Giovedì 6 febbraio 2025
Mentre la tregua nel nord est della Repubblica democratica del Congo cede dopo solo pochi giorni e il bilancio delle vittime delle violenze a Goma supera le 3000 vittime, le Chiese cristiane e protestanti del paese si dicono pronte ad assumere un ruolo di primo piano nella risoluzione della crisi. [Credit photo: François-Régis Salefran – Wikimedia. Testo: Brando Ricci – Nigrizia]

Per farlo, pare siano intenzionate discutere con tutti gli attori coinvolti. Inclusa la milizia M23 che nei giorni scorsi ha conquistato Goma insieme alle truppe del Rwanda, considerata un nemico dello stato dal governo di Kinshasa, che si è sempre rifiutata di trattarvi direttamente.

L’unico interlocutore utile, per il governo congolese, è appunto Kigali, ritenuta il mandante delle operazioni del gruppo armato da Kinshasa, le Nazioni Unite e parte della comunità internazionale. Questa sostanziale differenza di vedute ha giocato un ruolo non trascurabile nel fallimento dei percorsi negoziali fra i due paesi che sono stati avviati fino ad adesso.

La postura delle Chiese 

Ad annunciare l’intenzione delle organizzazioni cristiane è stato Eric Nsenga, portavoce della Chiesa di Cristo in Congo (ECC), unione di oltre 60 denominazioni protestanti del paese. Le parole del religioso hanno fatto seguito a un incontro che l’ECC e la Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) hanno avuto nei giorni scorsi col presidente Félix Tshisekedi. La riunione è stata l’occasione per presentare al presidente un nuovo “Patto sociale per la pace e la convivenza nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi”.

Le parole di Nsenga sono state rilanciate dai principali media francofoni, Radio France Internationale (RFI) e Jeune Afrique, ma non altrettanto dai media congolesi. Secondo quanto riferito dal presidente della ECC, i religiosi sono già nella «fase di contatto» con l’M23 e l’Alleanza del fiume Congo, un’organizzazione politico-militare congolese di cui l’M23 fa parte. Questa organizzazione è stata fondata nel 2023 in Kenya dall’ex presidente della Commissione elettorale nazionale, Corneille Nangaa, un ex alleato e adesso rivale del presidente Tshisekedi. 

«Il nostro approccio – ha spiegato ancora Nsenga – mira a una pace duratura. In ogni caso, sarebbe assurdo, se non illusorio, pensare di avere la pace senza includere tutti gli attori interessati. Quindi, parliamo senza mezzi termini: abbiamo già visto alcuni attori. Sì anche l’M23, è vero, che è diventato come una psicosi». Il pastore ha concluso: «Ci sono tante cose di cui parlare, ma bisogna tenere a mente: cosa vogliamo? Non possiamo dire allo stesso tempo: vogliamo la pace, ma essere scettici verso qualsiasi meccanismo che possa portare alla pace. La nostra posizione è quella di “trasformare i conflitti in opportunità di vita”».

Stando a quanto riportato da Jeune Afrique, le chiese hanno già incontrato anche il leader dell’opposizione Martin Fayulu, ritenuto da molti il vero vincitore delle elezioni del 2018 che videro trionfare per la prima volta l’attuale capo di stato, ora al secondo mandato dopo la vittoria alle consultazioni del 2023. 

Una crisi complessa 

Il contesto di cui parla Nsenga è quello dell’ultima, acuta fase di una situazione di instabilità che nel nord-est della Rd Congo prosegue da almeno 30 anni. Ad alimentare la crisi molti fattori diversi: gli appetiti di diversi attori regionali e internazionali per le risorse minerarie di cui è ricca la regione, a partire dal coltan essenziale per la transizione energetica; le carenze del sistema di tracciamento di queste materie prime e la connivenza della comunità internazionale; le complesse ramificazioni di tensioni intercomunitarie, peggiorate in modo drastico a partire dal genocidio dei tutsi in Rwanda del 1994; non da ultimo, la corruzione, l’inefficienza e la mancata inclusione sociale che segnano da tempo l’immenso stato congolese.

Tregua già finita 

La scorsa settimana, l’M23 e le truppe rwandesi hanno preso il controllo di Goma, capoluogo e città più popolosa della provincia del Nord Kivu, casa per almeno 1,5 milioni di persone e centinaia di migliaia di sfollati. L’ingresso in città è l’ultimo atto di un’offensiva partita alla fine del 2021. Nei giorni scorsi l’Alleanza del fiume Congo (AFC), un’organizzazione politico-militare congolese di cui l’M23 fa parte, ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale per ragioni umanitarie.

La tregua è durata ben poco, i combattimenti sono già ripresi nel vicino Sud Kivu, probabile prossimo fronte di espansione dell’M23 e delle truppe rwandesi. Questo nonostante Corneille Nangaa, leader dell’AFC, avesse giurato solo pochi giorni fa che M23 e alleati non volevano estendere il perimetro dei territori sotto il loro controllo.

L’M23 avrebbe invece già occupato la cittadina di Nyabibwe, centro minerario a meno di 50 chilometri da Bukavu, capoluogo del Sud Kivu. La notizia è riportata da diversi media internazonalie e confermata a Nigrizia da fonti della società civile locale. 

La situazione umanitaria 

Il conflitto continua a chiedere un enorme tributo di vite alla Rd Congo, dove vivono oltre sette milioni di sfollati, di cui più della metà fra Nord e Sud Kivu. Secondo dirigenti della Missione dell’Onu in Rd Congo, la MONUSCO, e dell’ufficio di coordinamento per gli Affari umanitari, la presa di Goma ha causato la morte di non meno di 2.800 persone, oltre ad altri centinaia di migliaia di sfollati. Campi situati nei dintorno del capoluogo ospitavano circa 650mila persone sfollate già prima dell’ingresso dei ribelli.

È anche questa violenza a muovere l’operato delle chiese cattoliche e protestanti congolesi. In un comunicato firmato dal presidente della CENCO, l’arcivescovo di Lumumbashi Fulgence Muteba Mugalu, i vescovi hanno espresso «grande tristezza e grande preoccupazione».  Il vescovo di Goma, cardinale Fridolin Ambongo ha affermato, in riferimento ai civili vittime del conflitto, di «non riuscire a capire cosa abbiano fatto queste persone per meritare un trattamento così indegno nei confronti degli esseri umani, che dura ormai da tre decenni».

Nei giorni scorsi, papa Francesco ha chiesto di pregare per il Nord Kivu e ha fatto appello agli «attori locali e la comunità internazionale» affinchè facciano tutto il possibile per «risolvere il conflitto in modo pacifico». Il Santo Padre si è recato in Rd Congo nel febbraio 2023. 

Secondo quanto riporta Agenzia Fides, il Patto sociale per la pace e la convivenza nella Repubblica Democratica del Congo e nella regione dei Grandi Laghi presentato dalle chiese al governo è ispirato al concetto spirituale e filosofico di Bumuntu, che indica una strada di empatia, coesione sociale e inclusione. L’obiettivo è quello di arrivare alla stesura di una Carta nazionale per la pace e l’armonia e poi a una Conferenza internazionale per la pace, lo sviluppo congiunto e la convivenza nei Grandi Laghi. 

Non è certo la prima volta che le Chiese congolesi prendono la parola nel mezzo di una crisi politica, anzi, le organizzazioni cristiane sono un attore politico rilevante nel paese. Più del 90% della popolazione congolese è cristiana, di cui circa un terzo cattolica e un terzo protestante. Non sempre i rapporti fra le Chiese e il governo sono stati sereni. 

Il vertice in Tanzania 

Questa fine settimana è previsto a Dar es Salaam, in Tanzania, un summit congiunto straordinario sulla crisi nella regione della Comunità dell’Africa orientale (EAC) e della Comunità di sviluppo dell’Africa australe (SADC), organismi di cui fanno parte sia Rd Congo che Rwanda (Kinshasa di entrambi, Kigali solo dell’EAC) e che stanno gestendo al momento i due principali processi negoziali del conflitto, quello di Nairobi e quello di Luanda.

Al vertice dovrebbero partecipare sia Tshisekedi che Kagame. Più volte in passato, non da ultimo la settimana scorsa, incontri fra i due leader sono saltati all’ultimo momento. 

Brando Ricci – Nigrizia