensi per la testimonianza che ha dato attraverso i suoi scritti e le riflessioni sulla missione della Chiesa, in modo speciale come testimoniata da san Daniele Comboni. Era il mio professore di Storia della Chiesa presso l’Urbaniana. P. Chiocchetta ha contribuito alla costruzione del Regno di Dio qui sulla terra attraverso i suoi scritti e le riflessioni e, in modo speciale, attraverso la missione di san Daniele Comboni, da cui tutti siamo nati”.
Gianpaolo Romanato, biografo di Comboni, ha scritto: “È stato all’origine del mio interessamento per Comboni e da lui, oltre che dai PP. Gilli e Picotti, ho avuto ogni incoraggiamento a condurre a termine la mia ricerca, sempre con un esemplare rispetto per la libertà del mio lavoro.
Ne conservo uno splendido ricordo, col solo rammarico di non averlo più incontrato negli ultimi tempi, a causa del suo indebolimento. La comunità comboniana perde con lui un ottimo studioso e un sacerdote esemplare, il cui ricordo spero serva di esempio e di stimolo a giovani e meno giovani”.
Don Roberto Cherubini, dell’Università Urbaniana, nel suo telegramma di condoglianze inviato all’Istituto, scrive tra l’altro: “Il suo servizio alla missione della Chiesa svolto presso la nostra Università è stato un contributo significativo. Negli anni della sua docenza e del suo rettorato ha saputo imprimere un impulso decisivo, anche attraverso le numerose pubblicazioni prodotte”.
Card. Angelo Amato, della Congregazione delle Cause dei Santi, scrive nel suo messaggio: “Lo ricordiamo nella preghiera con sentimenti di stima e gratitudine per la sua competente e qualificata collaborazione con questo Dicastero come consultore”.
Una laica comboniana, volontaria in Africa, ci ha scritto: “Era un missionario del Vangelo che attraverso libri e documenti viveva la sua vocazione missionaria. Dai nostri pochi incontri ma carichi di spirito di missione, quello che sempre mi ha più colpito è stato il vedere come un uomo, un po’ burbero all’apparenza, potesse amare profondamente l’umanità, la gente, la missione, spinto dal suo spirito missionario seppure seduto al tavolo della sua stanza di Roma o Verona. Un missionario capace di mantenere sempre aperto il cuore e la mente alla continua evoluzione innovatrice del Vangelo” (Ale Astuti).
Testimonianza del suo ‘vecchio discepolo e amico’, P. Pietro Ravasio
Ho incontrato per la prima volta P. Chiocchetta a Roma, nell’ottobre del 1953, quando fui mandato da Verona a frequentare l’Università Urbaniana. Ciò che rimane più vivo nella memoria sono le sue lezioni di storia. Rendeva viva la singola vicenda che spiegava, usando anche delle espressioni sue perché noi alunni potessimo capire meglio. Ricordo che in quegli anni erano nostri “compagni di classe” Francis Arinze, divenuto poi cardinale, e Joseph Gasi, futuro vescovo di Tombura (Sudan). Oltre ad apprezzare l’insegnamento di P. Chiocchetta, avevamo quotidiani contatti con lui che viveva nella comunità di S. Pancrazio con noi dodici scolastici.
La nostra amicizia, iniziata negli anni 1953-1958 e maturata poi nel periodo 1973-1979, quando eravamo entrambi di nuovo a Roma, in Curia, si è man mano consolidata ed è durata fino alla fine dei suoi giorni, anche per la passione comune per la storia e la tradizione. Ci incontravamo periodicamente e avevamo uno scambio di lettere in particolare sui temi, a lui cari, della storia e della spiritualità comboniana. Il 18 giugno 2014, due mesi prima di morire, mi aveva inviato alcuni “inediti” sull’Eucaristia e sul mistero della morte del Signore: scritti che per me, suo vecchio discepolo, riecheggiano i temi dei suoi autori più amati e concludono la sua esistenza nella contemplazione dei più profondi misteri della sua e nostra fede”.
Da Mccj Bulletin n. 262 suppl. In Memoriam, gennaio 2015, pp. 76-84.