In Pace Christi

Ciccarese Pierino

Ciccarese Pierino
Fecha de nacimiento : 16/08/1915
Lugar de nacimiento : Cavallino LE/I
Votos temporales : 11/02/1938
Votos perpetuos : 11/02/1944
Fecha de fallecimiento : 13/01/1990
Lugar de fallecimiento : Verona/I

"Sono contento di servire fedelmente il Signore nella vita religiosa e missionaria", scrisse un giorno fr. Ciccarese. Questa affermazione racchiude tutta l'esistenza di questo confratello la cui caratteristica fu il costante sorriso, espressione della gioia che gli cantava dentro e che spesso traboccava all'esterno contagiando chi gli stava vicino.

Eppure Pierino non aveva sortito da madre natura un temperamento facile, remissivo o, come si suol dire, tagliato per la vita comunitaria. Se, nonostante tutto, è riuscito a diventare una persona gradevole, ciò è stato frutto di uno sforzo costante, di una lotta intima che ha avuto i suoi alti e bassi, le sue vittorie e le sue sconfitte.

Figlio di Piacentino, di professione macellaio, e di Elisa, casalinga, fr. Ciccarese crebbe con solidi principi religiosi. Prima ancora della visita militare, sentì la chiamata del Signore alla vita missionaria. In questa faccenda, la grazia di Dio si è servita del ministero di p. Bernardo Sartori quando batteva le Puglie in cerca di giovani generosi disposti a donarsi al Signore.

La prova della vocazione

Per essere sicuro della sua vocazione, Pierino chiese di far parte della comunità comboniana di Troia. Vi rimase nove mesi. P. Sartori era già partito per l'Uganda, per cui fu accolto da p. Luigi Urbani. Questi dirà di lui: "E' un ottimo giovane. Confessione settimanale e comunione quotidiana. E' un fiore raro, cresciuto in un paese abbastanza trascurato dai sacerdoti. Ha sempre aiutato in cucina con allegrezza".

Pierino, esprimendo la sua gioia nel sapersi accettato dai Comboniani scrisse: "E' stato meraviglioso il tempo trascorso in questa santa casa di Troia e sono molto contento di questa vocazione che il Signore mi ha dato. Spero che, da parte mia, ci sia sempre una santa perseveranza fino all'ultimo respiro e di servire sempre e con qualunque sacrificio Dio nella gioia. Voglio diventare missionario per salvare l'anima mia e quella di tanti infedeli dell'Africa".

Il papà acconsentì alla partenza del figlio (ne rimanevano a casa altri due) con queste parole: "Se contrastassi l'idea di Pierino di farsi missionario, sento che commetterei un peccato mortale". Il parroco aggiunse: "La sua vocazione è stata provata in diversi modi, ma egli ha dimostrato una fermezza e costanza non indifferenti. La sua condotta è sempre stata lodevole".

Il 7 luglio 1935, dopo la visita militare nella quale fu dichiarato abile, entrò nel noviziato di Venegono Superiore accolto da p. Giocondo Bombieri, maestro dei novizi. La disponibilità che aveva dimostrato nei nove mesi trascorsi a Troia, in noviziato si accentuò, così pure lo spirito di pietà, di carità, di zelo e di amore alla Congregazione.

Bene e contento

Nelle numerose domande per i Voti e per la loro rinnovazione ricorrono con frequenza due parole: bene e contento. Ciccarese si trovava bene ed era contento. I superiori, in calce, scrivevano che ciò corrispondeva a verità. Pierino era davvero un buon Fratello, semplice, genuino, chiaro, senza trucchi... anche nei suoi scatti, anche nella sua impulsività che non ha mai smesso di combattere.

Professò l'11 febbraio 1938 e fu inviato a Padova come cuoco. Vi rimase fino al 1947. Teniamo presente che in quei nove anni ci fu di mezzo la guerra. Più di una volta fr. Ciccarese dovette fare i salti mortali ed esercitare la fantasia all'ennesimo grado per far trovare ai confratelli qualche cosa nel piatto. "Eppure - disse qualche mese prima di morire riferendosi a quel tempo della vacche magre - la Provvidenza non ci ha mai fatto mancare l'indispensabile, anche se ai nostri giorni ci vuole gratificare addirittura con il superfluo".

Il lavoro di cuoco, come quello di lavare le pentole, era, per Ciccarese, espressione di missionarietà. Attraverso quegli umili mestieri, contribuiva a preparare i futuri apostoli dei nostri giorni. Ne era consapevole, quindi lavorava con entusiasmo e grande senso di responsabilità. Bene e contento, insomma.

La guerra aveva demolito il seminario missionario di Muralta, Trento. Occorreva ricostruirlo a tempo di record perché i seminaristi, numerosissimi, avevano bisogno di cominciare l'anno scolastico. Ciccarese, con un altro bel gruppo di Fratelli, si trasformò in muratore. Vi riuscì così bene che poi fu mandato a fare lo stesso lavoro a Troia e, dal 1949 al 1953 a Monroe, negli Stati Uniti.

In Sudan meridionale

Nel dicembre del 1953, a 38 anni di età, fr. Ciccarese poté finalmente partire per la missione. Sua prima destinazione fu la località che i missionari chiameranno Tore. Si trattava di costruire il seminario maggiore del Sudan. Leggiamo nella cronaca dell'epoca, stilata da p. Bresciani.

"Il 25 gennaio 1954, finalmente iniziano i lavori per l'erezione del seminario. P. Bresciani e fr. Ciccarese, i due membri della comunità destinata all'opera, arrivati pochi giorni prima a Giuba dall'Europa, avevano lasciato la sede centrale il 23 mattina, insieme a fr. Lazzari proveniente dalla missione di Au, tra gli Avukaya.

Il viaggio è stato lungo e lento a causa del forte carico di attrezzi e materiali. Il luogo scelto si trova su di un colle prospiciente il fiume Tore. Ci è stato concesso un appezzamento di oltre quattro ettari. La posizione è bella e ridente, il terreno fertile, il fiume perenne e la gente dei dintorni ben disposta, almeno finché non si parla di lavoro. P. Mazzitelli, p. Pellegrini e fr. Lazzari saranno di prezioso aiuto, colla loro esperienza e fraterna collaborazione, a noi poveri novellini ignari delle lingue e ancora freschi di Africa.

Tutto febbraio e marzo è occupato in lavori di disboscamento, e a preparare un po' di mattoni. Per questi, purtroppo, siamo in ritardo, perché le piogge abbondanti sopraggiungono presto e facciamo appena in tempo a farne cuocere appena 18.000. Per la fine di marzo avremo pronte alcune capanne per gli operai e un capannone per le tegole. Per la fine di aprile sarà già eretta la fornace, e gettate le fondamenta del primo edificio, che verrà costruito in sassi e blocchi di cemento.

In luglio s'incomincia una piccola classe di catechismo in lingua bangala, essa sarà sempre ben frequentata e servirà ad aumentare il numero dei cristiani.

Il 3 dicembre, finalmente, entriamo nella nuova casa, una dimora davvero accogliente e bella. Finisce così il massacrante pellegrinaggio giornaliero dalla missione di Au, a 4 miglia dal Tore, che ci ha ospitati.

Durante gran parte del 1955 restano nel seminario, ancora privo di seminaristi, p. Bresciani e fr. Ciccarese. La vita è dura soprattutto data la necessità di frequenti viaggi a Giuba per rifornimenti, a Yei per legname e alla foresta di Aza per bambù.

I moti rivoluzionari della fine di agosto 1955 portano anche al Tore giorni di terrore e confusione e un rallentamento nei lavori".

Anche gli elefanti

"Pochi giorni prima di Natale - prosegue p. Bresciani - il seminario del Tore ha una visita inaspettata. Un branco di elefanti, in pieno giorno, crea il panico tra gli operai. E' un fuggi fuggi generale. Fortunatamente è presente fr. Zanetti il quale, dall'alto di una pianta dove si è rifugiato con la velocità di un gatto, spaccia il capomandria con tre colpi bene assestati. Gli altri pachidermi si danno a fuga precipitosa.

La gente esulta per la gran massa di carne capitata al momento opportuno per le feste natalizie.

Anche i primi mesi del 1956 sono occupati da intenso lavoro per ultimare il seminario. Il 4 aprile arrivano i padri Sembiante e Penzo con i seminaristi del Bahr el Gebel. Quelli del Bahr el Ghazal, di Mupoi e di Malacal giungono il giorno 20 sotto un infuriare di vento e acqua. Due giorni dopo iniziano le scuole: quattro classi di filosofia con 26 alunni, inoltre ci sono due suddiaconi del quarto corso teologico. E' un grande avvenimento per la Chiesa del Sudan e per tutti coloro che con immensi sacrifici hanno reso possibile quella fondazione. Uno di questi è proprio fr. Ciccarese che ha portato il peso di tante giornate sforzandosi di sorridere e di tagliare l'aria con qualche facezia anche quando non ne poteva più".

Promozione umana

Fin dal primo giorno, tuttavia, ci si rese conto che il seminario era insufficiente a contenere tutti i seminaristi per cui fr. Ciccarese dovette restare in loco fino al 1960 in modo da portare a termine altre ale. I seminaristi, oltre allo studio delle loro materie, venivano addestrati nell'agricoltura e nei mestieri più essenziali e pratici. Anche in questo il Fratello ebbe la sua parte.

Ultimato il seminario, fr. Ciccarese fu impegnato per la costruzione della chiesa per la gente che, sempre più numerosa, accorreva al Tore.

Dopo un breve passaggio alla missione di Rejaf per alcuni lavori di muratura, il Fratello fu trasferito alla missione di Torit, sempre occupato nell'ormai suo mestiere di muratore. Questo trasferimento costò al Fratello, soprattutto per il cambio di lingua. "Alla mia età (45 anni) non è tanto facile imparare una lingua nuova", e per qualche incomprensione sorta nei suoi confronti. "Ma io prendo tutto dalle mani del Signore il quale vede e sa". Povero Pierino, oltre al suo temperamento ardente, si portava dentro tanta stanchezza, cose tutte che gli giocavano brutti scherzi.

A Torit lo raggiunse l'ordine di espulsione che coinvolse tutti i confratelli e le suore del Sudan meridionale (febbraio 1964).

La lunga stagione ugandese

Appena arrivato in Italia, si affrettò a scrivere al padre generale in questi termini: "Amatissimo Padre, colgo questa bella occasione del suo onomastico per manifestarle il mio desiderio. Desidero ritornare in Africa e, dato per grazia di Dio che sono a conoscenza della lingua bangala, andrei volentieri nelle missioni del Congo. Ma, nello stesso tempo, sono disposto a qualsiasi altra missione che la paternità vostra vorrà assegnarmi".

Dopo un soggiorno a Padova di quasi due anni, come addetto alla casa, ottenne di poter partire nuovamente per la missione.

Sua destinazione furono le missioni di Moroto e Kangole bisognose di un esperto muratore. Ma non adoperò solo la cazzuola. Fu anche procuratore a Moroto e poi aiutante nella procura di Kampala.

Nel 1968, scrivendo  da Moroto, ebbe a dire: "Sono ancora ad aiutare la missione di Nabilatuk. Qui in Karamoja lavoro ce n'è dappertutto. Si costruisce e si ingrandisce la Chiesa di nostro Signore, anche in barba a quei fanatici di protestanti che sono tanto gelosi e invidiosi e fanno di tutto per ostacolare il nostro lavoro apostolico". E' bello constatare in questo Fratello la consapevolezza che il suo lavoro contribuisce a costruire "la Chiesa di nostro Signore".

I primi acciacchi

Che fr. Ciccarese abbia lavorato bene in Karamoja, lo dimostra anche un'espressione scritta da mons. Mazzoldi. Quando, nel 1977, Pierino venne in Italia per le vacanze, il vescovo scrisse al padre generale di rimandarglielo, dopo le vacanze, "perché qui l'opera sua è desiderata e apprezzata da tutti".

Approfittò di queste vacanze per andare a Barcellona a farsi curare la vista. Subì tre operazioni e si ristabilì abbastanza bene tanto da poter dare una mano ai confratelli di Sanningdale (Inghilterra). Qui lo raggiunse la proposta di tornare in Sudan. "Mi piace il Sudan che ha visto l'inizio della mia vita missionaria, ma laggiù occorrono Fratelli che abbiano ben altra salute che la mia", rispose, pur dichiarandosi disposto all'obbedienza.

I superiori trovarono giuste le sue osservazioni (aveva anche subito l'operazione di ernia) e lo rimandarono in Uganda.

A 69 anni si ruota male

Ed ecco che nel 1983 dovette tornare nuovamente in Italia. Una lettera di p. Biancalana, provinciale d'Uganda, diceva: "Dopo due ricoveri all'ospedale, la dottoressa dice che fr. Pierino ha bisogno di un lungo periodo di riposo. A lui dispiace lasciare l'Uganda, ma... Deve lavorare limitatamente dopo tanti anni di attività a ritmo veramente intenso e infaticabile".

Dopo un anno di permanenza a Roma, il Fratello, impaziente di tornare in missione, tornò alla carica: "Reverendo padre generale, mi dicono che bisogna fare la rotazione, ma a 69 anni si ruota male. Sento tanta nostalgia dell'Africa. La salute si è anche ristabilita, quindi...".

Col primo luglio 1985 fr. Pierino Ciccarese poteva finalmente ritornare in Uganda. "Qualsiasi missione, qualsiasi ufficio per me vanno bene, purché sia in missione. Qui in Italia sono "stuffo" (lo scrisse proprio con due effe).

Andò a Pakwach, la missione che aveva visto il martirio dei confratelli p. Dal Maso e p. Fiorante. Fece del suo meglio senza ottenere grandi risultati. "I fatti d'Uganda - scrisse nell'agosto del 1987 p. Vittorino Cona, provinciale - incidono su questo Fratello che è già tribolato per la vista che diminuisce di settimana in settimana. Dovrà, purtroppo, tornare in Italia, anche se per lui questa sarà una pillola amara".

Come un ladro

Col primo luglio 1988 fr. Pierino tornava a far parte della provincia italiana. Con soprannaturale carità il padre generale gli scrisse: "Il Signore vuole che anche tu arrivi all'apice della tua attività missionaria diminuendo l'attività esterna e accettando la passione che lui ti manda. Accetta, dunque, con serenità di stare in Italia. La nostra vita ha varie stagioni. C'è la stagione dell'attività, dell'età adulta, e poi c'è quella della pazienza, della calma... quella in cui anche tu ora ti trovi. Sarai certamente una presenza serena che farà tanto bene a chi ti starà vicino. Tu ormai sei "nonno": accetta volentieri, per amore di Cristo, questo ruolo che vuol dire accoglienza, parole buone, incoraggiamento per chi è ancora nella lotta...".

Fr. Pierino mise in pratica queste parole e cominciò a  prepararsi all'incontro col Signore che ormai sentiva vicino. Dopo alcuni mesi di permanenza a Lecce, andò a Verona per un controllo cardiologico. Durante la visita gli fu riscontrata una grossa formazione bronchiale agli apici polmonari, per cui veniva immediatamente eseguita una radiografia e visita pneumologica.

A Verona, nonostante gli acciacchi, fr. Pierino era sempre il solito, sprizzante entusiasmo e amore per la missione. S'intratteneva volentieri con i confratelli, con gli ammalati con chiunque portasse notizie fresche dall'Africa.

Questo suo entusiasmo venne improvvisamente spezzato da un infarto che lo colse durante la notte tra il 12 e il 13 gennaio 1990. Il Signore era venuto come il ladro di evangelica memoria a prendere il suo servo che era pronto all'appello.

Dopo le esequie fatte in Casa Madre, la salma fu trasportata a Cavallino, suo paese natale.

Questo simpatico confratello ci lascia l'esempio di un comboniano contento della propria vocazione ed entusiasta della vita missionaria. Che dal cielo ottenga alla Congregazione tanti Fratelli generosi e desiderosi di donarsi totalmente a Dio e alle anime attraverso il ministero del lavoro.                          P. Lorenzo Gaiga

Da Mccj Bulletin n. 167, luglio 1990, pp.54-59