Mercoledì 16 settembre 2020
Iniziando la riflessione sul XIX Capitolo Generale e la sua preparazione, è bene ritornare alla Regola di Vita e a quanto essa dice sulla natura e sul fine dei Capitoli Generali. “Il capitolo generale”, dice la RV al numero 146, “è l’autorità suprema dell’Istituto, esercitata in maniera straordinaria e collegiale, ed esprime la partecipazione di tutti i missionari alla vita dell’Istituto stesso. Il capitolo deve custodire fedelmente il patrimonio dell’Istituto: il carisma del Fondatore, il fine, lo spirito, l’indole e le sane tradizioni dell’Istituto”. (…)

PREPARARE E REALIZZARE IL CAPITOLO
CON S. DANIELE COMBONI

Introduzione

Iniziando la riflessione sul XIX Capitolo Generale e la sua preparazione, è bene ritornare alla Regola di Vita e a quanto essa dice sulla natura e sul fine dei Capitoli Generali. “Il capitolo generale”, dice la RV al numero 146, “è l’autorità suprema dell’Istituto, esercitata in maniera straordinaria e collegiale, ed esprime la partecipazione di tutti i missionari alla vita dell’Istituto stesso. Il capitolo deve custodire fedelmente il patrimonio dell’Istituto: il carisma del Fondatore, il fine, lo spirito, l’indole e le sane tradizioni dell’Istituto”. E, poi, al numero 153, specifica le competenze del Capitolo, sottolineando che “il capitolo generale ha innanzitutto la responsabilità di promuovere la fedeltà dell’Istituto alla sua missione specifica nella Chiesa”.

Radicarsi nel Vaticano II

Questa impostazione della Regola di Vita riecheggia la visione del Concilio Vaticano II e quanto il Concilio chiede agli istituti e congregazioni: “Il rinnovamento della vita consacrata comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e alla primitiva ispirazione degli istituti, e nello stesso tempo l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi”[i]. E ancora: “perciò si conoscano e si osservino fedelmente lo spirito e le finalità proprie dei fondatori, come pure le sane tradizioni, poiché tutto ciò costituisce il patrimonio di ciascun istituto”[ii].

E aggiunge un’affermazione, che è importante sottolineare nel momento in cui bisogna pensare alla preparazione del Capitolo Generale e al discernimento sulle sue modalità di lavoro. “Non è possibile procedere ad un rinnovamento efficace” dice il Concilio, “e a un vero adattamento senza la collaborazione di tutti i membri dell’istituto”. E conclude: “i superiori, poi, in tutto ciò che riguarda le sorti dell’intero istituto, consultino ed ascoltino come si conviene i membri”[iii].

L’obiettivo del rinnovamento dell’Istituto, da perseguire in ogni Capitolo Generale, è collocato dal Concilio tra due margini: il ritorno al Fondatore e alle sane tradizioni dell’Istituto, da una parte, l’attenzione ai segni dei tempi e dei luoghi, dall’altra. Come abbiamo visto sopra, il Concilio chiede “una continua attenzione alle mutevoli condizioni dei tempi” e parla di adattare “il modo di vivere, di pregare e di agire (...) alle odierne condizioni (...) dovunque, ma specialmente nei luoghi di missione”[iv].

Anche nel decreto Ad Gentes, il Concilio sottolinea la dimensione del rinnovamento continuo dei missionari, assicurata e supervisionata dai Capitoli Generali: “I messaggeri del Vangelo, per non trascurare la grazia che è in loro, devono rinnovarsi di giorno in giorno interamente nel loro spirito”[v]. E conclude: “Perciò tutti i missionari (...) debbono essere singolarmente preparati (...) perché siano all’altezza del compito che dovranno svolgere”[vi]. Così, ogni Capitolo Generale dovrebbe aiutare i membri dell’Istituto ad essere all’altezza del compito missionario nel contesto di ogni momento del nostro cammino.

Capitolo come incontro

Come categoria di fondo della nostra riflessione propongo il concetto di incontro, usato oggi con frequenza per indicare la dimensione più rilevante della sequela e della missione cristiana, e che noi possiamo adottare per cercare di vedere il Capitolo Generale non solo come fatto canonico ma soprattutto come avvenimento carismatico e spirituale, che porta i membri dell’Istituto ad un incontro col Fondatore, intermediario dell’incontro con Cristo; ad un incontro tra di loro, aiutandoli a ritrovare la loro fraternità e comunione nella comune missione; ad un incontro con la Chiesa, spingendoli a vivere in pienezza il loro particolare carisma nell’edificazione della Chiesa semper reformanda e nell’annuncio del Vangelo ai popoli per l’avvento della pienezza dei tempi; ad un incontro con le società in cui vivono ed operano, mettendo il loro carisma al servizio della trasformazione della società secondo il Vangelo.

1.- Il Capitolo Generale come incontro con il Fondatore

Nelle dinamiche di preparazione al Capitolo Generale del 1969, padre Pietro Chiocchetta aveva preparato e offerto una riflessione per i membri della Commissione Centrale che avevano il compito di preparare il Capitolo[vii]. È a questa riflessione che mi sono ispirato per la preparazione di questo primo punto.

Dobbiamo innanzitutto cercare di rispondere alla domanda su cosa può significare il ritorno al Fondatore chiesto dal Concilio e quindi da ogni Capitolo Generale e sulla rilevanza che il suo carisma personale e storico ha per noi oggi. P. Chiocchetta suggerisce l’immagine del seme: Comboni, ad ogni generazione comboniana, ci è dato come seme per trasformare, con il dinamismo del Vangelo, la nostra vita e missione. Preparare un Capitolo Generale significa, dunque, preparare il terreno, che è l’Istituto, a ricevere questo seme affinché produca frutto.

La vita di Comboni acquista le potenzialità del seme evangelico al momento della sua morte (10 ottobre 1881, a Khartoum). Accoglierlo come seme significa entrare nella dinamica della sua Pasqua, nella consegna della sua vita a Cristo (“Io sono felice nella croce che, portata volentieri per amore di Dio, genera il trionfo e la vita eterna”).

Ritornare al carisma del Fondatore significa cogliere gli elementi interiori e personali della spiritualità di san Daniele, esemplificati negli ultimi mesi della sua vita. Primo, umiltà e affidamento a Dio. Secondo, pazienza, cioè la disponibilità a farsi da parte per lasciare spazio a Dio e ai suoi disegni: saper aspettare il tempo di Dio. La lettura delle lettere dell’ultimo anno testimonia questa pazienza e magnanimità del Comboni nel trattare questioni di persone, problemi dell’Istituto, situazioni in cui è stato umiliato e non preso in considerazione… Terzo, zelo per Dio e la rigenerazione della Nigrizia, questo lasciarsi accendere dal fuoco dell’amore, “da quella carità accesa con divina vampa sulla pendice del Golgota, ed uscita dal costato del Crocifisso, per abbracciare tutta l’umana famiglia”, per dirla con le parole di Comboni.

“Comboni è un seme. E poche cose, nella natura, sono più fragili di «un seme». Ma forse nessuna è, più di esso, tenace e colma di speranza. Anche se cade nella nuda roccia, esso cercherà sempre di trovare una fenditura dove affondare la sua esile radice. Ed è per questa sua fede tenace che la terra è verde e noi siamo vivi”[viii].

Nell’ora del rinnovamento, che ogni Capitolo cerca, “Comboni è il seme della nostra speranza. Com’egli nell’agonia si offriva, dicendo ai suoi: «Coraggio per il presente... E soprattutto per l’avvenire»[ix]. La sfida è, nella preparazione e svolgimento del Capitolo, lasciarsi guidare da questi principi seminali, sapienziali originari, piuttosto che da protagonismi di ideologie o di personalità.

2.- Il Capitolo Generale come incontro con l’Istituto oggi

Guardare al Capitolo come incontro con l’Istituto oggi aiuta a considerarlo come evento-appuntamento di tutti i membri, nella ricerca di una più approfondita coscienza della comune identità e missione. Così come aiuta a capire e a sottolineare il compito e la responsabilità dei membri del Capitolo, superiori provinciali (di diritto) e membri eletti.

La prima cosa da far emergere nella fase di preparazione è, dunque, la responsabilità di tutti, di ogni comboniano, nelle sorti del Capitolo, della sua preparazione e realizzazione. Momento saliente di questa responsabilità è la scelta dei capitolari. Ma non è l’unico: è importante sottolineare la responsabilità di tutti e di ognuno nei raduni comunitari e provinciali, in vista della preparazione del Capitolo, partendo dalla lettera del Superiore Generale e del suo Consiglio e dai temi e questioni da loro proposte per il discernimento conciliare.

In questo contesto, è bene anche sottolineare l’importanza del metodo di lavoro, sia nelle assemblee e nelle riunioni di preparazione sia nello svolgimento del Capitolo stesso: la rilevanza del vedere, giudicare e agire. Soprattutto del vedere: della coscienza che i membri e tutto l’Istituto hanno di sé stessi e della loro missione. Il Capitolo offre la possibilità di guardarci negli occhi e riconoscere le nostre debolezze e i nostri punti forti. Ogni Capitolo offre la possibilità di questo sguardo in profondità sullo stato dell’Istituto e dei suoi membri e costituisce un’opportunità per promuovere quella riflessione sul nostro vissuto, di cui si sente, secondo il parere di molti, una grande mancanza, visto che tra di noi l’agire tende a prevalere sul riflettere e corriamo da un piano all’altro, da un progetto all’altro.

Il Capitolo è l’autorità suprema (RV 146), ma questa autorità deve essere esercitata nella “collegialità,” al servizio della “partecipazione di tutti i membri alla vita dell’Istituto”, dice anche lo stesso numero della RV, come abbiamo visto sopra. Ciò vuol dire che i membri del Capitolo sono sovrani nella misura in cui rappresentano i membri dell’Istituto. I capitolari sono depositari del “vedere, giudicare ed agire” dei membri, cioè, del discernimento di tutti i membri. Questa coscienza deve essere ravvivata nello svolgimento dei lavori e deve portare il Capitolo a cercare modi per mantenersi collegato il più possibile ai membri dell’Istituto, risvegliando la coscienza comune, l’apertura verso il discernimento in atto e l’accettazione delle decisioni capitolari da parte di tutti.

Sia nel processo di preparazione che nello svolgimento dell’evento capitolare “occorre liberarsi dal disorientamento dell’individualismo e delle clientele; perché, com’è detto nella «Perfectae Caritatis» n. 4 (come abbiamo già ricordato sopra): «Non è possibile procedere ad un rinnovamento efficace e a un vero adattamento senza la collaborazione di tutti i membri dell’istituto»[x].

Questo impegno a “trovare tutto l’Istituto” nell’evento capitolare e a promuovere nell’Istituto un rinnovamento inclusivo, che non lasci nessuno indietro (per usare due espressioni oggi di moda), aiuterà ad evitare due trappole. Da una parte, l’emergere di una certa mentalità che funge da “bastian contrario” ed elemento di blocco, che conosce un certo ordine di cose e tende a resistere al rinnovamento (nel Capitolo del 1969, il gruppo di personalità abituate a guidare l’Istituto e a perpetuarsi nell’esercizio dell’autorità). Dall’altra, l’affermarsi di una mentalità ideologica, della moda ecclesiale del momento, del cambiamento a tutti i costi e in fretta (nel Capitolo del 1969, ad esempio, il gruppo dei “profeti minori”, degli “illuminati” che in seguito… hanno lasciato l’Istituto).

Mantenere questa visione dell’evento capitolare come appuntamento di tutti i membri dell’Istituto aiuta a trovare la via della sintesi che porta al rinnovamento inclusivo (nel Capitolo del 1969, il coinvolgimento di tutti nell’evento Capitolo e il senso di responsabilità dei capitolari ha aiutato a imboccare la via della sintesi e a operare la riconfigurazione apostolica dell’Istituto così come lo conosciamo oggi).

Il Capitolo, ogni Capitolo, non è un raduno di egregi membri chiamati ad esercitare un compito grazie ad una “rappresentatività infusa” o ad una personale “chiaroveggenza ideologica”. È, invece, un’assemblea di persone che hanno ricevuto una missione dai membri dell’Istituto e a loro la devono riportare ad ogni momento. Perciò, in ogni Capitolo, sono da evitare le “soluzioni imposte” e “le risposte chiuse” che lasciano sempre incrinature e divisioni, e sono da preferire le “risposte aperte”, in linea con la personalità aperta di san Daniele Comboni[xi].

Includendo, nei temi proposti per il discernimento, la questione della rivisitazione e revisione della Regola di Vita, il XIX Capitolo Generale raccoglierà il lavoro di riflessione fatto finora e offrirà all’Istituto un momento unico d’incontro con sé stesso e di consolidamento della coscienza della comune sequela e missione.

3.- Il Capitolo Generale come incontro con la Chiesa oggi

La lettura attenta delle lettere scritte da Daniele Comboni a Propaganda Fide (al cardinale Giovanni Simeoni, per un totale di 20 lunghe lettere) durante l’ultimo anno della sua vita (gennaio-ottobre 1881) rivelano un missionario appassionato alla Chiesa, anche (e soprattutto!) quando si sente maltrattato da essa (il rapporto con Lavigerie e la questione del ridisegno dei confini del Vicariato). Questo zelo per la Chiesa missionaria del suo tempo, questo senso di comunione e devozione crescono nell’ora della sofferenza, quando il seme sta per essere gettato a terra, e nella sincerità e nella parresia. Comboni, infatti, non si astiene dal criticare decisioni prese e metodi seguiti né dal dare dei suggerimenti, unendo libertà di spirito e di coscienza con fedeltà e devozione.

Questo riferimento ecclesiale, il richiamo alla Chiesa come popolo di Dio, nel quale va inserito il nostro discernimento, è presente nei Capitoli Generali[xii] più recenti. Nei documenti dell’ultimo Capitolo, invece, questo riferimento è piuttosto debole, ridotto a menzione di passaggio (si vedano il n. 6, che afferma la comunione con la Chiesa, e il n. 46.2, dove si afferma che la Chiesa locale è il soggetto della missione).

In generale, in questi Capitoli ci si limita a fare citazioni del magistero senza approfondire la questione del nostro inserimento nella Chiesa e, di conseguenza, nelle Chiese locali. Queste affermazioni cercano di aiutare i membri dell’Istituto ad essere in sintonia con la Chiesa del nostro tempo e dei nostri luoghi.

È questo che facciamo anche con il magistero di Papa Francesco, che tanti spunti ci offre per fare una riflessione di fondo: citiamo il Papa ogni giorno a nostro uso e consumo, passando da una citazione all’altra senza promuovere una riflessione integrale per capire, in ciò che il Papa dice a tutta la Chiesa (lui, infatti, parla a tutta la Chiesa, con la sua chiamata ad una riforma missionaria), quali sono gli elementi dei quali dobbiamo appropriarci per operare la nostra riconfigurazione missionaria, secondo il nostro carisma e le nostre possibilità concrete (di persone e mezzi).

Vedere il Capitolo come incontro con la Chiesa del nostro tempo, e con le Chiese dei luoghi in cui ci troviamo, e situare il nostro rinnovamento nell’ambito ecclesiale, non significa semplicemente cercare di allargare il nostro “circolo di conoscenza” (le persone hanno oggi modo di ampliare la loro conoscenza della Chiesa e del suo cammino). Si tratta, invece, di aiutare i confratelli ad allargare “il loro circolo d’influenza”[xiii], cioè ad assumersi le proprie responsabilità come membri di una Chiesa che vuole essere missionaria (in uscita o alle frontiere, per usare le ben note espressioni di Papa Francesco). Per noi si tratta di innescare quello zelo per la Chiesa e la Nigrizia di cui viveva san Daniele: zelo, originariamente, ha a che vedere con fuoco acceso nel cuore, quella vampa di amore che esce dal Cuore trafitto.

Il fatto che il XIX Capitolo Generale includa nella sua agenda il tema della ministerialità ci aiuterà a viverlo come intenso momento d’incontro con la Chiesa del nostro tempo e ci spronerà ad assumere, nella nostra vita e missione, la visione di una Chiesa ricca di ministeri e carismi e a rinnovare, promuovendo una Chiesa carismatica, la coscienza del carisma che, per grazia di Dio e mediazione di San Daniele, è il nostro.

4. - Il Capitolo Generale come incontro con l’umanità di oggi

Nelle lettere degli ultimi mesi Daniele Comboni appare come missionario braccato dalle difficoltà ma appassionato nella sua donazione, radicato nella fede e attento ai bisogni della società attorno a lui, che assume iniziative per combattere la schiavitù (con il suo viaggio in Kordofan e ai monti Nuba) e progetta una nuova apertura missionaria in quella regione.

Metteva assieme, possiamo dire, passione per Dio e passione per la rigenerazione della nigrizia. Questi ultimi mesi costituiscono un prezioso frammento che rivela il tutto della sua vita e del suo impegno missionario; che coniuga assieme, in un’unica grammatica di amore e impegno, la passione per Dio e per l’Umanità.

Nello sguardo alla società che lo circonda, san Daniele parte dalla e approda alla Croce di Cristo. Tra sé e la società, colloca Cristo e innalza la Croce come fonte dell’efficacia che egli cerca: “Io sono felice nella croce, che portata volentieri per amore di Dio genera il trionfo e la vita eterna”.

Queste parole, scritte a P. Sembianti nell’ultimo periodo della sua vita, racchiudono in un momento cruciale lo stato d’animo di tutta la sua vita di missionario. Questo ritorno ai piedi della Croce, alla contemplazione del Cuore trafitto, dove tutto è cominciato, riempie di luce e di coraggio il tempo ormai vicino della sua fine. Ed è questo lo sguardo sulla società che ci lascia come eredità carismatica, come seme destinato a trasformare il nostro sguardo e il nostro agire.

L’attenzione alla trasformazione delle società e dei popoli in mezzo ai quali viviamo è venuta crescendo negli ultimi Capitoli Generali. Tra le varie dimensioni delle società (culturale, sociale, politica, economica…) ha prevalso l’interesse per la giustizia e la pace[xiv], seguito dall’interesse per la cultura e il dialogo[xv]. Il nostro sguardo più attualizzato sull’umanità di oggi, lo troviamo negli Atti del Capitolo del 2015 (specialmente ai nn. 7-14); andando oltre il tradizionale approccio, che concentrava lo sguardo comboniano sull’Africa e sulle Americhe, il Capitolo del 2015 si occupa anche dell’Europa (n. 46, 1-5).

Abitualmente il nostro sguardo sulla società e il nostro incontro con i popoli che aspettano il Vangelo tendono ad essere profetici e di denuncia. Siamo inclini a pensare che la nostra visione, la nostra presa di posizione faccia la differenza e abbia un’influenza sui processi… almeno al livello dei membri dell’Istituto.

Guardando al Comboni, occorre andare oltre la profezia e la denuncia – che anche lui ha saputo fare a suo tempo e nelle sue circostanze – e arrivare alla Croce, a questa capacità di guardare alla società con gli occhi del Cristo, e collocare il Signore e il suo Vangelo tra noi e la società, traendone le conseguenze, per la denuncia che si impone e, soprattutto, per l’azione che si richiede. Solo così, il nostro discernimento dei tempi e dei luoghi, a cui la Chiesa ci chiama in ogni Capitolo, come momento unico del nostro rinnovamento, sarà in linea con l’ispirazione e il carisma del Fondatore.

5.- Il capitolo generale come evento poliedrico, con vari tempi

C’è una percezione che attraversa la vita di San Daniele e dà consistenza alla sua visione e azione, come filo portante: la certezza del disegno di Dio, il senso e l’attesa dell’Ora di Dio. Dio scrive una storia con dei tempi e priorità che ci sfuggono e non sempre riusciamo a discernere. Gli eventi, nel disegno di Dio, scorrono a secondo tempi e scadenze proprie, che bisogna scoprire e capire. Daniele Comboni conserva questa perspettiva dell’ora di Dio anche e soprattutto in mezzo alle difficoltà da superare e alle difficili decisioni da prendere: “È suonata l’ora della redenzione della nigrizia, ed uno dei contrassegni che quest’ora è scoccata è la presente tribolazione che opprime il Vicariato” (Scritti, 5153).

In questa perspettiva, l’attenzione capitolare si concentra sui tempi di Dio e i Suoi disegni per l’Istituto e la sua missione, in mezzo alle difficoltà che troviamo nel nostro cammino. Ogni capitolo generale, in questo senso, è una teofania in attesa; e il discernimento capitolare aiuta a capire e vedere come la luce di Dio illumina il diamante di mille volti che è l’Istituto nella varietà dei suoi membri, di nuovo splendore e bellezza. Il ricercare questa perspettiva di Dio aiuta a neutralizzare l’influenza di personalismi e di elementi psicologici ed emozionali che, in ogni capitolo, creano onde destabilizzanti che rischiano di de-centrare il discernimento capitolare. Occorre, perciò trovare una rinnovata sintesi tra riflessione e contemplazione, tra approfondimento professionale e apertura alla grazia divina nell’ascolto della Parola di Dio e nella lettura dei segni dei tempi e luoghi, alla luce della Parola.

Questa perspettiva è da ricercarsi nei tre tempi dell’avvenimento capitolare, che vanno visti assieme: la preparazione; lo svolgimento del capitolo; la trasmissione del discernimento capitolare a tutti i membri dell’istituto. Il capitolo va visto, così, come un avvenimento a varie scadenze e dinamiche: la fase della preparazione è quella che permette una più grande varietà di approcci in vista della partecipazione e interessamento di tutti; la fase dello svolgimento è più condizionata da tempi e dinamiche proprie (solo i delegati capitolari, un tempo limitato, uno statuto e regole capitolari da seguire, etc …); la fase della trasmissione è la più aperta e lunga, già che ha davanti un periodo di sei anni e richiede più perseveranza e impegno.

Nel nostro passato, ci siamo interessati soprattutto alla fase di preparazione e alla fase dello svolgimento; e abbiamo trascurato la fase della trasmissione. Bisogna trovare modalità per coinvolgere i delegati capitolari nella trasmissione del capitolo e contrastare il sentimento di molti di essi, che considerano terminato il suo compito nel giorno della chiusura del capitolo, lasciando ai membri della nuova direzione generale il compito di trasmettere il discernimento capitolare. Questo, per essere effettivo, ha bisogno di dinamismi di trasmissione, d’implementazione e di verificazione, da stabilire dal capitolo stesso o dalle direzioni generali e/o provinciali. Si tratta di portare l’esperienza carismatica del capitolo alla vita delle persone e delle comunità.

La considerazione del capitolo come evento poliedrico, un diamante con tante facce quante sono i membri dell’Istituto, ci permette di guardare alla ricchezza che costituisce la varietà dei partecipanti, in aumento crescente nei capitoli recenti. L’aumento del numero dei capitolari, di per sé, potrà aumentare la rappresentatività ma non assicura il discernimento; anzi, rischia di renderlo più difficile, se poi consideriamo la mancanza di preparazione e di conoscenza della situazione dell’Istituto e delle tematiche da trattare da parte di non pochi capitolari. Guardando ai capitolari, occorrerebbe cercare un maggiore equilibrio numerico tra quelli che, per ufficio, hanno una conoscenza dell’istituto e delle questioni da discernere (membri della direzione generale e superiori provinciale…) e quelli che vengono eletti senza che necessariamente si tenga in considerazione questo criterio. Una via di soluzione sarebbe trovare modo di garantire la presenza in capitolo, per tempi determinati, di esperti e persone preparate nelle tematiche sottomesse a discernimento, in modo da aiutare in capitolari nella loro riflessione e decisione.

6.- Conclusione: la parabola del seme per ripartire dalle nostre fragilità

Un’ultima osservazione, per concludere, ispirata all’immagine del seme, sul messaggio del Consiglio Generale per il 153° anniversario dell’Istituto, che cito liberamente.

La convocazione del XIX Capitolo Generale ci coglie in un momento completamente inaspettato; solo ieri… abbiamo vissuto e stiamo uscendo da un tempo di sorprendente rivelazione, da un tempo che ci ha costretto a rivedere criteri e priorità, a confrontare il nostro senso di libertà e di responsabilità, a mettere in discussione le nostre sicurezze e a nudo le nostre debolezze. Un tempo che ha fatto dire a molti che, nel momento della ripresa, “niente sarà come prima” e che ci fa sospettare (senza la pretesa di essere profeti!) che anche “il prossimo Capitolo non sarà come quelli precedenti”.

Il prossimo Capitolo Generale ci pone davanti alla sfida di fermarci un po’ per valutare la nostra vita, la nostra missione, per guardarci negli occhi; ci offre l’opportunità di ripartire da quella scoperta che tutti abbiamo fatto durante il “confinamento” causato dalla pandemia del Covid-19 (a cominciare da Papa Francesco, quel 27 marzo 2020, nella preghiera in Piazza San Pietro): la nostra comune debolezza e fragilità. Il virus ha fatto volatilizzare le nostre certezze ideologiche, ha messo a terra le nostre sicurezze, ha ridotto in polvere le nostre pretese, ha scompigliato i nostri progetti.

Dal Vangelo (si veda Mt 13, in particolare 31-33), dalla parabola del grano di senape e del lievito, dal Fondatore, dalla Chiesa, dalla società e dal tempo in cui viviamo ci viene questo invito ad avere il coraggio di ripartire dalle nostre debolezze, ancora e di nuovo, lasciando a Dio l’iniziativa, il primato; un invito a vivere “questo tempo di prova come tempo di scelta”[xvi], per “reimpostare la rotta della nostra vita e missione verso il Signore, e verso gli altri”[xvii], verso quanti aspettano il Vangelo. San Daniele ci è donato come seme di speranza e ci spinge in questa direzione, invitandoci ad “avere coraggio per il presente e soprattutto per il futuro”[xviii].
P. Manuel Augusto Lopes Ferreira, mccj

 

 


[i] Perfectae Caritatis, Sul rinnovamento della Vita Consacrata”, nº 2.

[ii] Perfectae Caritatis, nº 2b. Il corsivo è nostro.

[iii] Perfectae Caritatis, nº 4. Il corsivo è nostro.

[iv] Perfectae Caritatis, nº 3.

[v] Ad Gentes, nº 24.

[vi] Ad Gentes, nº 26.

[vii] Pietro Chiocchetta, Danilo Castello e Stefano Santandrea: Daniele Comboni, indicazioni e suggerimenti alla nostra ora postconciliare. A cura della Commissione Centrale dei Missionari Comboniani, Roma 1968.

[viii] P. Chiocchetta, op. cit. p. 24.

[ix] P. Chiocchetta, op. cit. p. 113.

[x] P. Chiocchetta, op. cit. p. 81.

[xi] P. Chiocchetta, nel testo citato, parla delle “soluzioni di crisi” che hanno segnato il cammino dell’Istituto e che hanno “lasciato delle incrinature”.

[xii] Atti Capitolari del 1991, nn. 1-4; Atti Capitolari del 2003, nn. 10-14 e 24-27; Atti Capitolari del 2009, nn. 49-52.

[xiii] Le espressioni “circolo di conoscenza” e “circolo d’influenza” credo siano di M. MacLuhan. Per lui, oggi, nella società globalizzata, le persone hanno un circolo di conoscenza che si allarga all’infinito, perché hanno modo (TV, mezzi di comunicazione sociale, reti sociali, ecc.) di conoscere tutto nel momento stesso in cui accade. Ma vedono il loro circolo d’influenza restringersi sempre di più perché diminuisce, di fatto, la loro capacità e possibilità d’intervenire sugli avvenimenti. Questa situazione è all’origine del diffuso senso di frustrazione e saturazione informativa che oggi si avverte nelle persone e anche tra di noi.

[xiv] Atti Capitolari del 1997 (nn. 107-118); del 2003 (nn. 46-48); del 2009 (nn. 66-67).

[xv] Atti Capitolari del 1997 (nn. 32-52); del 2003 (nn. 109-112); del 2009 (n. 65).

[xvi] Papa Francesco, Momento Straordinario di Preghiera, Sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020.

[xvii] Papa Francesco, Sagrato della Basilica di San Pietro, 27 marzo 2020. Citazione adattata...

[xviii] In Annali del Buon Pastore 27, gennaio 1882, p. 55.