Mercoledì 11 marzo 2015
Il Simposio di Limone 2015 si terrà dal 7 all’11 aprile presso la casa comboniana di Limone sul Garda (Italia). Il tema di quest’anno è: “Essere buona notizia oggi in Europa: consolidare, approfondire e immaginare”. Ci sono due aspetti fondamentali per essere buona notizia: il primo aspetto è quello della spiritualità; il secondo è quello di una vita alternativa al sistema. Il Simposio ha lo scopo dunque di mettere in evidenza il significato e le sfide per essere “buona notizia” in Europa. I tre giorni del Simposio saranno marcati dai tre verbi enunciati: consolidare, approfondire e immaginare: Consolidare le esperienze di missione in Europa; Approfondire le nuove prospettive: quello cioè che è buona notizia per il futuro; e Immaginare cosa proporre, perché la missione in Europa sia espressione di gioia missionaria? Quale immaginario missionario deve orientarci?. Il Simposio avrà lo scopo di offrire materiale ai capitolari che parteciperanno al Capitolo del 2015 e coinvolgerà tutti i membri della Famiglia comboniana, impegnati a vivere la missione comboniana in Europa. In allegato, pubblichiamo un altro articolo di Agnes Lanfermann, MMS (in italiano, inglese e spagnolo), intitolato “Nuova Evangelizzazione: Un viaggio di trasformazione reciproca” che potrà aiutare nel ben preparare il Simposio.
L’oggi della missione
Il dispiegarsi di un nuovo immaginario
L’intento di queste considerazioni è quello di cogliere, attraverso i vari contributi che questo volume presenta ma anche al di là di essi, la sostanza della riflessione sulla missione che la Famiglia Comboniana è venuta sviluppando nell’ultimo decennio. Ne verrà così rilevato il carattere di ermeneutica missionaria, la specificazione di alcune linee metodologiche, la puntualizzazione di aspetti fondamentali del nuovo immaginario missionario, e l’indicazione di piste per un continuo approfondimento perchè la missione rimanga sintonizzata sull’onda dello Spirito che rinnova la faccia della terra.
1. Una questione di ermeneutica missionaria
“...mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all' estremità della terra” (Atti 1:8).
Cosa significhi essere discepoli e testimoni del Signore Gesù nel mondo di oggi è l’interrogativo attorno a cui si articola la presente raccolta di contributi, estratti da un insieme di riflessione più che decennale della famiglia dei Missionari Comboniani in Europa, coscienti che l’identità missionaria non può che essere in cammino.
L’esperienza, infatti, di “spiazzamento” nei confronti di un tempo tanto diverso come l’attuale, percorso da cambiamenti epocali, ha condotto la Famiglia Comboniana ad interrogarsi sul senso del loro essere missionari e sulla significatività del carisma comboniano. Una domanda che non interpella solo la mente, ma mette in discussione la vita stessa a tutti i livelli, e ridisegna la presenza missionaria in Europa al di là degli schemi tradizionali di distinzione tra “paesi cristiani” e “paesi di missione”, “animazione missionaria” ed “evangelizzazione”. La consapevolezza è venuta maturandosi che non si può più essere missionari secondo il modello della propagazione del cristianesimo e della “plantatio eccclesiae”. Il “linguaggio” stesso ha bisogno di essere rinnovato, a cominciare da quello di “ad gentes”, nel sua connotazione negativa di quanti “non hanno o non sono”.
Chiara emerge dai vari contributi la sensazione di trovarsi di fronte ad un tempo-ora di Dio per la missione, tanto che viene stabilita una relazione tra la percezione dell’ora per l’Africa come parte dell’esperienza carismatica del Comboni e quest’ora che, nella sua duplice connotazione di momento di grazia e di imperativo storico, oggi provoca il comboniano e Famiglia Comboniana ad una rivisitazione della loro esperienza carismatica.
Cogliere quest’ora e rispondervi è questione di ermeneutica missionaria che investe l’originalità del carisma e la sua efficacia per l’attuale storia culturale: quale missione oggi e in che modo un suo rinnovamento sfida e al tempo stesso può trovare ispirazione ed energia nel carisma e nell’eredità comboniana?
Si tratta di elaborare una nuova immaginazione missionaria che si traduca in azione e significhi una nuova operatività missionaria, entro il contesto, ad un tempo plurale e globale, del mondo d’oggi.
2. Linee di metodo
Alle prese con questo processo ermeneutico, i vari contributi vengono delineando una tessera metodologica.
a) Segni dei tempi e lettura profetica dell’oggi
Nel discernimento dell’ora di Dio nella missione, il primo momento è quello della lettura degli eventi storici, che il Concilio Vaticano II ci ha insegnato a considerare come segni della presenza ed azione di Dio in mezzo a noi.[1] La contemplazione dell’oggi nella complessità dei suoi aspetti non ha solo una funzione strumentale in relazione alla missione, ma è già parte del suo compiersi. Sintonizzarsi in maniera empatica con “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomin di oggi” (GS 1) significa ricongiungersi con la “missione di Dio” e l’agire dello Spirito nel mondo. Sempre secondo la preziosa indicazione precisa del Concilio, comunicazione della fede e prassi cristiana hanno una inerente dimensione contestuale.
Si richiede pertanto una una lettura impegnata e profetico-sapienziale della realtà post-moderna e post-cristiana. Bisogna conoscere la realtà in cui viviamo, attraverso un coinvolgimento attivo e creativo, evitando la tentazione di demonizzare il trend culturale ed etico e privilegiando, invece, un’analisi storica e socio-culturale. Importante è vivere un ascolto partecipativo del mondo nei suoi drammi e nelle sue attese, in un dialogo di vita che sa imparare dagli altri e rispettare le diverse competenze. All’interno di questa immersione critico-partecipativa nella realtà, il Vangelo stesso è riletto e riscoperto in modo da poter riscrivere la missione di Dio nel mondo così come si presenta nella storia singolare di Gesù. Nel confronto, infatti, con la varietà dei contesti e fatti storici, l’evento della salvezza, testimoniato dalla Scrittura, può dischiudere aspetti “inediti”, “significati” cioè e “potenzialità originali” contenute sì nell’evento stesso ma in modo latente. Lo stesso Spirito che ha formato la Parola della comunicazione divina e ha ispirato la testimonianza della Scrittura continua a dire quella Parola nell’oggi e a svelare il senso antico eppure sempre nuovo della Scrittura, perchè “qui e ora” si compia per noi la salvezza.
Entro tali coordinate, la stessa eredità comboniana ha la possibilità di essere ricompresa e diversamente attualizzata a partire dalle situazioni che oggi vive la missione. Il che in fondo appartiene alla sua stessa identità, significata nell’intuizione di Daniele Comboni e del Piano, il cui progetto rigenerativo dell’Africa nasce da un confronto aperto, da una ricerca e dialogo con la realtà. Certo, il panorama non è più lo stesso, visto che lo scenario della globalizzazione ha modificato le dinamiche e i processi della relazione Vangelo e cultura. Rimane, però, la tensione verso una missione che deve essere interpretata e vissuta in termini di reciprocità e interdipendenza, dove chi evangelizza condivide la stessa appartenenza alla famiglia di Dio con chi accoglie il messaggio.
La missione oggi deve andare oltre ogni muro strutturale e geo-politico, per promuovere una presenza qualificata della novità cristiana negli spazi socio-culturali della vita umana, soprattutto in quelle situazioni sociali e culturali discriminanti, in cui povertà ed emarginazione rendono impossibile un’esistenza segnata dalla dignità e libertà dei figli di Dio.
b) Missione di Dio nel segno di Gesù
Un secondo momento della “tessera metodologica” consiste nel valorizzazione della tensione che esiste tra “missione di Dio” (missio Dei) e “storia di Gesù di Nazaret”.
Importante è da un lato lo spostamento dalla missione della Chiesa alla missione che ha il suo soggetto vero e proprio in Dio-Trinità, la cui azione oltreppassando i confini della Chiesa si estende a tutto lo spazio storico, sia nelle sue dimensioni politico-sociali che nella pluralità delle esperienze religiose e culturali, secondo quella libertà dello Spirito di Dio che “soffia dove vuole”. Il “mondo” viene affermato come realtà altra dalla Chiesa ma che è a sua volta luogo della presenza salvifica di Dio.
D’altro lato, decisivo rimane il riferimento alla storia particolare di Gesù come segno di riconoscimento e chiave di lettura della missione di Dio nel mondo. Essenziale diventa quindi il discernimento critico dei fatti e processi storici in un confronto continuo con la missione nello stile di Gesù, che proclama la buona notizia del Regno ai poveri, ai quali fa dono di sé, ed un inveramento dei segni dei tempi attraverso il segno di Gesù.
c) Il Regno di Dio come figura della salvezza
Col riferimento alla storia di Gesù è il Regno di Dio ad essere posto al centro della missione, come espressione della missione di Dio nel segno di Gesù. Con questa focalizzazione sul Regno di Dio come proclamato da Gesù e manifestato nel suo ministero messianico, la missione viene riletta nell’ottica più vasta di Dio che irrompe nella storia e la trasforma dal di dentro. Già il Vaticano II, nella LG, aveva operato un decentramento della Chiesa e della sua missione rispetto al Regno di Dio, affermandone soprattutto nella GS la valenza trasformatrice nei confronti della stessa realtà storica; ma la relazione missione-Regno di Dio non era entrata nella strutturazione di AG[2]. Saranno poi soprattutto l’Evangelii Nuntiandi e le varie teologie postconciliari della liberazione a riprendere e sviluppare queste indicazioni. Questo stesso filone interpretativo è ripreso qui nella riflessione sulla missione da parte della Famiglia Comboniana.
Una reinterpretazione della missione alla luce del Regno di Dio e del suo rapporto con il mondo e la storia, fa dell’evangelizzazione un evento sempre attuale: per ogni società e ciascuna generazione il Vangelo è novità che l’interpella. Inoltre, la figura del Regno disegna un’immagine olistica della salvezza, sì che la missione stessa si presenta come evento dalle molte facce (a multifaceted mission), in cui l’annuncio di Cristo si articola con la più ampia testimonianza cristiana e con l’impegno storico nella società. Si allarga così l’orizzonte della missione dall spazio geografico di quanti non conoscono ancora il Vangelo alla spazio storico degli eventi umani dentro i quali la promessa di “nuova terra e nuovo cielo” prende forma. Significativo al riguardo è il fatto che i contributi del presente volume nei loro rimandi biblici alla missione privilegino testi come quelli di Gv 10: 10, “io son venuto perché abbiano la vita e l' abbiano in abbondanza”, e di Lc 4:18-21 sul proclama messianico di Gesù rispetto al testo tradizionalmente più citato di Mt 28:18-20.
3. Aspetti del nuovo immaginario e della nuova prassi della missione
Seguendo i cammini metodologici sopra indicati, la riflessione che la Famiglia Comboniana è venuta maturando in questi anni ha individuato alcune condizioni necessarie e contenuti fondamentali per una nuova comprensione e prassi della missione, senza la pretesa di arrivare ad un quadro definitivo. Non si tratta infatti di dichiarare chiuso un percorso, quanto piuttosto di promuoverlo. L’importante non è neppure sostuire un paradigma di missione con un altro, quanto invece contribuire ad un laboratorio aperto, sensibile alla novità che la storia pone ai processi di evangelizzazione.
a) Il sogno - passione di Dio
Viene innanzitutto sottolineato come la missione si articoli in relazione alla grande passione di Dio in Gesù Cristo per il mondo, là dove ogni uomo e donna lotta per il senso della vita: che tutti abbiano la vita in pienezza. Il cuore di Dio batte per il mondo e per la moltitudine dei suoi figli e figlie di ogni tempo e sotto ogni cielo, in una relazione di alleanza dalle dimensioni cosmiche. È volontà e sollecitudine di Dio che nulla della sua creazione vada perduto. La “buona notizia” di Gesù è che Dio è Abba dall’amore incondizionato per tutti, a cominciare da chi nella vita l’amore lo sperimenta di meno.
Paradossalmente, la Bibbia, il più religioso dei libri, non è tanto a riguardo di Dio quanto a riguardo della sua premura e del sogno che egli nutre per l’umanità.[3] Già nell’atto creativo è iscritto il sogno di Dio: l’avvento di una umanità libera in una creazione liberata, una fraternità umana partecipe della comunione divina. Gesù si vede mandato ad inaugurare l’“anno del Signore”, come la grande festa della liberazione e della condivisione dei beni che Dio provvede. A questo sogno la figura del Regno che Gesù sceglie nella sua predicazione dà forma espressiva.
La missione si configura allora partecipazione al movimento di Dio verso la gente, al di là di ogni barriera, alla maniera di Gesù che con la sua pratica di una commensalità aperta sconvolge le strutture socio-religiose di esclusione del suo tempo. Qualunque sia la “riserva escatologica” che pure il suo carattere assoluto richiede, il sogno di Dio domanda comunque concrete configurazioni storiche, a tutti i livelli della vita, da quello religioso a quello socio-politico ed economico.[4] Nella dinamica messianica di Gesù, umanizzazione e liberazione, giustizia e pace rappresentano gli orizzonti ispirativi della missione. La relazione con Dio-Abba deve rivelarsi nell’altra relazione tra fratelli/sorelle che rimpiazza la vecchia relazione tra padrone e schiavo, sì che l’esperienza religiosa viene proiettata oltre la separazione tra sacro e profano. Ultimamente, la relazione con Dio, il Padre, non trova posto in spazi riservati, né in culti misterici particolari, ma nel quotidiano, passando dal tempio alla strada, negli incontri con uomini e donne che sperano, soffrono e lottano per una diversa qualità di vita. In questo senso, si tratta di una missione in spazi secolari e dai contorni laicali.
b) Il mondo come crocevia di popoli e la missione ad gentes
Se la missione è partecipazione al movimento di Dio verso l’uumanità, a somiglianza di Gesù che si muove per le strade della Palestina incontro alla gente, diventa allora un segno importante per la stessa missione il fatto che il mondo oggi sia diventato una specie di universale crocevia, dove il cammino dei vari popoli viene a incrociarsi, scombinando la mappa dei confini tradizionali. Il villaggio globale-crocevia di popoli riporta l’ad gentes al suo significato originale, comprensivo e più positivo, di ‘tanti popoli’, cioè di ogni uomo e donna che può beneficare della proposta evangelica, a partire dalla propria appartenenza sociale, culturale e religiosa.
Ciò mette in crisi, innanzitutto, quella comprensione e pratica missionaria che vede la missione “altrove (down there)”: la missione diventa globale, policentrica, multidirezionale ed egalitaria. Essa è da ovunque a dapperttutto, e più che mai nella stssa Europa. Tra vecchie e nuove Chiese si stabilisce un “partenariato (partnership) nella missione”.
Questo significa che la specificità della missione non sta nell’oltrepassare i confini geografici – i confini sono ormai altri e ovunque -, quanto nell’immettersi negli snodi stessi del crocevia globale, nella condivisione delle tensioni, dei drammi e delle novità che là quotidianamente si vivono, per testimoniarvi la passione e sogno di Dio.
Dal momento poi che il crocevia è luogo di incontro, anche se non senza tensioni e conflitti, la missione vi si configura come evento di relazione, promessa di interazione, iniziazione a dare-e-ricevere, in un comune cammino di viandanti verso quella terra di libertà e pace che Dio promette.
c) Una missione umile, come cammino condiviso con altri
La mobilità e nomadicità del villaggio globale aiutano la Chiesa-in-missione a risconoscersi nell’Isreale dell’esodo, in un cammino faticoso, su sentieri spesso incerti ed inesplorati, verso la terra della promessa dove il sogno di Dio per il suo popolo si fa realtà piena.
... rintracciando i passi di Dio ... “La chiesa prosegue il suo pellegrinaggio [...] annunziando la passione e morte del Signore fino a che egli venga” (LG 8). L’essere in missione della Chiesa viene a coniugarsi con la sua condizione esistenziale di pellegrina del Regno. Essa testimonia Colui che viene e fa nuove tutte le cose, ma senza la “presunzione di sapere già ciò che è invece perennemente avvolto nel mistero”[5]. Annuncia quanto essa stessa sta cercando, mentre invita anche gli altri a partecipare alla sua ricerca: “Venite, saliamo al monte del Signore, alla casa del Dio di Giacobbe; egli ci insegnerà le sue vie, e noi cammineremo per i suoi sentieri” (Is 2:3).
... nell’ascolto e nel dialogo ... La missione è sempre anche ‘attesa’ del manifestarsi di Dio, pellegrinaggio fatto assieme ad altri, in un interscambio. Nella sua ricerca del Regno di Dio e della sua giustizia, la comunità dei credenti non può contare su soluzioni preconfezionate ‘in nome di Dio’, ma deve affidarsi alla fatica del discernimento fatto assieme ad altri, nella luce di quello squarcio sul mistero di Dio aperto dalla storia di Gesù. Come la testimonianza cristiana dell’evento della salvezza è sempre caratterizzata culturalmente e non senza ambiguità di vario genere, così la particolarità culturale e i limiti propri di altre tradizioni religiose o meno non impediscono loro di essere anche portatrici di un’esperienza di Dio e di valori dai tratti unici. Di qui la necessità del dialogo interreligioso ed interculturale e con la stessa secolarità, non come strategia ma come grazia, nel riconoscimento che l’azione di Dio sopravvanza la missione della Chiesa. La varietà religiosa e culturale rappresenta una ricchezza e un dono da discernere ed accogliere. Nello stesso tempo, un dialogo franco e costruttivo provoca ogni tradizione religiosa e culturale, compreso il cristianesimo come risposta storica e contestuale all’evento di Cristo, ad un processo di autocritica e ad un cammino di autenticità e verità. In particolare, nel reciproco ascolto, le religioni vengono a scoprirsi “come risposta ad un appello”: come, nella loro identità, non siano costruite “a partire da se stesse, ma da un evento che ne dischiude la ricerca”[6] e le interpella di continuo. Entro tale confronto, la proclamazione del Vangelo costituisce un invito e un potenziale di rivoluzione spirituale per il cristianesimo come per ogni altra tradizione, capace di creare uno “spaesamento dell’immaginario religioso e delle sue attese e prerogative”[7], per puntare ad una trasformazione delle comunità secondo il Regno di Dio.
Facendosi pellegrinaggio assieme ad altri, la missione, da movimento a senso unico, diventa movimento a doppio senso, in una circolarità tra missione “alle nazioni” (ad gentes) e missione “tra le nazioni” (inter gentes), come sottolinea la Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche[8]. Con una ripercusione sulla configurazione stessa della comunità ecclesiale, ponendo la questione di un’ermeneutica ecumenica ed interculturale che prenda sul serio l’assimilazione e l’interpretazione del vangelo effettuata e sviluppata in un determinato contesto all’interno della stessa comunione di fede.[9]
... dall’offerta di senso alla sua ricerca condivisa ... Se nella versione tradizionale la missione era un “essere mandati (fuori)” per comunicare la verità - il senso della vita e delle cose -, ora essa è inanzittutto uno “scoprire” e “raccogliere” quanto lo Spirito dissemina un pò ovunque. La passione per la verità, tutt’altro che arrendersi a forme di relativismo o nichilismo, si traduce nell’impegno e serietà di una conversazione globale che evidenzia la dimensione ‘ricettiva’ e suggerisce comunanza di vita e sentimenti nell’esperienza della verità. Per la comunità cristiana ciò significa entrare in un processo di apprendimento ed essere guidata ad una scoperta fresca e inattesa e ad un intelligenza nuova del mistero di Cristo. Ma rappresenta pure il contesto in cui, con “audace umiltà”[10] può far parte agli altri del “tesoro” che essa ha scoperto, “ciò che noi abbiamo udito... veduto...toccato, ossia il Verbo della vita... noi lo annunziamo anche a voi” (1Gv 1:1-4). La storia di Gesù viene offerta ai compagni di viaggio come itinerario di senso.
d) ... cammino con gli altri, a partire dagli ultimi e dalle vittime: missione come “compassione”
Paradossalmente, la storia di Gesù svela che l’itinerario di senso e la via al sogno di Dio passano attraverso la marginalità. Non solo il Vangelo è la Buona Notizia proclamata ai poveri, ma più ancora è nel “campo” delle “vite di scarto” che la grande passione di Dio per il mondo raggiunge il suo culmine: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio” (Gv 3:16). La “passione” di Dio per il mondo diventa in Cristo crofisso partecipazione alla passione del mondo, “com-passione”.
La crisi che nell’attuale passaggio storico attanaglia il mondo è innanzi tutto la passione degli impoveriti; la loro storia è già racconto dello scandalo del Crocifisso. Dal canto suo, la vicenda di Gesù, la “vittima innocente”, rende evidente che solo partendo dalla sofferenza delle vittime è possibile cogliere i meccanismi profondi della società umana, come essa cioè si strutturi attraverso processi di una violenza che ricicla se stessa. Essa rivela pure come Dio nel suo movimento verso il mondo ‘si cali’ dentro il grovigllio di queste relazioni violente, in un atto di autosvuotamnento e autoalienazione per condividere l’espropriazione forzata e distruttiva delle vittime e far sì che nella concretezza di un simile vissuto la vita oltrepassi la morte (cf. Fil 2: 5-8). Al cuore stesso della missione Cristiana sta la kenosis di Dio: la croce come il “bordo duro” (hard edge) della missione[11]. Questo è lo spaesamento religioso creato dalla proclamazione del Vangelo: la realizzazione del sogno di Dio per il mondo non passa attraverso il potere ma il dono di sé. Non il “palazzo” ma il “campo” delle “vite di scarto” è il luogo primario della missione “Gesù soffrì fuori della porta della città. Usciamo quindi fuori dall' accampamento e andiamo a lui portando il suo obbrobrio” (Ebr 13:12-13).
La missione, oggi come sempre e oggi più che mai, dovrà assumere creativamente lo stile di Gesù e parlare il linguaggio di questa passione d’amore di Dio per i più piccoli, per gli ultimi: rivendicandoli come suoi figli e figlie diletti, dando alle loro speranze disattese e alla loro fatica di liberazione una possibilità reale di compimento, sì che anch’essi abbiano pienezza di vita. Qui sta l’unicità della fede cristiana e da qui deriva l’universalità della missione come testimonianza di una notizia che può cambiare i dinamismi della storia e rigenerare l’immaginario religioso, sociale, culturale, politico. Solo se riesce a rendere conto della speranza in mezzo alla sofferenza, se parla cioè di Dio “in una conversione alla passione (in conversion to passion)”[12], dal di dentro dell’esperienza distruttiva delle vittime stesse, la missione può essere annuncio di buona notizia. Questa è la verità del Vangelo a cui rendere testimonianza. Questo è il contributo specifico del pellegrino cristiano nel suo cammino con gli altri: testimoniando un Dio imprevedibile che si lascia ‘mettere fuori del mondo e sulla croce’, egli pone una sfida di radicale conversione – di una specie di inversione di cammino - prima a se stesso e alla sua comunità e poi a tutti i suoi compagni di viaggio: la sfida di un Dio “debole e senza potere nel mondo”[13].
Il che vuol anche dire che, più che il non-credente, l’interlocutore privilegiato della missione è l’uomo ‘impoverito’ e ‘disumanizzato’, cioè l’uomo e la donna discriminati, defraudati nel loro vivere quotidiano e violentati nel loro corpo come nella loro dignità, privati del diritto di avere diritti fino ad essere resi “superflui” in un mondo pensato in termini utilitaristici. A loro è annunciato: “Tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato” (Eb. 1:5; cf. Mt 3:17; Mc 1:11; Lc 3:22). “Annunciare la Buona Notizia ai poveri”: nel linguaggio biblico, i poveri non sono non-credenti, anzi per lo più sono persone aperte a Dio, ma che – vittime di disgrazie e ingiustizie – soffrono anche del suo silenzio e del suo apparente abbandono: qualcosa che trova spesso riscontro nell’esperienza missionaria di oggi. In qualche maniera, la proclamazione di Gesù a Nazaret (Lc 4:8-19) e il suo grido a Dio sulla croce (“Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” (Mc 15:34; Salmo 21 [22]) si richiamano a vicenda. Proprio questi poveri, soggetti dei beni messianici, la missione è chiamata a rendere protagonisti di una storia di liberazione e salvezza aperta al futuro dello Spirito.
Se oggi l’eclissi di Dio, come il suo “ritorno”, ripropongono alla missione la questione di fondo, vale a dire la questione di Dio, la drammaticità del tempo presente e la frantumazione del nostro mondo rimandano all’annuncio di Dio-Abba, fatto da Gesù. La missione globale si configura cioè come il fare presente, in tutti i modi possibili, nella pluralità delle situazioni di oggi e dentro la sua storia di passione, l’amore e la tenerezza di Dio-Abba[14]. La soluzione stessa della crisi sistemica globale e la ricostruzione di un orizzonte di significato passa attraverso gli “ultimi” il cui destino diventa preoccupazione “primaria” nell’edificazione di un mondo nuovo. La missione sarà allora evento di riconciliazione (peacebuilding)[15] a partire dalle vittime.
e) L’irruzione dell’altro e la festa dell’ospitalità.
Uno degli aspetti più decisivi e determinanti la cultura contemporanea, con tutto il carico di problematicità, è l’irruzione dell’“altro” in “un mondo senza l’altro”. All’origine stessa della violenza e della passione delle vittime, sta il mancato riconoscimento dell’altro[16]. In un tale contesto, la missione non potrà che essere una missione ecumenica, fatta di ospitalità, capace di communicare l’esperienza del Dio “accogliente” e di promuovere all’interno del villaggio globale, afflitto da conflittualità e divisioni, l’ecumene delle differenze, vale a dire quella casa (oikos) /città di Dio dove tutti, nella pluralità delle loro identità, hanno libero accesso, non come forestieri, ma con pieno diritto di cittadinanza.
Il motivo dell’ospitalità costituisce la metafora di fondo (root metaphor) della vita e ministero di Gesù. Il vangelo di Luca in particolare presenta Gesù come il pellegrino del regno di Dio che lungo il suo viaggio riceve e dà ospitalità (the journeying guest/host).[17] Innanzitutto, Gesù si lascia invitare e siede alla tavola di altri, comunicando con loro e il loro mondo e ricevendo da loro. Come colui che non dove posare il capo (Lc 9:58), egli si affida alla buona volontà di tanti che lo accolgono e lo sostengono. Spesso, come racconti quali quelli delle nozze di Cana di Galilea, di Zaccheo il pubblicano e, dopo la resurrezione, dei due discepoli di Emmaus mostrano, è a partire dall’essere egli stesso ospite che Gesù diventa colui che dona, e dona in abbondanza e fa sperimentare l’ospitalità di Dio. Questo gioco del dare ospitalità ricevendola è estremamente significativo per la dinamica della missione in relazione all’alterità e in un contesto di pluralità. Tanto essa rappresenta la metodologia missionaria di Gesù che egli la raccomanda ai suoi discepoli: “Li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire i malati. E disse loro: "Non prendete nulla per il viaggio: né bastoni, né sacca, né pane, né denari, e non abbiate due tuniche ciascuno. In qualunque casa entrerete, là rimanete e da quella ripartite"” (Lc 9:3). L’ospitalità di Gesù è qualificata da due estremi: è l’ospitalità di chi non ha dove posare il capo, e mangia con coloro con i quali nessuno vorrebbe magiare. Non è solo un’ospitalità offerta agli ultimi, ma anche l’ospitalità data da chi condivide la loro sorte: un’ospitalità dai margini della società, in un intreccio di compassione ed accoglienza.
L’ospitalità alla maniera di Gesù provoca la missione ad essere abbraccio dell’“altro”.[18] Questo abbraccio dell’“altro”, fin nell’alterità più disturbante del paria e del nemico (Mt 5:38-45), rappresenta una sfida storica e una nuova frontiera per la missione. L’altro, nella sua alterità, si presenta come il ‘soggetto’ con cui la missione deve entrare in relazione. Una svolta copernicana: da una missione incentrata sul sé della Chiesa (il suo messaggio, la sua espansione, i suoi interessi, ecc.) ad una missione incentrata invece sull’estraneo che va ad incontrare ed accogliere là dove egli si trova col il suo bisogno e le sue potenzialità, i suoi problemi e le sue speranze. Nell’altro che essa accoglie, nel rispetto della sua identità e nell’apprezzamento delle sue differenze, la comunità cristiana riceve la visita di Dio stesso, che la ricolma di doni e la salva. Paradossalmente, essa comunica agli altri la salvezza del Signore proprio mentre essa stessa la riceve attraverso di loro. La missione si traduce in una comune esperienza dell’ospitalità divina: sia la Chiesa che gli altri sono ad un tempo e reciprocamente “ospitante” (host) e “ospitato” (guest) al banchetto preparato da Dio. Un rovesciamento, in qualche modo, dell’assioma extra ecclesiam nulla salus.
Una missione di ospitalità che parte dall’accogliere l’ospitalità dell’altro, dal saper ricevere come ospiti in terra straniera, particolarmente oggi quando la Chiesa non gode più di una condizione sociale egemonica e la sua missione è da una posizione di debolezza. Trovarsi in una simile condizione può essere una grazia, perché “le implicazioni dell’ospitalità non sono del tutto evidenti finché anch’io non conosco cosa vuol dire essere un estraneo”.[19] Invece di arroccarsi come comunità di resistenza in un mondo nemico, da ‘alieni residenti’, la comunità cristiana è sollecitata a nutrirsi dei frutti degli altri, come Pietro nella visione degli Atti 10: 9-16, e scoprire, apprezzare ed accogliere i loro doni.
La missione come ospitalità viene a porre in questione il modo in cui la Chiesa vive l’unità cristiana e onora le differenze interne. Tutto un sistema ecclesiale monolitico è chiamato a lasciare il posto ad una Chiesa ‘policentrica’ come segno profetico del convergere dei molti nelle loro differenze.
Vivere la missione come evento di ospitalità, alla maniera di Gesù, significa introdurre un nuovo modo di essere nel mondo, secondo uno stile di gratuità e bontà.
f) Le Chiese locali come soggetti della nuova missione
Un altro aspetto del nuovo immaginario missionario è stato infine messo in evidenza dalla riflessione della Famiglia Comboniana, come cioè siano innazittutto le Chiese locali col loro radicamento nei vari contesti umani a testimoniare un modo diverso di abitare il mondo, secondo quella compassione ed ospitalità che la storia di Gesù manifesta.
Con ciò è tutto un modo nuovo di essere Chiesa che è prospettato: una rete di comunità critiane caratterizzate da una pluralità carismatica e ministeriale, segno contestuale dell’annuncio e dell’iniziazione all’esperienza del discepolato e funzione di umanità nell’umanità[20], capaci di essere alternative, non nel senso di una chiusura settaria o fuga al riparo dalla responsabilità socio-culturale, quanto invece nella consapevolezza del compito messianico, anticipazione costante ed effettiva dei segni e valori del Regno, nel quale il cammino missionario sperimenta la provvisorietà dei suoi progetti, ma anche la necessità di inserirli nella storia con qualità e affidabilità.
A questo riguardo, un segnale importante di vitale coscienza missionaria è offerto dalle Chiese del Sud del mondo, le quali indicano percorsi verso una concezione integrale della missione: insieme all’annuncio e al dialogo, la trasformazione del mondo e l’attenzione all’etica economica e ambientale.[21]
La nuova soggettività missionaria delle Chiese locali richiede un nuovo posizionamento degli Istituti Missionari tradizionali e una ridefinizione dello loro stesso carisma, liberandone le potenzialità e rimettendo in gioco la loro identità per una nuova stagione missionaria.
4. Tracce per un cammino futuro
Il cammino è già avviato, ma rimane aperto. Il nuovo immaginario missionario che si è venuto disegnando introduce tematiche da sottolineare, aspetti da precisare, problematiche da approfondire e prospettive da concretizzare, aprendo così piste da percorrere, col coraggio di rischiare, in un ascolto, attento e rispettoso, dello Spirito che parla attraverso le situazioni storiche e nelle culture e religioni dei vari popoli.
In tale ottica, si possono individuare tre dimensioni imprescindibili, come indicatori per il cammino nel futuro.
a) L’orizzonte religioso e il metodo del dialogo
È decisivo aiutare le persone a cogliere il senso trascendente nella storia, la vicinanza di Dio che invita ogni uomo e donna ad una storia di libertà, di giustizia, di salvezza. Dinanzi alla tentazione di progettare una religiosità fai-da-te, o sbilanciata sulla ricerca di equilibrio psicofisico, è opportuno educare allo stile di una fede che mette al centro il progetto di liberazione. La stessa spiritualità deve diventare critica, contro ogni falso spiritualismo e capace di una mistica dagli occhi aperti.
Qui si inserisce il dialogo interreligioso ed ecumenico. L’importanza del dialogo come stile e strumento di un incontro aperto, rappresenta uno dei fili conduttori del ripensamento della missione della Chiesa, proprio in relazione alle religioni. L’enciclica Redemptoris Missio di Giovanni Paolo II (1990), sigilla una convinzione importante perché il dialogo attraversi l’esistenza di credenti e comunità: le religioni hanno un ruolo provvidenziale e l’apertura alla fede dell’altro implica la capacità di condividere la sua visione del mondo, con una simpatia che è premessa alla comprensione. Le appartenenze non possono rappresentare ostacoli, né decidere della significatività o meno dell’incontro interpersonale. Per questo, le comunità ecclesiali devono vivere lo stile del dialogo all’interno della missione che è, fondamentalmente, «trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità» (Dialogo e annuncio, 8). Se il dialogo produce una conoscenza e un reciproco arricchimento, è perché mette nelle condizioni di poter cambiare, di sperimentare l’evento della conversione quale apertura all’incontro con la verità, che lo Spirito dona nell’accompagnare ogni incontro che intende andare al cuore dei problemi.
b) Il contesto sociale e lo stile dell’interculturalità
L’annuncio missionario deve aprire costantemente alla scoperta dell’altro, senza il quale non è possibile un’esperienza autentica di crescita e collaborazione. È opportuno ribadire una sensibilità già presente in una prassi missionaria in atto: l’attenzione ai poveri, alle minoranze (il pianeta immigrati, il pianeta donne, il mondo giovanile, etc…) alle persone che vivono nella concretezza di bisogni e di ascolto, hanno dato forma al ministero di advocacy, in grado di progettare con le vittime e gli esclusi percorsi di risanamento personale e reinserimento sociale. Tale ministero acquista ancor più valore se messo in relazione all’importanza della cultura nella costruzione individuale e sociale della persona.
Da questa angolatura, appare sempre più vitale per la missione globale essere capaci di vivere e promuovere uno stile interculturale. Incontrare una cultura altra è un evento che fa percepire al soggetto un pensiero diverso dal suo, talvolta, se non spesso, divergente[22]. Eppure, di tale differenza non si può non tener conto se si vuole dialogare responsabilmente sulle questioni della vita. Non deve meravigliare, pertanto, che l’interculturalità è sia accoglienza dell’altro, sia conflitto nella comprensione, giacché porta verso la costruzione di una nuova convivenza civile, in vista di una convivialità delle differenze. Entro queste coordinate, il contributo del cristianesimo mira alla costruzione di una cultura nuova che sappia puntare sulla dignità e sul diritto, soprattutto di coloro che per politiche imperialistiche sono esclusi ed emarginati.
c) L’ascolto culturale e la politica della commensalità
Non si può essere ingenui: c’è un mondo culturale, scientifico, dei mezzi di comunicazione sociale che ha una presenza e influenza rilevante nella percezione e interpretazione del reale, per il fatto che agisce sui dinamismi di identificazione. A torto o a ragione, è da questi canali che passano modelli di comportamento e valori etici che, di fatto, condizionano l’organizzazione concreta dell’esistenza. Interagire con questi nuovi mondi che fanno opinione, vuol dire provare ad individuare nuove strategie e compiti (ministeri) che modificano una certa idea e prassi di animazione missionaria. In particolare, la riflessione e la prassi missionaria sono chiamati a prendere coscienza della responsabilità creativa per le questioni socio-ambientali e per un’economia a servizio dell’uomo.
In primo luogo, è necessario porre in evidenza come la cura del pianeta è direttamente proporzionale alla possibilità di un nuovo modo sostenibile di essere e vivere. L’attenzione al creato non è riducibile alla sola gestione utilitaristica degli ecosistemi, ma si inserisce nel progetto del consolidamento della vita per tutti, che richiede una cooperazione per debellare una civiltà predatoria e dell’accaparramento. Ci sono beni comuni, come l’acqua, l’aria, le foreste, la terra, che non possono più essere oggetto di una mercificazione a danno del diritto all’autosufficienza dei popoli. La coscienza della mutua appartenenza tra l’umanità e la Terra, sta modificando l’ottica di lettura ecologica: l’impegno e la sfida ambientale, economica e politica sono strettamente legate alla responsabilità sociale e spirituale.
In altri termini è significativo vivere e condividere una spiritualità della commensalità, in cui l’attenzione alla condizione della famiglia umana si configuri con scelte che autolimitino l’impulso a dominare e accumulare, verso uno stile di consumo equo e solidale, in grado di valorizzare le risorse ambientali. Ciò richiede armonizzare i diritti economici dell’uomo con le condizioni della natura e il rispetto dell’ambiente nel quale il genere umano vive e si propaga. Ad una giustizia che ispira i rapporti economici tra gli esseri umani, deve corrispondere una giustizia ecologica.
In secondo luogo, bisogna prendere atto di come sia importante evangelizzare l’economia. La crescita sempre più ampia di discriminazioni sociali, un saccheggio capitalistico dell’ambiente, i diktat del mercato globale, hanno innescato criminalità, violenza xenofoba, aumento del Pil pro capite e crescita dell’indebitamento delle famiglie, di fronte alla difficoltà di poter pagare i beni pubblici (come istruzione e sanità). Da questa prospettiva, la missione è invitata a condurre una riflessione più articolata sul rapporto economia ed etica, partendo sicuramente da un nuovo modello antropologico in grado di costruire contesti decisionali più adeguati. Suggerire una diversa collocazione dei valori, significa ricondurre l’economia alla sua funzionalità, che è altro dalla riduzione dell’umano all’economicistico.
Risulta sempre più necessario assumere una cultura della reciprocità e gratuità, nell’interesse di un progetto di sviluppo integrale dell’uomo. Il suggerimento che proviene dal Vangelo punta sul versante del capitale umano e delle sue risorse, nella prospettiva di un’economia di comunione sociale. In fondo, è la proposta della dottrina sociale della Chiesa, il cui disegno assume il primato della fraternità come spazio umano e principio regolativo della libertà e uguaglianza. Qui il cristiano è compagno di viaggio di ogni uomo e donna che lottano per una società armoniosa, soprattutto nella critica a ciò che strutturalmente impoverisce la vita e le sue aspirazioni. Si tratta, allora, di innestare, nel processo di promozione umana e nel rispetto del pianeta, quote di gratuità dove la crescita deve avere altri indicatori, tra cui la sostenibilità, l’equità e la sussidiarietà[23]. Ciò esige un cambio istituzionale, ma anche un’attenzione nuova alla società civile e alla vita delle comunità. Per questo, la tradizione cristiana, espressa sinteticamente nei termini di cooperazione, suggerisce che l’economia delle relazioni e la coesione sociale sono importanti, a partire da una proposta di una democrazia economica[24]. Solo un’economia di comunione può configurare nuovi stili di vita, modificare l’ottica del consumo irresponsabile, verso forme critiche di attenzione al risparmio, alla condivisione, alla sobrietà, in modo tale da poter soddisfare i bisogni, riducendo al minimo le risorse e la produzione di rifiuti. Tali scelte necessitano di audacia profetica, nella convinzione che il bene comune invita ad una conversione culturale e religiosa.
[1] Cf. J. Comblin, I segni dei tempi, in Concilium 41 (2005) 96-111.
[2] Si danno solo tre accenni al Regno di Dio nel testo di AG ai nn. 8, 40 e 42, ma sempre senza particolare rilevanza
[3] Cf. A. J. Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity. Essays, edited by S. Heschel, Farrar-Straus-Giroux, New York, 1997, 276.
[4] L. Boff, “Salvezza in Gesù Cristo e proceso di liberazione”, in Concilium 6/1974.
[5] C. M. Martini, Ripartiamo da Dio!. Lettera pastorale per l’anno 1995-1996, Centro Ambrosiano, Milano, 1995, n. 17.
[6] C. Dotolo, La fede, incontro di libertà. A chi crede di non poter credere, Il cortile dei gentili – 9, Edizioni Messaggero, Padova, 2012, 64-65.
[7] Ibid., 67.
[8] J. Y. Tan, “Missio Inter Gentes: Towards a New Paradigm in the Mission Theology of the Federation of Asian Bishops’ Conferences”, in Mission Studies 21:1 (2004) 65-95.
[9] Cf. G. Collet, Teologia della missione o delle missioni? Osservazioni sull’uso di un termine controverso, in Concilium 35 (1999) 144.
[10] D. J. Bosch, Transforming Mission: Paradigm Shift in Theology of Mission, American Society of Missiology Series, 16, Orbis Books, Maryknoll/New York, 1991, 489. Quest’espressione è ripresa da Stephen B. Bevans parlando di “dialogo profetico”, cf. S. B. Bevans & R. P. Schroeder, Constants in Context. A Theology of Mission for Today, American Society for Missiology Series, 30, Maryknoll/New York, Orbis Books, 2004, ch. 12.
[11] Cf. J. Sobrino, “Jesus’ approach as a Paradigm for Mission”, in R. Lassalle-Klein (ed.), Jesus of Galilee. Contextual Christology for the 21st Century, Orbis Books, Maryknoll/New York, 2011, 86-90.
[12] J.-B. Metz, “Johann-Baptist Metz”, in J. Moltmann (ed.), How I Have Changed. Reflections on Thirty Years of Theology, SCM Press, London, 1997, 32. Sempre di Metz vedi, A Passion for God. The Mystical-Political Dimension of Christianity, Paulist Press, New York/Mahwah, 1998; “Für eine ?kumene der Compassion. Christentum im Zeitalter der Globalisierung“, in Ch. Gremmels und W. Huber (eds.), Religion im Erbe. Bonhoeffer und die Zukunftsfähigkeit des Christentums, Chr. Kaiser/Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh, 2002, 242-252.
[13] D. Bonhoeffer, Letters and Papers from Prison, Collins, Fontana Books, London, 1970, 122; lettera del 16 luglio 1944.
[14] Cf. G. M. Soares-Prabhu, “Expanding the Horizon of Christian Mission. A Biblical Perspective”, in Id., The Dharma of Jesus, edited by F. X. D’Sa, Orbis Books Maryknoll/New York, 2003, 255 (247-258).
[15] Cf. I. T. Douglas (ed.), Waging Reconciliation: God’s Mission in a Time of Globalization and Crisis, Church Publishing, New York, 2002; J. D. Gort, “Religion, Conflict, and Reconciliation: Ecumenical Initiatives Amidst Human Brokenness and Community Division”, in Mission Studies 19:2 (2002) 90-111; J. Matthey, “Reconciliation as God’s Mission. Church as reconciling Community”, in Theology Digest 52:2 (2005) 111-118; R. J. Schreiter, Reconciliation: Mission and Ministry in a Changing Social Order, The Boston Theological Institute Series vol. 3, Orbis Books, Maryknoll/New York, 1997 (1992); Id. “Reconciliation as Model of Mission”, in Neue Zeitschrift für Missionswissenschaft 52:4 (1996) 243-250; R. J. Schreiter, R. S. Appleby, and G. F. Powers (eds.), Peacebuilding. Catholic Theology,Ethics, and Praxis, Orbis Books, Maryknoll/ New York, 2010.
[16] Cf. A. Sen, Identità e violenza, collana “Economia Laterza 461, Laterza, Roma-Bari, 2008 (originale inglese: Identity and Violence. The Illusion of Destiny, Allen Lane/W. W. Norton & Co., London/New York, 2006); M. Volf, Exclusion and Embrace: A Theological Exploration of Identity, Otherness, and Reconciliation, Abingdon Press, Nashville, TN, 1996.
[17] Cf. B. Byrne, The Hospitality of God: A Reading of Luke’s Gospel, The Liturgical Press, Collegeville, MN, 2000.
[18] Cf. L. L. Pickens-Jones, Strangers into Friends: Hospitality As Mission, Abingdon Press, Nashville, 1999; J. Koenig, New Testament Hospitality: Partnership with Strangers As Promise and Mission, Wipf and Stock Publishers, Eugene, Or, 2001.
[19] T. W. Ogletree, Hospitality to the Stranger: Dimensions of Moral Understanding, Philadelphia: Fortress Press, 1985, 4, come citato da A. Yong, Hospitality and the Other. Pentecost, Christian Practices, and the Neighbor, Faith Meets Faith Series, Orbis Books, Maryknoll/New York, 2008, 132.
[20] Cf. J. M. Tillard, Evangelizzare l’umanità, in Ad Gentes 4 (2000) 11-29.
[21] Cf. G. Ruggeri (ed.), Le Chiese nel Novecento, EDB, Bologna 2002; P. Jenkins, La terza Chiesa. Il cristianesimo del XXI secolo, Fazi Editore, Roma 2004; G. Colzani, Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico delle Chiese: 1945-2007, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010..
[22] Cf. T. Sundermeier, Comprendere lo straniero. Una ermeneutica interculturale, Queriniana, Brescia 1999.
[23] Cf. B. Ambrosio, Per il bene comune. Dallo stato del benessere alla società del benessere, Diabasis, Reggio Emilia 2009,113-143.
[24] S. Zamagni, L’economia del bene comune, Città Nuova, Roma 2007, 122-147.