La riflessione è divisa in tre parti, la prima è sul rapporto fra missione e trasformazione sociale. E’ quanto si trova nel presente articolo. La seconda sulla nuova configurazione della pastorale sociale all’inizio del terzo millennio per assicurare vera trasformazione (per dicembre 2008); la terza è sulla Famiglia Comboniana o, se si vuole, il movimento comboniano e la trasformazione sociale nel mondo di oggi.
Pellegrinaggio ai Martiri, Profeti e Artigiani del Regno
Andare in Brasile per il Foro Sociale Mondiale è per me prima di tutto un pellegrinaggio. Nel continente e nella nazione dove hanno operato, offerto la vita e sono sepolti molti
martiri e profeti per la causa del Regno di Dio reso visibile in un ordine sociale più giusto, fraterno e rispettoso dell’integrità del creato. Hanno perseguito con tenacia, visione e coraggio non pochi degli obiettivi che il Foro Sociale Mondiale si propone di illuminare e di proporre alla attenzione del mondo del 2009, impaurito e sconvolto dalla attuale crisi finanziaria. Ulteriore conferma dalla debolezza e perversità del neoliberalismo imposto con arroganza e violenza dagli Stati Uniti al resto del mondo.
Martiri: Lele Ramin: Terra - Ecologia - Missione
Prima di tutto un Comboniano: Lele immolato nel 1985. Il problema della terra è al centro della violenza in Brasile allora e ora. In Africa lo sta diventando sempre più soprattutto in Kenya. La popolazione si è moltiplicata quattro volte dal 1963, anno dell’indipendenza. Allora gli abitanti erano 9 milioni ora sono 36. I delitti a causa della terra anche nelle famiglie in occasione delle divisioni non si contano. La terra arabile è diminuita, le piogge regolari, che assicuravano raccolti e fecondità, sono diventate erratiche. L’acqua dei fiumi e laghi si sta riducendo perché abbiamo continuato a disboscare i grandi monti come il Kilimangiaro e il Kenya che assicuravano piogge regolari e nascondevano grandi riserve acquifere. La terra significa anche clima sempre più corroso dall’inquinamento atmosferico.
In Nairobi, le automobili aumentano al ritmo di trentamila l’anno. Le strade sono ancor quelle degli anni 80. Più che muoversi, in città si brucia petrolio e s’inquina per spostarsi di pochi metri. Però la cultura dell’automobile ha contaminato tutti. I servizi pubblici sono ancora fatiscenti, quindi il privato impera incontrastato e il privato significa profitto ad ogni costo, con mezzi sgangherati che inquinano più di ciminiere. E insicuri e quindi incidenti a non finire con la litania di morti e invalidi civili che si allunga a ritmi vertiginosi.
Servirà il Foro Social Mondiale del 2009 che si celebra a Belém in Amazzonia, una regione chiave per l’ecosistema mondiale, ad aumentare il senso ecologico tra noi missionari e a trasformarlo in obiettivo pastorale tra la gente che serviamo? Nelle comunità cristiane, dalla comunità di base alle parrocchie e diocesi, sono i cattolici più sensibili degli altri? Oppure? E’ l’ecologia parte dell’impegno missionario di noi tutti Comboniani e Comboniane? E’ l’ecologia uno dei valori del Regno di Dio che siamo impegnati a inculcare? Siamo, anche noi, automobili-dipendenti nella logica di un missionario o missionaria una macchina? E’ questo il messaggio che propaghiamo? In questo contesto, come non ricordare Chico Mendes martire dell’Amazzonia nel 1988, operaio della gomma che unì, come è stato scritto, il
grido dei poveri al grido della terra?
Profeti. Franco Masserdotti: la Missione e i Valori del Regno
Poi Franco Masserdotti cui mi ha legato una feconda e fraterna amicizia fin dal 1960 quando ci incontrammo nel noviziato di Gozzano (Novara). Lui poi raffinò la sua preparazione missionaria con la specializzazione in Sociologia nell’Università di Trento, io in Teologia a Roma. E’ stato il confratello che più di ogni altro mi ha aperto all’America Latina, che mi ha reso famigliari nomi come Luciano Mendes de Almdeida, Aloisius Lorsheider, Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff, Frei Betto, causa indigenista, Medellin. Mi ha aiutato ad andare di là dall’Africa. Per noi missionari c’è il pericolo di omettere la dimensione mondiale dei problemi e di rinchiuderci in un piccolo spazio. Mentalità ‘parrocchiale’, che in inglese significa orizzonti limitati, campanilismo, mancanza di respiro che vada al di là della porta di casa. Inadeguata percezione di dove sono localizzate le cause della povertà, delle ingiustizie, del degrado ambientale, soprattutto quelle strutturali senza di cui non s’innesca il meccanismo di una vera
trasformazione sociale. Una parte di Franco dovrebbe essere assimilata da tutti noi della Famiglia Comboniana.
Chi non ricorda la famosa frase di Don Helder: “Se faccio la carità sono un santo se cerco di eliminare cause della povertà sono un comunista, un vescovo rosso”. Negli Stati Uniti una donna coetanea del Vescovo Camara si muoveva sulla stessa lunghezza d’onda; era Dorothy Day fondatrice del movimento:
Catholic Worker. Scrive nelle sue memorie: “Ho letto tante vite di santi e sono ammirata dalla loro generosità e dedizione ma mi sono continuata a domandarmi: perché nessuno di questi santi si è posta la domanda: ma perchè ci sono tanti impoveriti?” Mistica e trasformatrice sociale, Dorothy trovava nella spiritualità e nella preghiera la visione e la forza per vivere coerentemente la vicinanza dinamica ai poveri a costo del martellamento dalla polizia, a volte, di brevi periodi di carcere e perplessità da parte di non pochi circoli ecclesiali. Ora la causa di canonizzazione è in corso!
Queste schiere di martiri, profeti e artigiani del Regno di Dio ci assicurano che
le dimensioni religiosa, sociale e politica e della Missione sono inseparabili. Da ciò l’urgenza di un
pluralismo ministeriale che veda sacerdoti, laici, fratelli e suore membri attivi, interdipendenti e complementari nelle comunità apostoliche. Per promuovere e diffondere una tale visione di apostolato che integra
religioso e sociale, consacrati e laici, la Famiglia Comboniana ha lanciato nel 1994, come frutto del primo Sinodo Africano, l’Istituto della Pastorale Sociale (Institute of Social Ministry) come una delle facoltà della Università Cattolica di Nairobi. Perché non iniziarne uno anche in America Latina? E’ una modalità concreta di attualizzare il
Piano di Comboni nel 2000 a livello continentale.
Cambio strutturale: i popoli sempre più soggetti e sempre meno oggetti
Il Vaticano Secondo apre uno dei documenti fondamentali:
Gudium et Spes con un’ampia analisi del cambio/trasformazione sociale come una delle caratteristiche fondamentali della fine del secondo millennio e l’inizio del terzo: “Il presente turbamento degli animi e la trasformazione delle condizioni di vita si collegano con una più radicale modificazione che sul piano della formazione intellettuale dà un crescente peso alle scienze matematiche, fisiche e umane, mentre sul piano dell’azione si affida alla tecnica, originata da quelle scienze. Questa mentalità scientifica modella in modo diverso di un tempo la cultura e il modo di pensare. La tecnica poi è tanto progredita da trasformare la faccia della terra e da perseguire ormai la conquista dello spazio ultraterrestre. Anche sul tempo l’intelligenza umana accresce in certo senso il suo dominio: sul passato attraverso l’indagine storica, sul futuro con lo sforzo di prospettiva e di pianificazione... Ne segue un’accelerazione tale della storia da poter difficilmente essere seguita dai singoli uomini. Unico diventa il destino dell’umana società senza diversificarsi più in tante storie separate. Così il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell’ordine a una concezione più dinamica ed evolutiva; ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi che stimola ad analisi e a sintesi nuove” (GS 5).
Si! Negli ultimi 60 anni il cammino è stato vertiginoso e globale. Noi dei capelli bianchi siamo stati testimoni, soggetti e oggetti di trasformazioni immense. Quando lessi per la prima volta nel 1957 la biografia di Comboni del Fusero, l’Africa era ancora una colonia europea. In quell’anno però la prima nazione sub-sahariana diventava indipendente, il Ghana di Kwame Nkruma. Poi il crollo a catena del colonialismo durante gli anni 60 fino alla liberazione del Mozambico nel 1975; l’Africa assumeva una nuova configurazione. Ma la storia non finì con le indipendenze: non democrazia ma dittature, colpi di stato, nel contesto di un mondo bipolare: Russia/Comunismo e Stati Uniti/Capitalismo. Un ordine mondiale, si fa per dire, che creava un humus ideale per dittatori di destra e di sinistra, soprattutto in Africa e America Latina, dittatori che giocavano fra le due superpotenze per consolidare il potere a spese dei rispettivi popoli.
Ma le comunità cristiane non restarono passive e inerti. Soprattutto in America Latina giocheranno un ruolo unico e importantissimo nel cammino erto verso la liberazione e la fine delle dittature.
La teologia della liberazione ne è stata un’espressione fecondissima con non poche ramificazioni anche in Africa e Asia. La teologia della liberazione provvedeva la visione e radicava il sociale e il politico nella fede, promuovendo anche un nuovo modo di leggere la Bibbia. I movimenti popolari la attuavano a contatto con le comunità di cristiane di base. Prima degli altri continenti le chiese locali latino-americane si riunirono a Medellin nel 1968 per tradurre e incarnare il Vaticano II nel contesto locale. In nessun continente, il Vaticano Secondo ebbe una accoglienza sistematica e popolare come in America Latina: Medellin e Puebla ne sono testimoni.
ll sinodo dei vescovi del 1971 a Roma vedeva nei movimenti popolari dei
segni dei tempi, in altre parole eventi sociali marcati da una poderosa e misteriosa presenza dello Spirito Santo primo protagonista della Missione per aprire la porta a tempi nuovi. Eccone alcuni stralci:
“Scrutando i segni dei tempi e cercando di scoprire il senso del divenire della storia, mentre partecipiamo alle aspirazioni ed agli interrogativi di tutti gli uomini che vogliono costruire un mondo più umano, intendiamo ascoltare la parola di Dio per convertirci all’adempimento del disegno divino per la salvezza del mondo”.
“Abbiamo nel contempo avvertito un intimo movimento che scuote il mondo fin dalle sue profondità. Ci sono dei fatti che rappresentano un contributo per la promozione della giustizia. Si sviluppa nei raggruppamenti umani e tra gli stessi popoli una nuova consapevolezza che li scuote da un rassegnato fatalismo e li incita a volere la propria liberazione e la responsabilità del proprio destino. Si scoprono le aspirazioni degli uomini che esprimono la speranza di un mondo migliore e la volontà di cambiare tutto ciò che non si può più ulteriormente tollerare”.
“L’incertezza della storia e le stesse convergenze che pur faticosamente sorgono lungo il cammino ascensionale della comunità umana ci portano a rivolgerci alla storia sacra, nella quale Dio si è rivelato, manifestandoci il suo disegno di liberazione e di salvezza nella sua progressiva attuazione, una volta per sempre, compiutosi nella pasqua di Cristo”.
“La potenza dello Spirito che ha risuscitato Cristo dai morti opera di continuo nel mondo. Il popolo di Dio è presente ininterrottamente attraverso i figli generosi della Chiesa in mezzo ai poveri e fra coloro che soffrono l’oppressione e la persecuzione, poiché vive nella propria carne e nel proprio cuore la passione di Cristo e rende testimonianza della sua risurrezione... La speranza del regno futuro viene ormai ad abitare nel cuore degli uomini. La radicale trasformazione del mondo, nella Pasqua del Signore, dà pieno significato agli sforzi degli uomini, e segnatamente ai giovani per ridurre l’ingiustizia, la violenza e l’odio, e per progredire tutti insieme nella giustizia, nella libertà nella fratellanza e nell’amore”.
Gustavo Gutierrez - Leonardo Boff - Paolo Freire - Chico Whitaker
Personalità profetiche, radicate nel mondo dei poveri, scientificamente competenti e carismaticamente influenti accompagnavano il cammino con una riflessione adeguata senza di cui il
processo di coscientizzazione sarebbe stato impossibile; coscientizzazione d’altra parte essenziale per aiutare la gente ad assumere pienamente come soggetti superando apatia e passività, quello che stava accadendo anche con il loro contributo.
Senza la coscientizzazione si cade nella schiavitù ideologica lontanissima dal messaggio e prassi evangelica. Come non ricordare agli inizi degli anni 70 Gustavo Guttierrez capofila tra i teologi della Liberazione con il suo classico:
Teologia della Liberazione che sancì un nuovo modo di fare teologia basata su un nuovo modo di essere chiesa: la comunità ecclesiali di base (in Africa: Small Christian Communities). Paulo Freire con la
Pedagogia degli Oppressi, che ebbe grande impatto in Africa e che noi dell’Istituto della Pastorale Sociale studiamo dalla A alla Z. Chi non si è sentito sfidare dalla famosa affermazione del capitolo III: “L’azione senza la riflessione è attivismo che non trasforma e la riflessione senza l’azione è verbalismo che non incide”? Boff Leonardo contribuirà con:
Cristo Liberatore a tradurre e reinterpretare nel mondo odierno la teologia classica ma astratta della Redenzione in quella non meno biblica ma più pastoralmente applicabile e feconda della Liberazione. Infine Chico Whitaker brasiliano anche lui, grande collaboratore della Conferenza Episcopale Brasiliana dal tempo delle dittature; come Freire dovrà andare in esilio per 15 anni dal 1966 e che infine darà un contributo unico nel lancio e accompagnamento del
Foro Mondiale Sociale all’inizio del 2000.
Missione e Trasformazione Sociale
L’uso della Bibbia indica la mentalità di chi la tiene in mano e ne rivela la visione. Per molti secoli la citazione biblica classica per la missione è stata Matteo 28.16-20: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto cio che vi ho comandato”.
Dato che il battesimo è l’entrata ufficiale nella chiesa, la missione era vista con tonalità fortemente ecclesiocentriche, quasi a servizio della crescita numerica della Chiesa. Il Regno di Dio, che ispirò le motivazioni e l’azione di Gesù, era scomparso. Nel 2000, altri brani biblici vengono usati, pur senza escludere il sopracitato. Prima fra tutti, Luca 4, 14-22 che ci rivela la coscienza missionaria e apostolica di Gesù manifestata nella sinagoga di Nazareth usando le parole del profeta Isaia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me – Per questo mi ha consacrato con l’unzione – e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio – per proclamare ai prigionieri la liberazione – e ai ciechi la vista – per rimettere in libertà gli oppressi – e predicare un anno di grazia del Signore”.
Qui la missione è molto più globale unendo la dimensione
religiosa a quella sociale, la conversione personale alla trasformazione comunitaria. E’ la missione della Chiesa che troviamo elaborata nella
Gaudium et Spes e che viene ripresa nel Sinodo dei vescovi del 1971 di cui presentiamo altri passi rilevanti:
“Convenuti da ogni parte del mondo, in comunione con tutti i credenti in Cristo e con l’ intera famiglia umana, ed aprendo il cuore al soffio dello Spirito che tutto rinnova, noi ci siamo interrogati circa la missione che spetta al popolo di Dio per la promozione della giustizia nel mondo..
Ascoltando il forte grido di coloro che soffrono violenza e sono conculcati da sistemi e da meccanismi ingiusti, e insieme l’appello del mondo che nella sua perversità contraddice al disegno del Creatore, ci siamo resi conto della vocazione della Chiesa di essere presente nel cuore del mondo predicando ai poveri la buona novella, agli oppressi la liberazione e agli afflitti la gioia. Le speranse e gli impulsi che scuotono profondamente il mondo non sono alieni al dinamismo del Vangelo, il quale per virtù dello Spirito Santo libera gli uomini dal peccato personale e dalle sue conseguenze nella vita sociale.
L’agire per la giustizia e il partecipare alla trasformazione del mondo ci appaiono chiaramente come una dimensione costitutiva della predicazione del vangelo, cioè della missione della Chiesa per la redenzione del genere umano e la liberazione da ogni stato oppressivo di cose...
Nel momento stesso che proclama il Vangelo del Signore, redentore e salvatore, la chiesa chiama tutti gli uomini, specialmente i poveri, gli oppressi e gli afflitti, a cooperare insieme con Dio nel liberare da ogni peccato e costruire il mondo, il quale, solamente se sorgerà come opera dell’uomo per l’uomo, raggiungerà la pienezza della creazione”.
Chiese Locali Attori Sociali: protagoniste di profonda trasformazione
Che le chiese locali siano attori sociali, lo si deduce da quanto detto sopra. Qui vogliamo solo aggiungere alcuni accenni per mostrare come di fatto tale responsabilità sociale è attuata. Uno dei grandi frutti del Vaticano Secondo è stato la riscoperta delle Chiese locali come sacramento di salvezza per i popoli, per le culture, per i continenti e per l’ambiente nella quali sono localizzate.
“Locale” vuol dire rapporto profondissimo con il contenitore umano e sociale, politico e finanziario nel quale una data Chiesa è situata. Sacramento di salvezza vuol dire che tutto ciò che la parola
salvezza implica, ha a che fare con la presenza e l’azione di tale comunità, Chiesa locale. La salvezza è per tutti, ma il veicolo che la rende visibile e la orienta è la comunità di coloro che con il battesimo hanno accettato di essere sacramento di salvezza per tutti gli altri. La loro personale salvezza dipenderà da quanto ha efficacemente realizzato la loro vocazione di essere veicolo di vita, fede, liberazione, comunione e solidarietà per tutti gli altri.
Paolo VI s’impegnò a fondo per dare alle Chiese di tutti i continenti, una loro coesione spirituale teologica, giuridica e apostolica, anche con strutture logistiche visibili perché potessero operare come veicolo di salvezza per i relativi continenti. Ciò comportò anche un grande investimento finanziario che fu affrontato con la solidarietà di Chiese economicamente meglio provvedute come la Germania di Misereor e Missio. In America Latina: CELAM a Bogotà, in Africa SECAM ad Accra. Grandi incontri ecclesiali manifestarono collegialità continentale: in America Latina a Medellin e a Puebla; in Africa a Kampala, a Blantyre, a Nairobi e ad Accra.
In uni di questi grandi incontri, Jomo Kenyata il fondatore della nazione keniota pronunciò una famosa frase parlando ai vescovi: “Voi Chiese dovete essere la coscienza delle nazioni”. Chi è famigliare con la storia degli ultimi cinquanta anni non può non ricordare il ruolo delle chiese nel processo di liberazione di non poche nazioni. Nelle Filippine da Marcos, in Polonia dal regime comunista, in Malawi da Kamuzu Banda; il tributo di sangue e di idee dato in molte nazioni della America Centrale e America Latina, da Salvador al Cile, dal Guatemala al Brasile, con figure di grande spicco di Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Laici, come Oscar Romero e i Gesuiti della università di Salvador, come il Cardinale Raul Silva Henriquez difensore dei diritti nel Cile di Pinochet, come Helder Camara , Lele Ramin e Chico Mendez in Brasile, per non citare che alcuni nomi.
In Africa, inoltre, alcune chiese locali negli anni 90 facilitarono in varie nazioni il passaggio dalle dittature a sistemi politici più partecipativi e democratici. Senza parlare dell’aiuto in momenti di emergenza causati da guerre e instabilità sociale e da disastri naturali come siccità e inondazioni.
Anche i Premi Nobel per la Pace accordati durante gli ultimi 50 anni a prominenti cristiani come: Alberto Luthuli (Sud Africa) Rigoberta Mechu Tum (Guatemala), Desmond Tutu (Sud Africa), Lech Walesa (Polonia), Adolf Perez Equivél (Argentina), Madre Teresa di Calcutta (India), Martin Luther King (Stati Uniti) sono un segno dell’impegno sociale della comunità cristiane.
Conclusione: Nuova configurazione dell’Apostolato/Pastorale Sociale
Riflettendo sulla storia degli ultimi 50 anni, possiamo affermare che il momento d’oro della presenza sociale della comunità cristiana è legata sia in America Latina che in Africa a momenti di emergenza sociale dovuti a dittature o instabilità sociale oppure a calamità naturali; in Europa allo scontro con il comunismo. Le Chiese riuscirono ad essere efficaci quando ci fu un chiaro nemico da combattere, un diavolo da smantellare. Molto più complesso è il compito quando si tratta di essere propositivi per costruire un ordine nuovo perché i diavoli sono scomparsi o almeno non più facilmente identificabili. E’ la sfida del momento attuale, che vede le comunità cristiane un po’ disorientate e incerte sul da farsi dopo la significativa ed efficace presenza dei decenni passati. Si tratta di inventare con coraggio discernimento e audacia, una nuova configurazione della pastorale sociale. Ce la faremo? Abbiamo noi Comboniani/e, hanno le comunità cristiane spiritualità, stile di vita, competenza scientifica e coesione sufficiente per iniziare una nuova epoca di pastorale sociale? Di questo la prossima volta.
Francesco Pierli, mccj