Venerdì 31 gennaio 2014
Non è la prima volta che L’Osservatore Romano pubblica scritti e interventi di P. Enrique Sánchez G., superiore generale dei Missionari Comboniani. Anche oggi, 31 gennaio, il giornale vaticano riporta ampi stralci della lettera di P. Enrique scritta in occasione del 150o anniversario del Piano per la Rigenerazione dell’Africa di Daniele Comboni.
Si tratta di un fatto degno di essere messo in risalto perché in mezzo a una quantità enorme di problemi – alcuni dei quali drammatici – il Piano di Comboni ha una parola di speranza e continua a provocare la Chiesa e le persone di buona volontà per una mobilitazione a favore degli africani e per ricordare a tutti, a loro e a noi, che l’Africa deve avere un ruolo da protagonista nella propria evangelizzazione e liberazione.
Il testo dell’Osservatore Romano, che possiamo considerare un contributo alla nostra animazione missionaria, si conclude citando uno dei paragrafi più belli della lettera che stimola i Comboniani a formulare un proprio piano “che dimostri quanto il carisma di Comboni è ancora attuale, vivo e fecondo. Un piano che ci aiuti a crescere nella fiducia e nella certezza che il Signore continua a lavorare assieme a noi e prepara tempi nuovi che ci faranno vivere ancora la gioia della missione, nonostante la nostra povertà e fragilità”.
Essere missionario…
Una opzione di vita!
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”...
Nel centocinquantesimo anniversario
del progetto missionario per l’Africa
Ci vorrebbe un nuovo piano Comboni
«Come sogniamo la missione nel nostro tempo e che cosa siamo disposti a fare per collaborare con il Signore nella realizzazione del suo progetto per quelli che ama con tutto il cuore? Sicuramente il grido e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle in tutti gli angoli del nostro mondo saranno di grande aiuto per tentare di dare la nostra risposta, anche se modesta». È quanto scrive il messicano padre Enrique Sánchez González, superiore generale dei comboniani, in un documento inviato alla congregazione missionaria in occasione del centocinquantesimo anniversario del “Piano di Comboni per la rigenerazione dell’Africa”. Si tratta del testo, divenuto una pietra miliare della storia delle missioni, che nel 1864 Daniele Comboni presentò alla Sacra Congregazione di Propaganda Fide per lanciare il suo progetto di evangelizzazione del continente nero. Progetto sintetizzato con il motto «Salvare l’Africa con l’Africa». Un piano maturato attraverso la sua esperienza diretta a contatto con la realtà africana e basato su una grande fiducia nelle capacità dei popoli africani. Senza dire che, ai tempi di Comboni, lo stesso termine “rigenerazione” implicava anche il significato di una rinascita del popolo, della sua dignità e libertà, anche attraverso l’abolizione della schiavitù e l’orgoglioso riappropriarsi della propria identità.
Per padre Sánchez González, si tratta di pagine che Comboni scrisse «di getto, con grande passione ed entusiasmo missionario». Ma quelle «stesse pagine sono state poi riscritte, col passare del tempo, non più con la matita o l’inchiostro, ma con la vita di tanti missionari e missionarie che con grande generosità hanno accettato l’eredità della missione com’era concepita dal nostro padre e fondatore». Così il Piano, suggerisce il superiore generale dei comboniani, «non è qualcosa che appartiene soltanto al passato, ma una linfa che ci accompagna nel presente». Durante tutto l’anno, sia a Roma che nelle delegazioni di tutto l’istituto, verranno perciò organizzati celebrazioni, incontri di riflessione e di lavoro e momenti di animazione missionaria per conoscere meglio non solo il testo del Piano, ma soprattutto lo spirito missionario presente in quelle pagine.
In questo senso, le celebrazioni per l’anniversario, avverte ancora il superiore dei comboniani, saranno anche «un’occasione per avvicinarci di più alle grandi intuizioni missionarie di san Daniele Comboni e farle nostre». Infatti, celebrare l’anniversario sarà anche un’opportunità per «capire meglio quanto sia attuale la proposta missionaria contenuta nel Piano e quanto sia urgente tradurre nel nostro linguaggio e per il nostro tempo le intuizioni scoperte in un passato che compie 150 anni. Si tratterà di fare memoria di un dono ricevuto molto tempo fa, per scoprire l’attualità di uno spirito e di strategie missionarie che sono valide anche per la nostra epoca e per la nostra umanità sempre bisognosa d’incontrare il Signore».
Per padre Sánchez González, ci sono diversi modi di avvicinarsi al Piano del fondatore. In primo luogo, «siamo tutti consapevoli del fatto che, quando abbiamo in mano il testo del Piano scritto da Comboni, siamo davanti al risultato di un lavoro che ha avuto un lungo percorso e che alla fine è rimasto catturato in poche pagine, inadeguate a esprimere la forza, i sentimenti, il coraggio, la speranza, la fiducia, le gioie e le difficoltà che, pur racchiuse tra quelle righe apparentemente fredde e inespressive, contengono uno spirito che rivela la grandezza di quanto lì è scritto». Infatti, «il Piano non è il testo, ma è la vita nascosta nelle parole, nei pensieri, nelle intuizioni, nei sogni e nei desideri che sono stati il motore capace di muovere le mani di Comboni per lasciare traccia di quello che lo Spirito voleva esprimere e che va molto al di là delle idee e delle strategie che diventeranno in qualche modo risposta al grido che sale e importuna le orecchie di Dio per suscitare la sua misericordia». In questo senso, «il Piano, prima di diventare un documento scritto, è stato un sogno e una passione, una forza incontenibile nel cuore di Comboni. Esso è l’espressione dell’amore — sorgente della missione — per i più poveri e i più abbandonati, che diventa reale e realizzabile. È la risposta concreta a una realtà che non può essere ignorata né dimenticata perché fatta di persone con nome e cognome, di drammi e di urgenze, di promesse e di doni che non hanno permesso di rimandare il coinvolgimento di Comboni — al suo tempo — e che non permettono oggi, a ciascuno di noi, di rimandarlo a un domani che può non arrivare mai».
Visto attraverso la straordinaria storia personale di Comboni, «il Piano è la disponibilità totale a pagare di persona e a non tirarsi indietro, anche se questo può portare a sconvolgere continuamente la nostra vita, a darla a poco a poco, perché fare causa comune con i poveri non implicherà mai profitti né guadagni da incassare». Così, viene sottolineato, «nel profondo del Piano c’è il sogno di Comboni di un’Africa aperta a Dio e al suo progetto redentore. Il sogno di vedere i popoli africani riconosciuti e rispettati nei loro diritti e nella loro dignità. L’augurio di poter contemplare un continente illuminato dalla luce del Vangelo che non tollera l’inganno e l’ingiustizia, che non festeggia con la violenza o con la morte».
Il Piano interpella perciò apertamente anche l’oggi della missione. «Avvicinandoci all’eredità del Piano, ognuno di noi non può ignorare alcune domande che sembrano saltare davanti ai nostri occhi quando vogliamo prendere sul serio il nostro essere missionari e comboniani. Quali sono le nostre passioni? Che cosa si muove nel nostro cuore quando contempliamo la realtà missionaria del nostro tempo? Dove si concentra il nostro entusiasmo o dove spendiamo oggi le nostre energie?». E soprattutto, «dove sono i sogni che possono aiutarci a inventare il piano che Dio si aspetta da noi per questa umanità dove la missione continua a essere la grande sfida per tutti quelli che si dicono discepoli di Cristo e a maggior ragione per noi che abbiamo ricevuto la vocazione missionaria?». Anche per questo, sottolinea il superiore generale dei comboniani, «sarebbe molto bello che alla fine di quest’anno di celebrazioni arrivassimo a formulare un nuovo piano, anche se modesto, per la missione che ci sfida come comboniani. Un piano che dimostri quanto il carisma di Comboni è ancora attuale, vivo e fecondo. Un piano che ci aiuti a crescere nella fiducia e nella certezza che il Signore continua a lavorare assieme a noi e prepara tempi nuovi che ci faranno vivere ancora la gioia della missione, nonostante la nostra povertà e fragilità».
L’Osservatore Romano