Roma, martedì 11 ottobre 2011
Ieri, una sessantina di missionari comboniani presenti a Roma – fra cui membri delle comunità di San Pancrazio, della Curia, dei Confratelli studenti e dell’Anno Comboniano di Formazione Permanente –, alcune suore comboniane e laici amici hanno celebrato insieme la solennità di san Daniele Comboni, in quattro momenti particolari della giornata: Lodi, adorazione eucaristica, Eucaristia e cena.
“Celebriamo la festa di Comboni all’inizio di un nuovo anno scolastico e pastorale. Comboni ci offre un’occasione per una buona partenza. Comboni ci invita a ripartire per renderci più vicini al Cuore di Cristo e alla nostra Nigrizia” ha detto P. Manuel João Pereira Correia alle Lodi mattutine. La sua riflessione ha messo in evidenza due atteggiamenti possibili del rapporto del missionario con Dio: avvicinarsi o allontanarsi.
“Giorni fa, la liturgia ci presentava la figura del profeta Giona, un esempio eloquente di una falsa partenza. Invitato da Dio a partire, si mette in cammino ma per allontanarsi da Dio e da Ninive, sua terra di missione. La sua è una spiritualità missionaria di lontananza! Si allontana da Ninive perché lì ci sono pagani e nemici – e quindi devono rimanere lontani – e si allontana da Dio perché non condivide il Suo atteggiamento di compassione, di vicinanza verso Ninive. Recuperato dalla balena dell’obbedienza, la sua predicazione rimane quella di uno che non si lascia coinvolgere dal messaggio della predicazione e, appena può, riprende le sue distanze da Dio e dalla gente di Ninive. Si allontana dalla città per assumere un atteggiamento da spettatore. Giona è lo specchio negativo di tante nostre false partenze che sono fuga da Dio e dalla missione, un modo di vivere la missione con il cuore lontano” ha detto P. Manuel João.
“Oggi la festa di Comboni – continua P. Manuel João – ci offre invece un esempio di una buona partenza che ci rende vicini a Dio e alla missione. Comboni è lo specchio positivo del nostro ideale missionario. Convinto di essere inviato alla Nigrizia, lotta per vincere tutti gli ostacoli alla partenza (Scritti 13, 15) e per rimanerne fedele: ‘Se il Papa, la Propaganda e tutti i Vescovi del mondo mi fossero contrari, abbasserei la testa per un anno, e poi presenterei un nuovo piano: ma desistere dal pensare all’Africa, mai, mai.’ (Scritti 1071). La sua è una spiritualità missionaria di vicinanza. Il suo posto di osservazione sarà sempre quello ai piedi della Croce – il suo ricino – per meglio vedere da quel luogo privilegiato. Perché ‘le opere di Dio nascono, crescono e prosperano ai piedi della croce’, un tema che appare una quindicina di volte nei suoi Scritti. Forzato dall’obbedienza ad allontanarsi, lascia in Africa il suo cuore (Scritti 3156). Ma in realtà non si allontana mai dalla sua gente – ‘i miei pensieri e i miei passi furono sempre per voi’ (Scritti 3157) e quando ritorna è ‘per non mai più cessare d’essere loro’ (Scritti 3158) e fare ‘causa comune, disposto a morire con loro’ (Scritti 3159)”.
L’adorazione eucaristica è stata guidata dal segretario generale della Formazione, P. John Baptist Keraryo Opargiw, che ha fatto una breve riflessione sulla cattolicità della missione come Comboni stesso l’ha sognata (si veda nell’allegato la riflessione completa). Comboni scrisse appunto che “L’Opera dev’essere cattolica, non già spagnola o francese o tedesca o italiana” (Scritti 944).
In rapporto con questa frase di Comboni, P. John Baptist ha citato un commento di Mons. Giuseppe Franzelli: “Contro ogni nazionalismo, particolarmente sentito nel suo tempo, Comboni vuole che la sua opera sia ‘cattolica, non già spagnola o francese o tedesca o italiana.’ È una visione e un atteggiamento pienamente attuale anche nel villaggio globale odierno, che vede paradossalmente crescere al tempo stesso il bisogno di affermazione e di identità dei singoli paesi, culture e continenti, con il rischio di nuove chiusure e conflitti. Abbiamo bisogno di un respiro universale, di aprire orizzonti vasti, non escludendo o addirittura demonizzando altri punti di vista”.
Durante l’Eucaristia, il superiore generale, P. Enrique Sánchez González, ha sottolineato i punti principali del suo messaggio “San Daniele Comboni – Santità sotto il segno della croce” inviato a tutti i confratelli qualche giorno prima della festa. P. Enrique ha paragonato le croci che Comboni ha dovuto sopportare alle croci che oggi lui – come superiore e guida dell’Istituto – e ogni comboniano portano sulle spalle e ha messo a fuoco il rapporto molto stretto che c’è “tra santità e croce, tra riconoscimento della presenza di Dio nella vita e nel fare del missionario e il calvario come strada che conduce alla croce”. Secondo P. Enrique, il missionario deve trovare proprio nelle croci i “luoghi fecondi di presenza di Dio, luoghi dove si manifesta l’unica santità, che appartiene a Dio, la santità che ci fa entrare nel mistero di salvezza offerto a tutta l’umanità in Cristo il crocifisso”. E questo perché, ribadisce il superiore generale, “la croce è il luogo dove Dio si manifesta, senza nascondere niente della sua divinità”. Per questo “le croci sono scuola di santità” e “cammino dell’umanità verso la santità”.
P. Enrique conclude la sua riflessione con un pensiero positivo e di speranza: “Le croci non ci spaventano e, come san Daniele Comboni, anche noi possiamo fare l’esperienza di far diventare le croci del mondo, dell’Istituto e le nostre personali un’occasione per vivere un incontro più profondo con il Signore, per scoprire insieme con Lui che continua a essere Lui che ha la parola di vita e che soltanto partendo da Lui, anche le nostre croci possono diventare luoghi di santità”.
La giornata si è conclusa con la cena insieme alle comunità presenti a Roma, compresa la comunità di San Pancrazio, alcune suore comboniane e alcuni laici amici.